Kiss or Death

By ayane-sensei

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1ยฐ VOLUME Continua nel sequel "Wicked or Gods" ๐“•๐“ช๐“ท๐“ฝ๐“ช๐“ผ๐”‚ ๐“ก๐“ธ๐“ถ๐“ช๐“ท๐“ฌ๐“ฎ ๐Ÿ”žCon sfumature di dark, legger... More

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Sequel
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By ayane-sensei

"Ero sempre più disgustata dalle persone."

Armony Roses

Il tempo si era fermato, non sapevo dire quanto fosse trascorso da quando Orios mi aveva ammanettata al letto e poi lasciata sola qui, su questo materasso che sembrava un asse di legno, dopo tutto questo tempo.
Ero scomoda e annoiata, ero preoccupata e immersa in un'angosciante agonia.
Avevo timore per quello che mi sarebbe successo quando avrebbero risvegliato non sapevo chi.

Temevo Orios, Sol, e ora, persino Madison.
Il destino sembrava avercela con me.
Tutto quello che sembrava innocuo era in realtà solo apparenza, all'esterno incantevole, all'interno marciume.

Ero sempre più disgustata dalle persone.

Ormai, provavo diffidenza per chiunque sembrasse innocuo.
Il mio destino mi aveva cambiata.
Lentamente e brutalmente.
Mi aveva sconvolta. Avevo un lancinante mal di testa, sentivo le tempie che dolevano e la fronte scoppiare.

I polsi erano doloranti e le caviglie oltremodo, non ero neppure in grado di descrivere come stessi.
Era un dolore sgradevole e fastidioso.
Non riuscivo a muovermi né a massaggiare le mie tempie.
Era straziante questa situazione.

Orias... dove cavolo sei finito?!
Come stai? Bene?

Ti prego, fa’ che stia bene… non sapevo chi stessi pregando, però speravo in un aiuto divino, che di certo non sarebbe arrivato.
Dio non mi avrebbe salvata. Solo io potevo salvarmi…

Ti supplico, rispondimi, dammi un segno.

Di sicuro sta bene, pensai.

D'altronde era un demone Special, dai molteplici poteri.
Inoltre, stava insieme a Dolion, anche lui era forte e geniale.

Allora, perché non riuscivo a comunicare con lui? Perché?
Tutti i miei tentativi di mettermi in contatto con Orias fallirono malamente.

I miei mal di testa crescevano a dismisura e con loro, i miei dolori alle caviglie e ai polsi. Le manette erano troppo strette. Facevano male.

Vidi la maniglia della porta abbassarsi, a quella visione rabbrividii, timorosa di quello che stava per succedere. La porta si aprì lentamente e intravidi la figura di Orios.
Entrò nella stanza, appena lo vidi trasalii.
Metteva i brividi il solo guardarlo.
Mi guardò e percepì il mio timore.

«Se farai come ti dico non dovrai temere di me», mi rassicurò e al contempo avvisò.
Come avrei dovuto fare a non temere di Orios?

Avevo gli occhi gonfi e arrossati dal pianto incessante e le guance umide e rigate dalle scie delle lacrime.

Si avvicinò al letto.
Osservò le mie caviglie doloranti, prendendone una, allentandola di poco, leggermente.
«Mi hai fatto innervosire prima, sono stato troppo brusco…», constatò.
Prese l'altra e allentò leggermente anche quella.

Si avvicinò ancora di più a me, prese un polso e allentò la manetta lievemente.
«Non farmi pentire di questo», mi intimò; prese l'altra manetta e l'allentò di poco.
Ero egualmente bloccata, tuttavia ora almeno non mi facevano male.

«Orias... Orias sta bene?», domandai, preoccupata, sperando in una sua risposta.

Mi guardò accigliato e con stupore.
«Incredibile! Davvero incredibile...», esclamò, divertito e stupito al tempo stesso, come se non credesse ai suoi occhi e alle sue orecchie.

«Sei qui, con me, ammanettata e dolorante... e tu ti preoccupi per come sta Orias?», mi sbeffeggiò, sardonico e al contempo con stupore.

«Già».

«Dovresti preoccuparti per te stessa.»

«Già lo sono, ma sono più preoccupata per lui», rivelai.
«Dimmi soltanto che sta bene... ti supplico», implorai.

«E se non stesse bene?», disse.

Cosa?
Impossibile.

Lui stava bene, lui doveva stare bene.
«Cosa ti fa credere che stia bene?», domandò, controllato, sorridendomi sbieco.

«Fidati, il tuo amato se la sta passando piuttosto male in questo momento», sbeffeggiò, beffardo, glaciale.

«Perché... cosa gli state facendo?!», mi alterai.

«Calmati, Armony, lo scoprirai presto.»

Sorrise, divertito e diabolico.
«In che senso lo scoprirò presto?», domandai, confusa.

«Se te lo spiegassi non sarebbe divertente. Aspetta e vedrai.»

Cosa dovevo aspettare?
Più ci pensavo e più temevo la risposta.
«Hai fame?», domandò.
Scossi la testa.
Mi si era sigillata la bocca dello stomaco.

«Dovrai comunque ingerire qualcosa», mi intimò.

«No, non ho fame.»

«Tu devi avere energie per il Risveglio, non hai scelte. Devi nutrirti», mi informò e ordinò al tempo stesso.
Alzai gli occhi al cielo.

Qualcuno bussò alla porta.
«Entra, Thalia», disse Orios.
La porta si aprì ed entrò in stanza una donna dai capelli biondi raccolti in una treccia lenta e dalla carnagione leggermente abbronzata, gli occhi miele che risplendevano alla luce intensa della stanza. Trasportava un piccolo vassoio dove soprastante vi erano dei piatti fumanti.
Non avevo la benché minima idea di che pietanze fossero.
Nemmeno mi interessava.
Non volevo mangiarle.
Non ci tenevo proprio.
La donna si avvicinò a Orios, porgendogli il vassoio.

«Ecco a lei, signor Fenix», disse la donna, cordialmente.

«Ti ringrazio, Thalia. Puoi andare», la congedò e lei si affrettò ad andarsene.

Ritornammo soli, con una sola differenza: il vassoio gremito di piatti fumanti.

Orios si avvicinò a me, posò il vassoio sul comodino al mio fianco.
Prese la forchetta e intrappolò tra i dentini un pezzetto di non sapevo cosa.
Avvicinò la posata alla mia faccia.

«Apri la bocca», ordinò.
Scossi la testa, negando.
«Aprila, ho detto», ripeté.
Non lo feci.
Non avevo intenzione né di mangiare né di farmi imboccare da lui.
Assolutamente no.

«Devo aprirtela io, Armony?», domandò, seccato.

«Non ho fame», ribadii.

«Non mi importa, devi mangiare. Per il Risveglio ti occorreranno energie», dichiarò.
Avvicinò il boccone ancora di più alla mia bocca chiusa.

«Non costringermi a diventare cattivo», mi avvisò.

«E guarda tu cosa mi tocca fare...», disse, estenuato, «Se non fossi scappata via non ti troveresti in questa situazione», informò.

«Non te lo ripeterò un'altra volta: apri la bocca», ordinò, minaccioso.
Rassegnata decisi di ubbidire.
Aprii la bocca e mi imboccò.
Masticai e mandai giù.
Non sapevo cosa fosse ma non era paragonabile al risotto di lacrime di unicorno.

«Brava, vedo che inizi a capire», constatò, soddisfatto.
Finii un piatto intero ma al secondo mi opposi.

«Basta, ti prego, sto scoppiando». Sorrise fievole.

«E va bene, almeno hai mangiato qualcosa.»

«Domani, però, mangerai di più», mi informò.
Annuii.

«Adesso riposati.»
Si allontanò, prendendo il vassoio tra le mani.
Mi venne da ridere istericamente e lo notò.
Si girò verso di me, accigliato.

«Come dovrei fare a riposarmi?», chiesi, isterica ed estenuata.

«Sono scomodissima», sbottai.

«È colpa tua, sei tu che hai tentato di fuggire e di fregarmi. Assumiti le conseguenze delle tue azioni», dichiarò, distaccato.

«Buon riposo», e poi uscì dalla stanza.

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