Tecum

By azurahelianthus

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#2 VOLUME DELLA SERIE CROSSED PATHS "๐ฟ๐‘ข๐‘– ๐‘’๐‘Ÿ๐‘Ž ๐‘Ž๐‘›๐‘๐‘œ๐‘Ÿ๐‘Ž ๐‘ข๐‘›๐‘Ž ๐‘›๐‘œ๐‘ก๐‘ก๐‘’ ๐‘ ๐‘’๐‘›๐‘ง๐‘Ž ๐‘ ๐‘ก๐‘’๐‘™๐‘™๐‘’ ๐‘’... More

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I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
IX
X.
XI.
XII.
XIII.
XIV.
XV.
XVI.
XVII.
XVIII
XIX.
XX.
XXI.
XXII.
XXIII.
XXIV.
XXV.
XXVI.
XXVII.
XXVIII.
XXIX.
XXX.
XXXI.
XXXII.
XXXIII.
XXXIV.
XXXV.
XXXVI.
XXXVIII.
XXXIX.
XL.
XLI.
XLII.
XLIII.
XLIV.
XLV.
XLVI.
XLVII.
XLVIII.
XLIX.
L.
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XXXVII.

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By azurahelianthus

Ero diventata brava a mentire ormai. Sembrava quasi che gli angoli della mia bocca si sollevassero da soli, che i miei occhi si illuminassero in automatico e che la mia lingua si sciogliesse in allegre parole come se per tutta la vita non avessi fatto altro che mentire. Mentire, mentire, mentire.

Aveva ragione Nivek a dire che tutti avevamo mentito almeno una volta, cominciando dalla risposta "sto bene", passando per i "non ti amo" e, poi, finendo ai fantomatici "non sono ferita".

Il tradimento di Kyran non mi aveva effettivamente ferita, ero io ad essermi ferita da sola nella terribile illusione di credere che la bontà della gente non avesse un secondo fine. Ero stata tradita tre volte, due volte e mezzo se avessimo dovuto considerare meno grave quella di Dantalian, ma comunque, anche provandolo sulla mia pelle, non avevo imparato la lezione. Mi ostinavo ancora a trovare un motivo per cui credere in qualcosa che non fosse me stessa.

Stamattina lo avevo anche incontrato, in biblioteca, mentre cercavo un libro triste al punto giusto da farmi uscire quelle lacrime che dovevano uscire dal mio corpo per potermi permettere di superare la delusione che mi aveva innestato dentro. Il dolore era un po' come le radici, c'era un immenso bisogno di estirparle del tutto per poter ricominciare a piantare nuova vegetazione.

Gli avevo sorriso, avevo accettato il biscotto integrale con i frutti rossi che aveva rubato dal buffet della colazione e lo avevo mangiato con gusto sotto i suoi occhi, finché non mi aveva lasciata da sola in mensa perché "aveva qualcosa da fare". Non immaginavo che tipo di impegni avesse e non avevo voluto saperlo. Le talpe non erano i miei animali preferiti.

La gonna aveva svolazzato molto mentre mi avvicinavo al cestino e ne sputavo dentro l'intero contenuto della mia bocca, incapace di ingoiarlo come se fosse pieno di veleno. Quel biscotto aveva toccato le mani di una persona finta e per me aveva il gusto della carta. Avevo intercettato lo sguardo triste di Dantalian, triste per me, che mi fissava intensamente mentre mi pulivo la bocca con un tovagliolo.

Adesso non era più tanto triste, ma anzi, mi guardava dall'alto con uno sguardo divertito e un sorrisetto. Io ero piegata sulle ginocchia, con in mano una boccetta di smalto nero e nell'altra il pennello che passavo con precisione millimetrica sulle sue unghie.

«Pensavo, sinceramente, che sarebbe andata in un altro modo quando ti avrei avuta in ginocchio davanti a me per la prima volta». Scherzò.

Alzai gli occhi al cielo, con l'ombra di un sorriso sulle labbra. «Pensi sempre e solo a quello, eh?».

«È il mio sport, la mia cena preferita, il mio hobby, la mia passione, la mia terapia... mi offendi profondamente se pensi il contrario». Si portò la mano sul cuore.

Risi di cuore. «Sei davvero un idiota!».

Si sporse per accarezzarmi, ma poi si ricordò dello smalto fresco e allora inclinò solo la testa, con un sorriso sul volto. «E tu sei bellissima».

Mi tirai in piedi e rimisi lo smalto nel beauty case di Ximena, che avrebbe sicuro provato piacere nell'essere l'estetista di Dantalian. Mi poggiai sulla piccola scrivania accanto alla porta del bagno e poggiai una caviglia sull'altra.

«Il motivo per cui sei entrato nell'Élite è...?». Lasciai la frase in sospeso.

Non sembrò sorpreso da quella domanda, mentre accavallava le gambe e mi osservava da sotto le ciglia scure. «Tu, ovviamente. Tutto quello che faccio, io lo faccio per te. Anche il sacrificio morale di far parte di un gruppo sessista che tratta le donne come bambole, scegliendo te come mia partner per non permettere a nessuno di farti del male o toccarti. L'unico problema restava Denholm, ma speravo che avresti ascoltato i miei unici avvertimenti».

«E io invece le ho prese come sfide...». Sorrisi imbarazzata.

Annuì, con un rimprovero nello sguardo. «Come sempre, mia cara. Ma il mio piano di base è rimasto pressoché lo stesso: entrare nel gruppo per scoprire di più sul conto di Denholm e avere la sua grazia al solo scopo di proteggerti. Nezha, per me, viene dopo, sappilo. Come chiunque».

«E il resto?».

Spostò lo sguardo sul bagno, poi sulla porta d'ingresso e poi sui muri della camera. «Il resto lo potrai scoprire solo quando succederà, Arya. Le colline hanno gli occhi, ma i muri hanno le orecchie».

Capii che si riferisse allo specchio finto e a qualunque telecamera nascosta potesse esserci in giro. «Mi va bene».

«Ti va... bene?». Mi fissò come un mostro a tre teste.

Mi strinsi nelle spalle. «Mi fido di te».

Fu difficile percepire il suo movimento improvviso, ma doveva esserci stato visto che adesso era a pochi centimetri dal mio viso, con il suo buon profumo di miele e qualcosa di simile alla lavanda. Mi stupiva riconoscere questo, adesso, come suo odore quando per anni mi era rimasto impresso l'odore di salsedine che gli aveva donato Vepo. I miei poteri, invece, erano quasi neutri su di lui, come odore, colori o sapori.

«Ripetilo». Il suo respiro caldo mi sfiorò le labbra.

Sorrisi, allacciandogli le braccia al collo. «Mi fido di te».

«Penso di aver trovato la mia cosa preferita da farti ripetere fino all'ultimo giorno su questa misera terra». Mormorò roco.

Ridacchiai. «È normale, insomma... non so per te, ma per me noi stiamo facendo qualcosa di serio. Nel senso che per me sei il mio fidanzato, noi siamo fidanzati, io sono-».

«Aspetta!». Inspirò, tenendomi il viso fra le mani. «Ripeti cosa hai appena detto».

Lo osservai imbarazzata. «Che per me è qualcosa di serio?».

«Dopo».

Mi schiarii la voce. «Che siamo fidanzati?».

Scosse la testa. «Prima di quello, bellissima dea».

«Che sei il mio fidanzato?».

«Ancora».

«Sei il mio fidanzato». Mi addolcii alla vista dei suoi occhi sorpresi, perché in profondità, dentro di essi, c'era altro. Ammirazione, devozione, amore.

Si avvicinò alle mie labbra. «Dillo ancora, flechazo. Ti prego...».

«Sei il mio fidanzato, Dantalian Zolotas, ma questa è solo una stupida e umana etichetta. Sei qualcosa di meglio...». Gli accarezzai dolcemente la mascella che portava perennemente contratta, come se dovesse quasi portare sulle spalle il peso del mondo, poi le sopracciglia che si rilassarono al mio tocco, le labbra, che si curvarono, le palpebre, che si chiusero.

Lo toccavo come lui toccava me, come una cosa che avevi perso e che non pensavi avresti ritrovato. Con speranza, fiducia, amore e cura.

Mi supplicò con lo sguardo. «Cosa sono?».

«Il mio compagno di vita...». Mormorai con la voce roca per l'emozione, come i miei occhi pieni di lacrime felici. «Il mio migliore amico, il mio unico amore, la mia fiducia totale, il mio demoniaccio, la mia notte senza stelle-». Mi fermai a causa di un singhiozzo che si unì ad una risatina.

Mi baciò ogni piccola lacrima, piano piano, assorbendo tutto di me, anche il mio dolore. «Preparati, Arya». Mi prese per mano e mi trascinò fuori.

«A cosa?». Mi preoccupai, ma lui mi trascinò per le scale e si fermò al piano inferiore per rispondermi.

«Adesso al pranzo, ho scoperto che Nivek ha cucinato una sottospecie di sformato alle carote. Santo Lucifero, è fissato con le carote quel dannato ragazzo...». Rabbrividì. «Nella vita, invece, al fatto che non uscirai di qui senza che io ti abbia chiesto di essere mia moglie. Di nuovo».

Lo disse come se fosse una cosa di poco conto, come se fosse scontata, ma per me fu un tripudio di farfalle e qualsiasi animale dello zoo sullo stomaco. «E me lo dici così?». Strillai.

Alzò un sopracciglio. «La prossima volta ti mando una strillettera? Un fax simile? Un'e-mail? Richiedo un appuntamento a tuo padre come ai vecchi anni, ovvero nel medioevo?».

«Sei terribile!». Scoppiai a ridere, ma mi fermai dopo qualche minuto, quando il suo sguardo fisso mi fece sentire a disagio. Troppo intenso.

Mi guardava come se il suo sguardo potesse trapassarmi fino a guardare la mia anima e non l'involucro di carne che la proteggeva.

«Che c'è?». Mi accigliai.

Respirò piano. «C'è che stavo pensando di baciarti e...».

«E?». Lo esortai.

Assunse un sorriso vero, sincero e così felice da far sorridere anche me. «E mi sono dimenticato che adesso posso farlo. Non solo perché non morirò, ma anche perché siamo fidanzati. Posso farlo, posso baciarti quando voglio».

Decisi di giocare con lui. «Fidanzati é un parolone, suvvia, poco fa non dovevi prendermi alla lettera. Ora non montarti la tes-» Come sempre, interruppe il mio flusso di parole con un bacio diverso da quelli degli altri.

Perché i suoi non erano baci da togliere il fiato.
Quando mi baciava, il fiato me lo ridava.

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