Tecum

By azurahelianthus

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#2 VOLUME DELLA SERIE CROSSED PATHS "𝐿𝑒𝑖 π‘’π‘Ÿπ‘Ž π‘Žπ‘›π‘π‘œπ‘Ÿπ‘Ž π‘’π‘›π‘Ž π‘›π‘œπ‘‘π‘‘π‘’ π‘ π‘’π‘›π‘§π‘Ž 𝑠𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑒... More

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I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
IX
X.
XI.
XII.
XIII.
XIV.
XV.
XVI.
XVII.
XVIII
XIX.
XX.
XXI.
XXII.
XXIII.
XXIV.
XXV.
XXVI.
XXVII.
XXVIII.
XXIX.
XXX.
XXXI.
XXXII.
XXXIII.
XXXV.
XXXVI.
XXXVII.
XXXVIII.
XXXIX.
XL.
XLI.
XLII.
XLIII.
XLIV.
XLV.
XLVI.
XLVII.
XLVIII.
XLIX.
L.
π„ππˆπ‹πŽπ†πŽ.
𝐔𝐍𝐀 𝐋𝐄𝐓𝐓𝐄𝐑𝐀 𝐏𝐄𝐑 𝐓𝐄
π‘πˆππ†π‘π€π™πˆπ€πŒπ„ππ“πˆ
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XXXIV.

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By azurahelianthus

Avevo lo sguardo perso nel vuoto dei sotterranei in cui Dantalian mi aveva detto di farmi trovare, ricordando le urla e le botte di Denholm di qualche tempo prima, quando una nota di colore rosso mi si parò davanti al viso. 

Focalizzai meglio e notai un bouquet di fragole, alcune semplici e altre con metà di esse intinte nel cioccolato. Dischiusi la bocca. «Ma che...».

«Un bouquet speciale per una persona speciale». Mi sussurrò all'orecchio. 

Presi il bouquet dallo "stelo" di cartone e sorrisi. «Sei fantastico».

«Lo so». Gongolò. «Adesso mi aspetto un bacio».

Inclinai la testa con un ghigno malefico sul volto. «No, non credo. Poi ti abitui e-».

Fui bruscamente interrotta dalla sua bocca sulla mia, mentre la sua mano stringeva la mia nuca e mi impediva di scappare dalla sua presa. Non che la mia idea fosse quella, anzi. Avrei barattato ogni tipo di dolore per un solo altro secondo di quel paradiso, dove le sue labbra danzavano sulle mie. 

Si staccò, ma mantenne un'espressione famelica. «È meglio che mi stacchi o l'addestramento andrà a puttane come il mio autocontrollo».

«Addestramento?». Rubai una fragola e la morsi. Lui mi rubò il pezzo rimanente e se lo ficcò interamente in bocca, sotto il mio sguardo molto infastidito tanto quanto scherzoso. 

Annuì, posando li bouquet all'interno di un sacchetto, così da non farlo sporcare, e si tolse la felpa che aveva indossato. Rimase con una maglia a mezze maniche nera e una tuta del medesimo colore, proprio come me, che avevo indossato una canottiera e dei leggings aderenti. Infatti, non si perse l'occasione di squadrarmi con un sorrisetto, prima di tirare fuori dal suo zaino qualcosa che mi mostrò poco dopo.

«Dove li hai presi quelli?». Dischiusi la bocca con sorpresa.

Si strinse nelle spalle. «Ho i miei rifornitori».

«Che ci devi fare?». Mi accigliai.

«La drag queen». Alzò gli occhi al cielo e mi passò dei tacchi a spillo neri laccati lucidi. «Servono a te, non a me».

Riprendere in mano qualcosa che è stato parte essenziale della tua vita e che poi ha smesso di esserci è strano. Come osservare la propria anima fuori dal corpo. 

Mi piegai in avanti per indossarle e la mia altezza crebbe di qualche cm, all'incirca dodici. Quando mi tirai su lo vidi osservami con un sorriso che non aveva niente a che fare con i suoi soliti ghigni o il suo solito modo velato di prendermi in giro. Mi osservò fiero, malgrado ancora avessi fatto meno di zero, e questo mi scaldò. 

«Adesso possiamo iniziare». 

Assottigliai lo sguardo. «A fare?».

«A combattere. Non mi fermerò finché non mi farai sanguinare il naso come i vecchi tempi, Tiam». Strinse il suo pugno con la mano e fece scricchiolare le ossa, esattamente come iniziai a fare io. 

Cominciò a girarmi intorno. «Ti ricordi almeno la teoria?». Annuii. «Quali sono i punti più critici di un corpo?».

«Occhi, gola, parti intime, tempia, fianco, ginocchio». 

Annuì. «Perciò se io faccio questo...». Lasciò la frase in sospeso, passando il braccio sul mio collo e circondandolo, costringendomi a piegare la nuca all'indietro per l'improvvisa mancanza di ossigeno. Non che mi servisse, fu più che altro per la sorpresa. «...tu fai?».

Mi stava tenendo le mani bloccate sull'addome con il braccio libero, per cui avevo metà della mobilità bloccata, ma non tutta. Mi rimanevano le gambe. Quindi ne alzai una, la destra, e con il piede colpì con forza il suo ginocchio, costringendolo a lasciarmi per indietreggiare. Nel frattempo ruotai il suo braccio e, sempre con il piede, gli diedi un brusco calcio sulla schiena. 

Mi osservò dal pavimento, piegato in ginocchio. «Esatto e adesso? Cosa fai per finirmi a mani nude?». Mi spostai dietro di lui, agguantandolo allo stesso modo, sapendo che nella sua posizione non poteva difendersi come mi ero difesa io. 

Mi piegai sul suo orecchio. «E ora che fai?». Il mio tono fu sensuale. 

«T-i dim-ostro chi è i-l crude-le princi-pe guerri-ero». Disse a fatica, ma non mi diede il tempo di fare altro. Si piegò di scatto e io fui sbalzata in avanti con forza, facendo una capriola sopra la sua schiena. Mi ritrovai sul pavimento, mentre un dolore acuto alla schiena mi faceva storcere il naso.

Sapevo che lo stesse facendo per me, perché altri al suo posto mi avrebbero trattato esattamente così, però lo odiai comunque. Io, un po', alla fine, lo odiai.

«Che fai, ti arrendi?». Il suo tono derisorio mi urtò, ma poi si addolcì quando vide la sofferenza sul mio viso. Mi porse una mano. «Andiamo».

Lo guardai qualche secondo, alzando la mano, ma non presi la sua. La posai sul pavimento e mi diedi da sola lo slancio per riuscire a rialzarmi malgrado i tacchi. Poi mi pulii i pantaloni in un gesto teatrale. «Regola numero uno, mai fidarsi dell'avversario. O sbaglio?».

«Non sbagli mai un colpo». Nel suo sguardo spuntò un luccichio. 

Non mi diede, di nuovo, tempo per fare nient'altro. Mi spinse al muro con forza bruta e mi agguantò per il collo, privandomi della possibilità di respirare, ma anche di parlare. I miei piedi non toccavano terra, malgrado portassi dodici centimetri di tacchi, e questo mi sconvolse su quanta forza avesse. Chissà cosa aveva provato Kyran quel giorno, era questo?

Quel pensiero mi fece infuriare. 

Con il tacco gli mollai un calcio sull'addome, ma a parte grugnire non mi lasciò. Allora mi avvicinai con le mani al suo viso, facendogli chiudere gli occhi di riflesso, e spinsi con i polpastrelli fino a sentire la sua presa diminuire nettamente. Mi lasciò di scatto per indietreggiare e portarsi le mani alla parte lesa, malgrado non ci fosse sangue. 

«Cazzo». Borbottò.

Avevo il respiro corto. «Era questo che provava Kyran quando lo hai quasi strangolato, non è vero?».

«Ma che cazzo c'entra questo ora?». Spostò le mani solo per fulminarmi. 

Mi posai le mani sui fianchi. «Perché l'hai fatto?».

«Non è il luogo, né il tempo, né il momento di parlarne. Togli quello stronzo dalla tua mente e lavora!». Tuonò.

Sgranai gli occhi. «È un mio amico, cazzo! Ho il diritto di sapere!».

«Fattelo dire da lui, che lo sa meglio di me». Andò a prendersi una bottiglia d'acqua dallo zaino e bevve famelico. 

Incrociai le braccia al petto. «Io voglio saperlo da te». 

«Non lo saprai». Sbuffò.

«Perché?». Strillai.

Serrò la mascella. «Perché... non mi crederesti».

Allargai le braccia disperata. «Questo significa che non hai le prove!».

«No, Arya!». Urlò furioso. «Questo significa che loro sono bravi a nascondere le cose, che è un piano che hanno da tempo».

Ero confusa. «Loro chi, Dantalian? Parlami, cazzo!».

Si fermò per prendere un lungo respiro. «Ti posso dire solo...».

«Solo?». Lo incitai.

Alzò lo sguardo dorato e mi fissò, mi pregò di ascoltarlo, di credere almeno a quello. «Stai attenta alle persone di cui ti fidi».

Quella frase. Quella dannata frase, non era la prima volta che mi veniva detta. Una volta la pronunciò Med, io credetti stupidamente che stesse parlando di Erazm e invece era rivolta a Dantalian. Un'altra fu detta da Ananke, rivolta al Dio della morte, e ora lui. 

La furia divampò nelle mie vene come se avessi ancora Ignis dentro di me e mi portò ad avanzare, passo dopo passo, nella sua direzione. Una volta davanti a lui tirai indietro il braccio, chiusi il pugno e gli mollai un cazzotto sul naso, che gli fece piegare la testa all'indietro e spruzzare un po' di sangue scarlatto anche sulla mia maglia. 

«Mi avete rotto il cazzo, tutti quanti». Sputai acida.

Si piegò in due e si portò le mani sul naso come lo avevo visto fare tante volte anni prima. Era vero che certe cose non cambiavano mai.

«Mentula...». Imprecò senza fiato. 

Mi avvicinai al suo zaino e tirai fuori l'asciugamano bianco di cui fuoriusciva un lembo dalla cerniera. Mi pulii le mani e la maglia, lanciandolo poi ai piedi del demone ferito poco distante da me, che ora mi fissava a metà fra il furioso, l'offeso e l'eccitato. 

«Dov-e sta-i andando?». Chiese quando mi avvicinai alle scale arrugginite. 

Non mi voltai. «Hai detto che la lezione non sarebbe finita se prima non ti avessi fatto sanguinare il naso. Ora è finita». Ringhiai, con il rumore dei tacchi sul metallo che mostravano, via via, quanto fossi lontana da lui, fino a sentire solo il vociferare dei ragazzi appena usciti dalla mensa.

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