Tecum

By azurahelianthus

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#2 VOLUME DELLA SERIE CROSSED PATHS "𝐿𝑒𝑖 π‘’π‘Ÿπ‘Ž π‘Žπ‘›π‘π‘œπ‘Ÿπ‘Ž π‘’π‘›π‘Ž π‘›π‘œπ‘‘π‘‘π‘’ π‘ π‘’π‘›π‘§π‘Ž 𝑠𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑒... More

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I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
IX
X.
XI.
XII.
XIII.
XIV.
XV.
XVI.
XVII.
XVIII
XIX.
XX.
XXI.
XXII.
XXIII.
XXIV.
XXV.
XXVI.
XXVII.
XXIX.
XXX.
XXXI.
XXXII.
XXXIII.
XXXIV.
XXXV.
XXXVI.
XXXVII.
XXXVIII.
XXXIX.
XL.
XLI.
XLII.
XLIII.
XLIV.
XLV.
XLVI.
XLVII.
XLVIII.
XLIX.
L.
π„ππˆπ‹πŽπ†πŽ.
𝐔𝐍𝐀 𝐋𝐄𝐓𝐓𝐄𝐑𝐀 𝐏𝐄𝐑 𝐓𝐄
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XXVIII.

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By azurahelianthus

«Oggi parliamo della teoria della tristezza». Disse il professore, vestito con un maglione blu al di sopra di una semplice camicia bianca e gli stessi tipi di pantaloni degli alunni "normali". 

«Prima di questo, però, cerchiamo di capire cosa sia questo fenomeno che accade nella vita di qualunque individuo durante la propria esistenza sotto diversi punti di vista. La tristezza è un'emozione primaria che si prova nel momento in cui si sente o si crede di aver subito una perdita, dalla più insignificante alla più grave, e di conseguenza si prova una sensazione di scoraggiamento che, in generale, porta l'individuo a ridurre il ritmo delle proprie attività giornaliere...». Disegnò un piccolo schema sulla lavagna con il gesso bianco e io mi sistemai meglio sulla sedia, sentendo un freddo improvviso che poco c'entrava con le temperature. 

A pochi banchi di distanza da me, la sedia dove di solito era seduto Kyran oggi era vuota. Non c'erano le sue cose sul banco, non c'era il suo corpo vestito di buio, come il suo sguardo misterioso, o la sua testa coperta dal cappuccio della felpa. Melville lo aveva accompagnato in infermeria il giorno in cui lo strappo della tela fra me e Dantalian si era allargato e ne avevo saputo poco sul suo conto, solo perché avevo messo l'antipatia da parte ed ero andata a chiederlo proprio a colui che "se ne era occupato". Aveva detto che stava bene e che aveva bisogno di qualche giorno di riposo in più. 

Qualche giorno era passato, però lui oggi non era comunque lì. 

«In medicina, essa è caratterizzata da un aumento relativamente elevato del battito cardiaco e da piccolissime variazioni di temperatura delle mani, di solito più fredde del normale. Dal punto di vista neurobiologico attraverso studi effettuati tramite tecniche di neuroimmagine si sono evidenziati un'attivazione della corteccia prefrontale mediale, della corteccia cigolata anteriore, dell'ippocampo, dell'amigdala, dell'ipotalamo e di zone del tronco encefalico, di cui sicuramente conoscerete mezza parola a stento, ma vi assicuro che non dico baggianate-». Sorrise per via delle mezze risatine che si alzarono in classe e poi tornò serio, camminando avanti e indietro tra i banchi dell'aula. «Secondo voi, quanta correlazione si trova fra la tristezza e il senso di pesantezza che ci colpisce in quei momenti, quasi come se tutto avesse un peso maggiore attorno e dentro di noi?».

Una ragazza alzò la mano e lui le permise di parlare con un gesto della testa. «Nessuna, credo sia soltanto un'illusione. La mente non ha il potere di influenzare il corpo».

Il professore scosse la testa e si appoggiò alla cattedra. «I medici ed i filosofi dell'antica Grecia sostenevano la cosiddetta "teoria umorale" di Ippocrate. Questa teoria sostiene che il corpo umano sia composto da quattro sostanze che prendono il nome di "umori" e che devono essere mantenute in equilibrio tra esse. Quando l'equilibrio è perso, insorge la malattia, sia del corpo che dello spirito. Secondo la teoria le sostanze di cui è composto il corpo umano sono: bile nera, bile gialla, sangue e flegma. A sua volta, ciascun umore si relaziona con un elemento dell'universo e con una qualità atmosferica». Si spostò verso la lavagna e scrisse qualcosa.

Bile nera, legata alla terra, con proprietà di secchezza e freddo.

Bile gialla, legata al fuoco, con proprietà di secchezza e caldo.

Sangue, legato all'aria, con qualità di umidità e caldo.

Flegma, legato all'acqua, con qualità di umidità e freddo.

«Ippocrate e i suoi seguaci non considerarono mai la malattia come elemento puramente organico. Ritenevano la mente e il corpo un'unica realtà, pertanto quello che si verificava nella mente aveva effetti sull'organismo e viceversa. In seguito, Galeno integrò questa teoria segnalando come lo squilibrio degli umori influenzasse il nostro modo di essere, di sentire, di pensare e di comportarci». Incrociò le braccia sul petto e ci guardò in faccia uno ad uno. «Fu Galeno a supporre l'esistenza di quattro temperamenti possibili e derivanti dal predominio di uno degli umori essenziali». Li elencò sulla lavagna.

«Melanconico, caratterizza le persone che nell'organismo presentano una predominanza di bile nera. Hanno un temperamento triste, piuttosto suscettibile e sono portati alle attività artistiche». Indicò il nome del secondo temperamento con il dito. «Collerico, rappresenta chi ha una grande quantità di bile gialla. Ciò dà origine a un temperamento passionale, un'enorme vitalità e la tendenza ad arrabbiarsi facilmente». Indicò il terzo e scoccò un'occhiata ad una persona alle mie spalle. «Sanguigno, in questo caso predomina l'elemento del sangue. Le caratteristiche di questo temperamento sono la sicurezza di sé, l'allegria, l'ottimismo, l'espressività e la socievolezza». Indicò l'ultimo e si avvicinò di nuovo alla cattedra. «E per ultimo, flemmatico. Caratterizza chi ha una prevalenza di flegma nell'organismo. Le persone flemmatiche sono riflessive, giuste, tranquille, senza grandi capacità di impegno e un po' pigre».

Un ragazzo alzò la mano. «È una teoria che viene usata ancora ora?».

«No». Sospirò il professore. «Con l'insorgere e il consolidarsi delle scienze formali questa teoria cadde in disuso. Tuttavia, la teoria umorale ha il merito di essere stata il primo tentativo serio di classificare i diversi temperamenti dell'essere umano e fu d'ispirazione per i primi psicologi». 

La campanella suonò quando l'ultima sillaba lasciò la bocca del professore e lui si intristì, come se non ne avesse mai abbastanza di spiegare e farci capire certe cose. Ci osservò uno ad uno. «Pensateci bene e la prossima volta fatemi sapere quale tipo di temperamento potreste essere. Buon pranzo, ragazzi, potete andare». 

Annuii di riflesso e mi alzai, fuggendo da quella classe che da un paio di giorni era diventata troppo piccola per permettere a me e Dantalian di starci dentro insieme. Mi ero isolata da tutti nel vano tentativo di ritrovarmi. 

Presi il vassoio, aggiunsi la bottiglietta di acqua e storsi il naso alla vista delle pietanze di oggi. Broccoli che non avrei mangiato, purè che era l'unica cosa decente e una fetta di carne al sangue, che io preferivo nettamente più cotta. Sospirai e uscii di nuovo dalla mensa, sapendo che il mio gruppetto di amici era preoccupato del mio silenzio.

Eppure io ne avevo bisogno o non avrei saputo da dove ricominciare a rimettere i pezzi al loro posto. 

Entrai di soppiatto in biblioteca, immaginando fosse totalmente vuota a causa dell'orario, e posai il vassoio sulla parte più in fondo del tavolo, così da non essere vista facilmente dalla porta a vetri. Ci misi dei buoni minuti a ritrovare il libro che avevo deciso di iniziare la volta precedente, ma poi lo trovai: orgoglio e pregiudizio, un classico instancabile. 

Mi avvicinai al tavolo e aggrottai la fronte quando, a distanza di qualche metro, vidi una testa piena di capelli corvini piegata verso il libro che portava in grembo. Aveva un bicchiere di vetro in mano pieno di un liquido indefinito, le gambe fasciate di bordeaux accavallate e le sopracciglia aggrottate, assorto in ciò che stava leggendo.

«Hai appena commesso tre violazioni della legge in pochi minuti: non si porta il cibo fuori dalla mensa, non si mangia in biblioteca e non si spia la gente». Mormorò a voce bassa. «Din diin, complimenti, hai vinto un premio».

Assottigliai lo sguardo. «Non ti stavo spiando».

«Ammettere la realtà non è il tuo forte, quindi passiamo avanti...». Alzò lo sguardo dorato sul mio e ci vidi passare dentro un lampo di senso di colpa, rimpiazzato velocemente. «Sei triste?».

Alzai le spalle. «Vado avanti».

«Mmh». Riabbassò lo sguardo. «Se fosse così non ti saresti isolata».

Inarcai un sopracciglio. «Ti sei guardato intorno, belloccio? Mi pare che tu stia facendo la stessa cosa».

«Io lo faccio sempre. Fa parte di me la solitudine, ricordi? Mi ha fottuto il cervello». Ghignò con cattiveria.

Sbuffai. «No, ma me l'hai appena ricordato tu».

«Sei triste per il tuo amichetto? Tranquilla, tornerà purtroppo». Girò pagina e prese un sorso dal bicchiere. «L'erba cattiva non muore mai».

Mi sentii in dovere di difendere Kyran. «Infatti tu sei immortale». 

«Disse la dea». Ironizzò.

Scossi la testa. «Ma che problemi hai?».

«Tanti e tu sei il primo di una lunga lista. Motivo per cui dovresti, in qualche modo, ripagarmi... no?». Si alzò, chiudendo di scatto il libro con una sola mano, e poggiandolo sul tavolo di fronte a me. «Sei la mia partner e il mio benessere dovrebbe essere la tua priorità».

Sbuffai con un sorrisetto furioso. «Tutto ciò che ti devo va contro il tuo benessere, stanne certo».

«Fai qualcosa per me, Tiam». Si avvicinò.

Risi. «Ma non ci penso neanche».

«Sei la mia partner, dovresti fare qualcosa per me». 

Mi misi a braccia conserte. «E sentiamo, cosa vorresti?».

«Balla per me, Arya». Mormorò con voce roca e profonda. Una richiesta indiretta che sembrava più un ordine.

Sbuffai imbarazzata. «Non ci penso neanche, te lo ripeto».

«Vuoi qualcosa di più difficile o facile?». Chiese.

Ci pensai su, anche se quella conversazione portava delle vesti ridicole e assurde. «Qualcosa per cui valga la pena».

Annuì lentamente. Venne da me a passo lento, felino quasi, aggirando il tavolo. Si fermò solo quando i suoi stivali di pelle nera, decisamente non adatti all'uniforme, sfiorarono la punta delle mie scarpe dello stesso colore. Dovetti alzare il mento per guardarlo bene, vista la differenza di altezza fra il mio metro e settantacinque e il suo metro e novanta. 

Prese un sorso di qualunque cosa ci fosse nel bicchiere di vetro. La sua voce avvolse le parole successive come un abbraccio ardente e pericoloso, che mi attirava come un dolcetto proibito. «Vivi per me, allora».

«Pensi che non lo stia già facendo?». Sussurrai, perché urlare a volte non serviva a nulla. Certe parole ti colpivano anche a tono basso.

Inclinò la testa. «C'è molta differenza fra vivere e sopravvivere. Nella seconda ti trascini fuori dal letto ogni giorno, non ti ricordi neanche cosa tu abbia fatto il giorno prima, il tempo si congela e l'unica certezza che hai è respirare. Quando vivi, invece...». Si posizionò vicino al mio orecchio solo per soffiarci dentro con il suo fiato caldo. «...non ti ricordi più il motivo per cui fino ad ora hai solo sopravvissuto».

Volevo ferirlo solo per zittirlo, perché quello che stava dicendo era fin troppo veritiero. «Sembri quasi Kyran, così». 

Si tirò indietro e mi fissò con un luccichio furioso nello sguardo. «Credevo che gli dei non potessero bestemmiare».

«Non ti piace essere paragonato a lui o semplicemente ti rendi conto che lui è migliore?». Sporsi il labbro inferiore.

Alzò un sopracciglio. «Dovresti rivedere i tuoi standard allora».

«Perché, hai paura dei miei standard troppo alti?». Sporsi di nuovo il labbro inferiore in un'espressione corrucciata e teatralmente triste.

Un sorriso brutale gli deformò quella bocca frutto dei miei desideri più nascosti, carnosa e dalla forma perennemente ammiccante. «Oh no, bellezza...».

Con il dito mi accarezzò la guancia e scese giù, fino al mio collo, per poi fermarsi nel solco fra i miei seni. «Io apprezzo i tuoi standard alti». 

Si avvicinò con il viso al mio orecchio e io, per chissà quale motivo, mi immobilizzai. Poi capii, grazie ai brividi di freddo, che stava usando il suo potere di coercizione per tenermi ferma con mani invisibili. Lo sentii aprire la bocca e poco dopo la sua lingua, calda e bagnata, mi leccò la parte sotto il lobo, strisciando con le labbra morbide verso la mia mascella, per poi passare la lingua sul mio labbro inferiore. «Perché ti portano lontano da qualsiasi idiota qui dentro, tranne che da me». 

Si tirò indietro e le braccia invisibili sparirono. «Adesso ho da fare, per cui mi sento in dovere di dirti di non combinare casini. Non mandare tutto all'aria anche stavolta, chiaro?». Mi rimproverò con lo sguardo. 

«Parli e ti capisci da solo». Alzai un sopracciglio. 

Alzò gli occhi al cielo e bevve l'ultimo sorso del liquido nel bicchiere, di sicuro un liquore. «Niente di nuovo». Borbottò. 

Prima che arrivasse alla porta lo fermai parlando. «Dantalian».

Non si girò, ma sapevo che la sua attenzione fosse tutta su di me.

«Lascia la porta aperta, per favore. Se te la chiudi alle spalle rimarrò qui finché non entrerà qualcuno dall'esterno e potrebbe essere Denholm, che avrà un'altra scusa per punirmi». Mi dondolai sui talloni, in imbarazzo.

Non disse nulla, non rispose, e quando sparì fra gli scaffali non fui più in grado di vederlo. Mi sedetti nella sua stessa poltrona, godendo dell'odore di miele che aveva lasciato intorno, e mangiai in totale silenzio, leggendo e isolandomi dal mondo esterno. 

Più di un'ora dopo era il mio turno in cucina, avrei dovuto partecipare alla realizzazione della cena, e mi alzai con il cuore in gola. Riportai il libro sul suo scaffale, buttando un occhio su quello lasciato da Dan sul tavolo, quasi come se fosse un messaggio. La copertina nera la conoscevo alla perfezione, morbida e opaca al tatto. Lo girai per conferma e...

Bingo.

Era proprio lui. Con un sorriso triste lo rimisi al suo posto, seconda fila del terzo scaffale, e mi allontanai dalla piccola sezione dei libri di Rupi Kaur con un maggiore peso alle spalle. Mi portai dietro il vassoio, buttando le carte sul cestino, e mi bloccai davanti la porta. Era chiusa, a vista, ma avrebbe potuto non lasciarla spalancata per non far capire a nessuno se c'era qualcuno al suo interno.

Posai la mano sulla maniglia e la tirai verso di me. Il led sopra di essa si illuminò di verde, segnalandomi che era stata lasciata aperta. Lui l'aveva lasciata aperta. 

Con il cuore che pian piano scendeva verso il suo posto, al centro del petto, mi recai in cucina, riuscendo già a vedere la testa bionda di Honey, come quella più scura di Ximena e quella rossiccia di Nezha. Poggiai il vassoio al suo posto e mi fissarono tutte e tre con sguardi curiosi.

«Che c'è?». Mi bloccai.

Nezha ridacchiò, Honey sorrise e Ximena assottigliò lo sguardo. «Che hai da sorridere in quel modo?». 

Scossi la testa e indossai il grembiule, nascondendo il sorrisino fra i miei capelli scuri. «Niente di importante...». Minimizzai con un gesto.

Ci sono cose che non dici. Ci sono parole che rimangono incastrate tra la gola e la lingua, sentimenti che rimangono solo nel cuore, ricordi celati solo nella tua mente. Eppure ci sono, esistono e battono forte, proprio come il pulsare del muscolo vitale più importante. E forse non le dirai mai a parole, ma le tue mani lo diranno. I tuoi occhi, il tuo corpo, le tue labbra, i tuoi sorrisi, saranno il modo in cui quelle cose che non sei in grado di dire usciranno fuori. 

Perché le parole più belle provengono dai gesti.

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