Tecum

Autorstwa azurahelianthus

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#2 VOLUME DELLA SERIE CROSSED PATHS "𝐿𝑒𝑖 π‘’π‘Ÿπ‘Ž π‘Žπ‘›π‘π‘œπ‘Ÿπ‘Ž π‘’π‘›π‘Ž π‘›π‘œπ‘‘π‘‘π‘’ π‘ π‘’π‘›π‘§π‘Ž 𝑠𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑒... WiΔ™cej

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I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
IX
X.
XI.
XII.
XIII.
XIV.
XV.
XVI.
XVII.
XVIII
XIX.
XX.
XXI.
XXII.
XXIV.
XXV.
XXVI.
XXVII.
XXVIII.
XXIX.
XXX.
XXXI.
XXXII.
XXXIII.
XXXIV.
XXXV.
XXXVI.
XXXVII.
XXXVIII.
XXXIX.
XL.
XLI.
XLII.
XLIII.
XLIV.
XLV.
XLVI.
XLVII.
XLVIII.
XLIX.
L.
π„ππˆπ‹πŽπ†πŽ.
𝐔𝐍𝐀 𝐋𝐄𝐓𝐓𝐄𝐑𝐀 𝐏𝐄𝐑 𝐓𝐄
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XXIII.

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Autorstwa azurahelianthus

Non sapevo se mi stesse corrodendo di più lo stomaco la rabbia o la tristezza in quel momento. Forse l'invidia.

Erazm, mio fratello, era entrato pochi minuti prima al fianco di colui che non sapevo neanche più se fosse la mia condanna o la mia salvezza. La rabbia mi aveva incendiato da subito le viscere, come se Ignis fosse ancora dentro di me, e mi ero morsa le labbra così forte da farle sanguinare. 

Mio fratello e il mio nemico. Mio fratello e la persona che avrei desiderato mi fosse stato concesso amare. Mio fratello e la persona che mi aveva fatto più male. Mio fratello e il mio indiretto assassino. Mio fratello e il mio odioso irritante demoniaccio. 

Mio malgrado, però, c'era anche un'altra visione delle cose.

Mio fratello e la sua valvola di sfogo. Mio fratello e il suo unico amico. Mio fratello e la compagnia per il mio silenzio assordante. Mio fratello e colui che aveva riempito il vuoto della mia assenza. Mio fratello e quello che avrebbe voluto fosse suo cognato. Non "mio fratello e il mio nemico", non "Erazm e Dantalian", ma "due amici fianco a fianco".

Amici che si erano ritrovati a condividere lo stesso dolore e a capirsi. Amici e basta.

Una presenza, di cui sentii prima il respiro lento, dietro di me mi costrinse a voltarmi verso di essa.

«Arya». 

Occhi blu cobalto, fiamme invisibili al loro interno, e sorriso incerto sulle labbra che di solito erano sempre curvate in snervanti ghigni.

«Rut». Mormorai tremante, ma con un sorrisino simile al suo.

Annuì a sé stesso. «Lo so».

«Cosa sai?». Alzai un sopracciglio. 

Sbuffò e mi spinse in avanti, trascinandomi verso una stanza che forse non avevo ancora mai visitato. Era un'aula abbandonata, con una calca di banchi sulla destra e una porta di vetro dall'altra parte che portava ad un piccolo balcone. Affacciava sul bellissimo giardino pieno di cespugli verdi e rose rosse, l'unico spruzzo di colore, e in lontananza si vedeva il labirinto fatto da altrettanti cespugli. 

«So che hai bisogno di parlare, Arya, e questo non significa fare i soliti discorsi del cazzo, filosofici e intelligenti. Parlare, far uscire tutto ciò che vuoi dalla tua bocca, lasciare al tuo cuore la possibilità di lasciare andare il dolore. Non importa quello che dirai, non importa il senso che avranno le tue parole, io sarò qui e ti ascolterò. Proverò anche a darti dei consigli, anche se sono un figlio di puttana che ha sbagliato tutto nella vita». Si voltò verso di me e indicò la porta con il dito. «Ma una volta uscito da quella porta, io farò finta di non aver mai sentito quelle dannate parole. Una volta usciti da lì io tornerò ad essere l'idiota che stuzzica tutti e tu la solita stronza divertente».

Guardai la porta e poi guardai la sua mano, adesso rivolta verso di me, come ad incitarmi a prenderla. «Accetta, signorina Arya?».

«Accetto, signorino Rutenis. Ma ad una condizione». Alzò un sopracciglio e mi incitò a continuare. «A patto che tu sappia che puoi fare lo stesso. A qualsiasi ora di qualsiasi giorno di qualsiasi anno e di qualsiasi secolo io ci sarò per te, come tu ci sei stato e ci sei ora. Perché essere amici forse non è andare nella stessa strada, ma sicuramente è saper fare dietrofront e correre nella sua quando sai che ha bisogno di te».

Strinse il metallo nero del balcone fra le dita e osservò il cielo. Sapevo, lo sapevo e lo sentivo, che se avesse potuto piangere l'avrebbe fatto. «Solo quel bastardo onnisciente di Dio sa quanto io ti abbia parlato in quegli anni. Eri la mia unica amica, la mia sola valvola di sfogo, e io... non so come, ma mi sembrava quasi che mi sentissi. Che potessi vedermi mentre mi sfogavo con te. Potevi?». Scossi tristemente la testa. «Ecco, però io immaginavo di sì e questo mi bastava, era sempre meglio del tenermi tutto dentro. Ma credo che tu lo sappia bene...».

Mi osservò di sottecchi e io mi ritrovai ad annuire. «Conosco la brutta sensazione...».

Annuì. «Io, tu e Med siamo uguali in questo. Ci ho pensato molte volte, sai? Mi sono infuriato molte volte per questo».

«Perché siamo stati da soli?». Mormorai.

«Perché siamo stati da soli con noi stessi». Specificò e ancora una volta guardò l'orizzonte, che da qui neanche si vedeva a causa della fitta nebbia del posto. Sembrava surreale quel tempo, forse era anche un po' colpa dei mille cambi di umore di Dantalian e dei miei poteri, dentro di lui, che non erano più tenuti a bada. «Insomma, è vero: Ximena, Erazm e Dan hanno sofferto come cani, loro non sapevano e il loro mondo è cambiato in poche ore, abbiamo spezzato e calpestato il loro cuore con una bugia enorme, ma alla fine... loro poi si sono ritrovati l'un l'altro. In quei quattro anni Erazm aveva Dan e Xim, Dan aveva Xim ed Erazm e Xim aveva Erazm e Dan. In qualche modo ce l'hanno fatta perché erano insieme, ma noi? Noi tre?». 

Annuii e parlai con voce roca. «Noi eravamo da soli a combattere contro il nostro dolore, contro noi stessi».

«Esatto». Il suo fiato caldo creò dei piccoli sbuffi di vapore nell'aria, il che significava che fuori c'era un freddo boia. Noi non sentivamo nulla, non soffrivamo come gli umani a causa delle temperature. «Med era costretto a stare al fianco di quel figlio di puttana di Ade, aprendo e chiudendo quel fottuto cancello come uno schiavo, osservando anche le anime in pena andare verso il loro nuovo destino negli Inferi. Io ero confinato al fianco di quel maiale di Niketas, sottostando a tutti i suoi incarichi e a quelli degli altri schifosi demoni superiori a me, salendo sulla terra solo per eseguire gli incarichi e tornando subito dopo o sarei stato punito perché lui mi osservava anche da lì. E tu?».

Mi voltai. Si voltò. 

Fu in grado di leggere nei miei occhi tutto il dolore che portavo dentro, nascosto sotto le macerie delle mie precedenti ferite, cercando solo di ignorare la sua esistenza. Volevo dimenticare.

Annuì. «Non so cosa ti è successo e non lo voglio sapere, ma sono sicuro che qualcosa di terribile ti è successo per essere diventata così. Nessuno cambia totalmente se non per via del dolore, neanche l'amore ha il potere di cambiarti così. Non lo dici, ma io so che Dan non c'entra nulla con la rabbia che porti dentro. Lui è solo l'unica valvola di sfogo che puoi usare di fronte a tutti, ma quando ti chiudi in te stessa con chi te la prendi?».

«Con me stessa. Con l'unica che poteva salvarmi e non l'ha fatto».

Rut si schiarì la voce. «Due giorni dopo la tua morte Dan è venuto a parlare con il gran duca che si occupa di permettere ai demoni di avere un contatto con gli dei».

«Cosa?». Annaspai.

Annuì. «Ha voluto parlare con Thánatos per chiedergli la sua morte, e di conseguenza i (tuoi) suoi poteri, in cambio di una cosa. A quel figlio di troia non sembrava vero, sentivo la sua sporca eccitazione da lontano, considerando la bellezza dei tuoi poteri infettati dal sangue demoniaco e celestiale allo stesso tempo. Ovviamente prima di sentire la richiesta del crudele principe guerriero...». Storse il naso e il suo bel viso divenne una maschera di disgusto. «Dopo si è messo a ridere».

«Cosa gli ha chiesto?». Non rispose. «Cosa gli ha chiesto, Rut?».

Abbassò lo sguardo sulle sbarre di metallo nere. «Gli ha chiesto che la sua anima venisse portata all'Olimpo. Ovviamente nessuna anima entra lì senza un permesso speciale, che venga dato da uno qualsiasi degli dei, ma non era quello il problema... lo sai».

Chiusi gli occhi, strofinandomi disperata le palpebre con le dita.

«Solo le anime pure possono entrare all'Olimpo, demoni o meno che siano. E Dantalian ha alle spalle troppi cadaveri, troppo dolore inflitto, troppe morti. La sua anima è nera, macchiata con un pennarello così indelebile che neanche la morte può fungere da gomma». Mormorò. 

Deglutii, mentre alcune lacrime calde mi solcavano il viso. Io ora sapevo per quale motivo fosse così, cosa lo avesse portato a macchiarsi di quei crimini terribili. La sua anima era macchiata di nero, ma non era solo colpa sua, e avrei voluto che il mondo lo sapesse. Avrei voluto urlare al mondo, umano, demoniaco e celestiale, che la causa delle macchie erano loro e solo loro. Dantalian era innocente.

«Ovviamente anche in quel caso si è inginocchiato e lo ha pregato, direi più supplicato anzi. Gli continuava a chiedere di trovare una soluzione per farlo entrare, che avrebbe fatto di tutto per andare lì, avrebbe ucciso o torturato chiunque, sarebbe morto con la consapevolezza di non tornare più indietro. Il Dio della morte lo ha deriso, spiegandogli che non avrebbe mai potuto fare niente per cancellare le sue macchie, che neanche la morte lo avrebbe mai portato via dalle grinfie dell'inferno che lo aspettava. Poi ha detto che, se anche avesse potuto farlo, non lo avrebbe permesso perché sapeva che il dono dell'immortalità di Astaroth stava arrivando e che da quel momento nessuno avrebbe più potuto fare niente».

Alzai lo sguardo sul suo e lo costrinsi a guardarmi. «Gli ha detto solo questo? Io lo conosco, so che è un bastardo crudele».

Il blu dei suoi occhi divenne più chiaro, mostrando un dolore e un dispiacere che non mi aspettavo. «No. Gli ha detto che non ti avrebbe mai più incontrata, che era inutile trovare una soluzione ad un problema che non era più suo, che tanto tu non avresti più voluto vederlo. Che il fato si era sbagliato stavolta e lui... lui non era...». Abbassò la voce. «Lui non era il tuo fatum, voi non eravate fatum, e lo dimostrava l'assenza del filo che vi collegava, il motivo per cui lui non avrebbe mai più saputo dove ti trovavi. Non ti avrebbe mai più trovato».

«Cazzo-». Mi portai le mani sui fianchi e mi si curvarono le spalle, scosse da un singhiozzo che non riuscii a trattenere. 

Mi tirò verso di lui, chiudendomi le braccia attorno e stringendomi in un abbraccio. Mi strinse forte, tenendomi il volto premuto sulla sua giacca di un colore diverso dalla mia. «Non potresti farlo». La mia voce venne attutita dal tessuto. 

«Sai il cazzo che me ne frega di quel fighetto e delle sue regole di merda. Non c'è nessuna legge che mi terrà lontano se voglio abbracciare la mia unica fottuta amica che ha bisogno di me». Sbraitò.

Sorrisi, ma per poco. «Vorrei solo fosse tutto più facile». Singhiozzai come una bambina.

Posò il mento sulla mia testa e mi accarezzò la schiena. «A volte noi ragazzi facciamo delle cazzate immense, ma solo perché non sappiamo proprio cos'altro fare. Succede anche alle ragazze in realtà, succede a tutti, solo in ambiti diversi: quando non hai mai ricevuto quella cosa, non capisci come e in quale quantità darla a qualcuno. Capisci? Allora vai a tentativi, ma poi torni quello che sei sempre stato e incasini tutto, senza renderti conto che l'amore è tutto fuorché una regola».

Tremai, ma non per il freddo. Continuai a piangere senza sosta. «Sono così stanca di piangere e provare dolore, Rut. Vorrei solo rimettere i pezzi a posto».

«Forse il problema, mia cara Arya, è che devi frantumarti del tutto. Sennò come fai a rimettere i cocci al loro posto?». Mormorò.

Tirai su con il naso. «Non voglio che Dantalian mi spezzi».

Lo sentii scuotere la testa e forse anche ridacchiare a bassa voce, quasi sbuffando. «Lui ti ama, Arya. Ti ama di un amore così bianco che si vede subito in mezzo a tutto il suo nero, ma devi imparare prima a vedere le cose dal verso giusto. Devi maturare». Mi tirò indietro e mi osservò, asciugando tutte le lacrime con i polpastrelli ruvidi dei pollici.

Si abbassò fino a sussurrarmi all'orecchio. «Sapevi ciò che fosse sin dal primo giorno eppure lo hai desiderato, lo hai voluto e quasi amato. Lo hai soprannominato la tua notte senza stelle quando già sapevi che fosse il crudele principe guerriero, perciò cosa è realmente cambiato? Lui o forse tu?».

Ritrovai la voce solo quando si avvicinò alla porta. «Che vorresti dire?».

«Che forse...». Non si voltò. «...il problema non sta in lui, ma in te, che forse il coraggio di amare davvero manca a te e non a lui».

Mi mossi a disagio e lo seguii fuori. «Non lo so, a volte mi sembra una persona diversa e questo mi destabilizza».

«Sei tu la persona diversa, devi solo capire per chi vale davvero la pena rompersi. Ma soprattutto chi rimetterà davvero i pezzi a posto, tu, che non sei stata in grado fino ad ora, o Dan, che ti ama?». Alzò le spalle.

Non aveva neanche preso in considerazione Kyran, come se neanche rientrasse nella possibile lista. Come se non ci fosse, una lista.

Uscimmo dalla porta, cercando di non destare sospetti, e la richiuse senza fare rumore. Non arrivammo neanche a metà corridoio, prima che Med, Erazm e Ximena ci travolgessero con le loro domande.

«Ma dove cazzo eravate?».

«Ma che diavolo è successo?».

«È tutto okay?». Erazm mi fissò preoccupato e cercò il mio sguardo.

Annuii. «Va meglio, Er, tranquillo».

«Avete parlato?». Ximena ci osservò curiosa.

Mi scambiai un'occhiata con Rut. In mezzo ci passò l'affetto, il dolore, i ricordi, le canzoni, le stelle, i bigliettini, le lanterne, le battaglie e l'amore.

L'universo, il nostro, ci passò in mezzo e ci colorò.

Tornammo a guardare i tre moschettieri e alzammo le spalle. «Cazzi nostri, no?». Ci guardammo di sottecchi e sorridemmo, perché io sapevo e lui sapeva.

La nostra era quel tipo di amicizia di cui tutti avevano bisogno, dove si poteva ridere e insultarsi un secondo prima e parlare di un discorso serio e piangere un secondo dopo, dove gli abbracci erano rari come la polvere delle stelle ma stupendi e dove gli sguardi parlavano più delle parole. Dove gli sfoghi e le confessioni l'uno dell'altro ce li portavamo nella tomba.

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