Tecum

By azurahelianthus

441K 24.6K 12.5K

#2 VOLUME DELLA SERIE CROSSED PATHS "𝐿𝑒𝑖 π‘’π‘Ÿπ‘Ž π‘Žπ‘›π‘π‘œπ‘Ÿπ‘Ž π‘’π‘›π‘Ž π‘›π‘œπ‘‘π‘‘π‘’ π‘ π‘’π‘›π‘§π‘Ž 𝑠𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑒... More

πƒπ„πƒπˆπ‚π€
π„π’π„π‘π†πŽ
ππ‘πŽπ‹πŽπ†πŽ
I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
IX
X.
XI.
XII.
XIII.
XIV.
XV.
XVII.
XVIII
XIX.
XX.
XXI.
XXII.
XXIII.
XXIV.
XXV.
XXVI.
XXVII.
XXVIII.
XXIX.
XXX.
XXXI.
XXXII.
XXXIII.
XXXIV.
XXXV.
XXXVI.
XXXVII.
XXXVIII.
XXXIX.
XL.
XLI.
XLII.
XLIII.
XLIV.
XLV.
XLVI.
XLVII.
XLVIII.
XLIX.
L.
π„ππˆπ‹πŽπ†πŽ.
𝐔𝐍𝐀 𝐋𝐄𝐓𝐓𝐄𝐑𝐀 𝐏𝐄𝐑 𝐓𝐄
π‘πˆππ†π‘π€π™πˆπ€πŒπ„ππ“πˆ
πŒπ„π‘π‘π˜ π‚π‡π‘πˆπ’π“πŒπ€π’ β„οΈŽ ππŽππ”π’

XVI.

8.2K 491 403
By azurahelianthus

Dantalian

«Che state facendo?». Myn ci guardò con occhi sgranati, così come l'intera mensa, mentre io e Nivek attraversavamo la stanza per fermarci al centro di essa.

Il bucaneve, così lo chiamavo per via dei suoi capelli chiarissimi, mi scoccò un'occhiata ammiccante. Aveva le braccia conserte, occupato a tenere tra di esse una quantità esagerata di dolciumi di ogni tipo: cioccolato, biscotti, zucchero filato in busta. Io, nel frattempo, mi piegai verso il basso per posare a terra una grande cassa, unita ad uno stereo altrettanto grande. 

Il tonfo delle porte della mensa mi fece capire che il capo, Melville, era appena entrato. Il vociferare, infatti, si era arrestato e tutti osservavano con curiosità quel ragazzo che definivano crudele, ma senza sapere che bastava conoscerlo per capire che era tutta un'armatura per proteggere sé stesso dai colpi duri della vita. 

La gente era abituata ad odiare o giudicare una persona ancora prima di conoscerla, ancora prima di capire per quale motivo fosse diventata ciò che era. Non pensavano a quanto dolore ci fosse dietro. Quello mai. Era più facile odiare che conoscere.

Melville sorrideva, uno dei suoi soliti sorrisi accattivanti, e camminava come se il mondo gli appartenesse, ignorando totalmente le scatole di pizza sovrapposte una sull'altra che portava tra le mani. Dietro di lui, Thorne e Amyas erano messi allo stesso modo, mentre il piccolo dolce Samir sembrava faticare un po' mentre spingeva con forza una scatola piena di bibite gassate e poco dietetiche. Amos, con il petto tremante dalle risate, corse ad aiutarlo.

«Non vi preoccupate, nessuno di voi verrà punito per ciò che ci aspetta oggi e nei prossimi due giorni». Melville tornò ad avere la sua classica espressione severa e parlò a voce alta. «Fidatevi di noi, per una volta. Per ora saremo liberi, come poche volte ci è stato concesso, perché l'istituto è tra le nostre mani fino a quando Denholm non tornerà dall'orfanotrofio di Denver».

Era stata un'idea mia fare tutto questo, perché loro non l'avevano mai fatto prima. Avevano continuato a seguire le regole anche quando lui non era presente, come dei bravi burattini, ma non doveva andare così. Proprio no. Era ora di vivere un po'. 

Amos si schiarì la voce e mi spintonò con forza, ricordandomi di dover dire qualcosa. Sorrisi e alzai lo sguardo. «Ovviamente, finiti questi giorni, tutto dovrà essere ricordato solo come un sogno. Se veniamo a sapere che qualcuno ha fatto la spia...».

«Dubito potrà camminare per almeno due settimane». Nivek ammiccò.

Amos strinse gli occhi. «O forse per un mese».

«O forse... per sempre». Melville lasciò cadere la frase come se nulla fosse e il silenzio si fece più forte subito dopo. Quando fu soddisfatto batté le mani e ci indicò di cominciare a distribuire le pizze.

Erano quasi tutte semplici, con pomodoro e mozzarella per accontentare tutti, tranne quella mia e della mia partner, che sapevo mi stesse osservando senza bisogno di girarmi a guardarla. 

Sapevo sempre quando mi guardava, perché i brividi lungo la schiena erano difficili da ignorare. Quando il mio sguardo si unì al suo, fu difficile anche non correre da lei e stringerle il viso fra le mie mani, quasi troppo grandi in confronto, per finire ciò che avevamo iniziato due notti fa.  

Sentivo ancora il suo sapore tra le labbra, quel sapore che avevo sentito anche la mattina dopo e avevo sorriso, sfiorandomi la bocca per ricordare come fosse sfiorare la sua. Il sapore più buono del mondo, il più dolce, che avrei voluto fosse la mia colazione, pranzo e cena per l'eternità. Era sempre stupefacente rendermi conto di quanto fossi perso di lei e di quanto lei, allo stesso tempo, fosse la strada giusta per ritrovarmi. 

Mi avvicinai a passo felpato al tavolo dei miei amici, che ancora mi odiavano, e posai le pizze davanti a loro. Quando Rut prese quella errata gli schiaffeggiai la mano e lui mi fulminò.

«Che cazzo!». Si osservò il segno rosso, una parte ridicolmente piccola, e la sfiorò. 

Sorrisi incurante. «Quelle due hanno una scatola diversa per un motivo, razza di idiota. Sono mie e di-».

«Sì sì, tue e della tua cara partner, perché voi fate parte di quel gruppo di scimmioni travestiti da finti vip che possono fare questo e quello e bla bla bla...». Prese una pizza di quelle classiche e sbuffò, iniziando a tagliarla in fitte triangolari. «Patetico». Borbottò. 

Arya rise sotto i baffi e io sorrisi anche solo per questo. «Sei solo tanto invidioso, tesoro. E comunque no, non è come dici tu. Io e lei abbiamo due pizze diverse perché a nessuno dei due piace la pizza semplice».

Erazm si mostrò sorpreso, strappando via la punta della sua fetta di pizza con forza esagerata, e parlò a bocca piena. «Wow, te lo ricordi. Allora presti più attenzione ai dettagli di quello che sembra». 

«Che stronzata». Borbottò Rut, giocando con la fetta come se fosse pongo. Beh, non che per lui ci fosse differenza di gusto tra uno e l'altro. 

Nezha, che finora era sempre rimasta in silenzio, spostò lo sguardo da me ad Arya più volte. E poi ci indicò con la forchetta di plastica che teneva fra le dita affusolate. «Allora ti sta più simpatica di ciò che pensavo... di ciò che fai credere giornalmente, anzi».

Scossi la testa divertito. Era sfacciata proprio come la sua dolce sorellastra. Sembrava innocente e piccola, ma era tutta una facciata. 

Mi sedetti al fianco di Ximena, ignorando le occhiate fulminanti del suo amante, così da essere di fronte ad Arya e accanto ad Erazm. Lei non mi rivolse un singolo sguardo, continuando a mangiare la sua pizza identica alla mia. La diavola, ovviamente, con salamino piccante. 

«Provo una simpatia non indifferente per te». Sorrisi lievemente e morsi la mia fetta con gusto, chiudendo le labbra proprio sul piccolo cerchio di salame piccante posto sopra. Poi mi leccai le labbra, godendo dell'iniziale lieve piccante che mi bruciò la gola. 

Mi rivolsi direttamente a lei, la mia luce, e il suo sguardo cadde, come se fosse irrevocabilmente attratto, sulla mia bocca. Bingo

Sbuffò, spostando tutti i cerchietti di salame su un unico punto per mangiarli singolarmente con la forchetta. «Ti assicuro che non è una cosa ricambiata». 

«Simpatia?». Rut ghignò, ma con uno sguardo di pura cattiveria nel suo sguardo blu cobalto. «Credo sia un po' poco in confronto a ciò che provi per lei, lo sappiamo tutti». 

1-0 per lui avrei detto, se solo quella non fosse la mia battaglia. E io le mie battaglie le vincevo sempre, a qualunque costo e sacrificio.

Scossi la testa con lentezza e non distolsi mai lo sguardo dal suo, ora quasi preoccupato. «La parola, da sympatheia, significa "sentire insieme" e si usava per indicare due persone così affini da provare le stesse emozioni, al punto che se una soffriva l'altra soffriva a sua volta». 

Med annuii, come a voler confermare la cosa, ed Erazm emise un verso tra il sorpreso e il godurioso. 

Rivolsi lo sguardo al legno del tavolo mentre un sorriso ghignante mi sollevava gli zigomi spigolosi, ma solo per non farle vedere quanto affetto ci fosse dietro una semplice frase. «Quindi, come sempre, ciò che dico è assolutamente vero: tu sei la mia sympatheia». 

Dischiuse lentamente la sua bella bocca carnosa, stava ancora pensando a qualcosa da tirare fuori per controbattere, ma un rumore interruppe la nostra conversazione. Un rumore fastidioso, quello di un paio di casse che erano state accese ma dovevano ancora essere collegate.

Tutti gli occhi del nostro tavolo, come anche tutti gli altri, si posarono su Nivek, piegato e proteso verso lo stereo, con la solita camicia bianca sgualcita e tirata sulla schiena e i polsini arrotolati fino a metà braccio. Il mio coinquilino, colui con cui dividevo la stanza, era un disastro con la tecnologia. Per fortuna Amos andò ad aiutare il mio bucaneve e io risi sotto i baffi. 

Come se mi sentisse, il bucaneve si voltò verso di me. Assottigliò lo sguardo, con l'ombra di un sorriso sulle labbra, e mi fece il dito medio. Io gli mandai un bacio, con tanto di schiocco e mano volante, che lui prese e strinse al petto con espressione sognante.

Che gran figlio di puttana. Il mio gran figlio di puttana. 

Finalmente, qualche minuto dopo, il suono allegro di una canzone riempì il silenzio gelido della mensa e sembrò quasi scaldarlo. La musica lì era vietata, così come il ballo, e mi si strinse il cuore di qualche taglia al pensiero che forse erano anni che non sentivano una canzone, anni che non cantavano, anni che non ballavano. 

«Signori, scusate!». Si voltarono verso di me, confusi e divertiti. «Posso proporre una canzone?». Tenni la mano alzata e usai appositamente un tono di voce stridulo, quasi femminile, per prenderli in giro. 

Amos allargò le braccia. «Vieni pure, dolcezza! Salvaci!». Ammiccò. 

Avanzai sculettando, togliendomi la giacca sensualmente e facendo un giro su me stesso, mentre gli altri ragazzi del gruppo si lasciavano andare a fischi e parolacce volgari. Mi voltai verso Arya e le feci l'occhiolino, prima di tirargliela addosso.

La prese al volo e vidi, nei suoi occhi, la difficoltà nel tentare di restare seria, l'orgoglio del non darmi la soddisfazione di vederla ridere. Ma un lieve sorriso, solo l'ombra ancora scura e non luminosa, le curvò un po' le labbra e quello mi bastò per essere l'uomo più felice del mondo. 

Nivek, dietro di me, fischiò e mi sferrò una sculacciata sul sedere stretto negli aderenti pantaloni bordeaux della divisa. Non gli davo torto, mi facevano un culo fantastico e perfettamente scolpito.

«Se non fossi quasi fidanzato ti scoperei, qui e subito, amico». Si morse le labbra con finto fare da sensuale. 

Mi strisciai una mano sul petto e la portai al cavallo dei miei pantaloni, stringendoli e alzando la stoffa verso l'alto. «Quando vuoi. È qui solo per due persone e una di esse sei tu». Ammiccai.

Scoppiò a ridere fragorosamente e si rivolse alla mia partner. «Ragazza libro, credo proprio che l'altra sia tu!».

«Preferirei donare la mia pelle come rivestimento di una borsa!». Sputò acida, credendo forse di ferirmi, ma questo non fece altro che farmi divertire di più. 

Sussurrai all'orecchio del bucaneve quale canzone mettere e avanzai a passo svelto verso la mia luce, mentre lei mi osservava con fastidio e finta noia. La presi per le mani e la tirai in avanti, su di me, sapendo benissimo che avrebbe iniziato a dimenarsi per tentare di fuggire. Mi piegai in due, abbracciando con una presa ferrea le sue gambe, e la posai sulle mie spalle come se pesasse niente di più di una nuvola. 

Nel frattempo True Love di P!nk aveva già iniziato a riempire l'intera mensa, mentre Melville e gli altri avevano portato le rispettive partner al centro della pista improvvisata per ballare e cantare a squarciagola. 

«La stai prendendo come un'abitudine, Zolotas?!». Ringhiò. 

Ghignai e le accarezzai il sedere sodo. «Tu sei già un'abitudine, mia cara Buras». Come se niente fosse, iniziai anche a canticchiare la canzone ad alta voce, facendo in modo che mi sentisse. «At the same time, I wanna hug you».

«I wanna wrap my hands around your neck!». Lo disse con rabbia, con la misera speranza di riuscire a farlo davvero, mentre si dimenava come una piccola anguilla. «You're an asshole!».

Alzai le spalle e per questo il suo corpo si sbilanciò in avanti. «But i love you». Le sferrai un colpo su una natica, fulminandola con lo sguardo anche se non poteva vedermi, ignorando i suoi insulti. «And you make me so mad, I ask myself-».

«Why I'm still here!». La sentii sbuffare.

Sorrisi. «Or where could I go».

«You're the only love I've ever known...». Lo mormorammo entrambi, allo stesso momento, e questo mi scaldò. 

Mi mollò un pugno al centro della schiena e io grugnii di dolore. «But I hate you». Urlò. «I really hate you!».

Sapendo che stava per sferrarmi qualche altro pugno, mollai la presa sulle sue gambe e la feci scivolare sul mio corpo, tenendola in piedi con le mani sui fianchi, morbidi e caldi. Era una dea in tutti i sensi. 

«So much I think it must be!». La voce stridula e ammiccante di Nivek si fece più alta appositamente e lo vidi girare in cerchio con Myn con la coda dell'occhio. Due pazzi. 

Annuii. «True love».

«True love». La beccai ad osservarmi le labbra con sguardo perso e, quando ghignai, spostò lo sguardo, infastidito, sul resto della mensa.

Le sfiorai una guancia. «Ne sono sicuro». Mi osservò confusa. «Che sia vero amore».

Storse il naso schifata e si scostò dalle mie carezze. «Tu non sei fatto per amare». Il suo viso si tramutò in una smorfia, proprio quando l'orologio incontrò il numero dodici.

Anche se era pomeriggio, come in Cenerentola la magia sparì nel nulla più assoluto e tutto tornò com'era sempre stato.

«Non è vero che non sono fatto per amare». Spostai lo sguardo sul pavimento e il mio tono si abbassò, come se questo dimezzasse l'importanza di ciò che stavo per dire. «Semplicemente, sono fatto per amare solo una persona».

Lasciai che le mie parole si perdessero nel silenzio che le seguì e le voltai le spalle, improvvisamente a disagio, per aiutare Nivek a trovare la canzone adatta a chiedere a Myn di sposarlo, così stava blaterando, per dimostrarle il suo immenso amore.

Mi misi a borbottare come Rut. «Tanto qualunque cosa fai non andrà bene per dimostrarle quello che provi, fidati, ascolta uno più grande di te».

«Amico...». Il tonfo del portone della mensa lo interruppe. Non avevo bisogno di girarmi per sapere che proveniva dalla fuga di Arya.

Mi mollò un colpo affettuoso sulla spalla. «Non hai bisogno che uno più piccolo di te ti ricordi che è giusto arrendersi solo quando la morte ci viene a prendere, vero?».

Mi persi a riflettere qualche minuto. E quando mi resi conto che aveva sul serio ragione, che avevo promesso di non arrendermi mai più con Arya se solo lei, un giorno, fosse tornata, mi fiondai ad abbracciarlo. Lo colpii più volte sulla schiena con qualche pacca, un modo inutile di dimostrare affetto e rispetto fra di noi, e piombai fuori dalla mensa. 

Sapevo di trovarla in biblioteca e sperai di trovarla da sola, o avrei avuto un buon motivo per spaccare il bel visino di quella saponetta scaduta che si era attaccata a lei con fin troppo ardore. 

«Non so cosa fare per farti capire che sono sincero». Ammisi a voce bassa e lei sussultò.

Arya sembrò ammutolirsi, come se neanche lei sapesse quale prova avrei dovuto affrontare per farle capire che ero diverso da ciò che credeva. Ma poi si illuminò di consapevolezza. «Dimmi perché sei ciò che sei».

No. Non potevo. Non ancora.

Lei non era pronta a sentirlo e io... dopo tutti quegli anni in silenzio, la mia voce non era pronta a raccontarlo. Non avrei neanche saputo cosa dire, perché non l'avevo mai raccontato a nessuno.

Mio malgrado, assolutamente controvoglia, mi avvicinai lentamente a lei per prendere la giacca bordeaux che teneva poggiata sul grembo e che fino a poco prima stringeva come un gioiello dal valore inestimabile.

Sognai di vederla poggiare il suo nasino, piccolo ed elegante, sul tessuto solo per respirare il mio odore, solo per riempirsi di me. Solo per sentire l'odore di casa. Purtroppo, sapevo che sarebbe rimasto solo un sogno ancora per molto. La indossai come uno scudo che avrebbe potuto evitare al dolore che sentivo al petto di espandersi e sgusciare fuori. Non funzionò.

Non disse nulla quando mi avvicinai alla porta, non disse nulla quando sfiorai la maniglia pregandola di sentirla parlare. Lei non lo fece. E non mi resi conto di star parlando io finché non sentii la mia voce uscire in un mormorio basso e insicuro. 

Forse, l'amore era davvero incontrarsi a metà strada.

«Mi chiamo Dantalian Rylan Zikas».

Alzò la testa di scatto. «Cosa?».

«Il mio nome completo è Dantalian Rylan Zikas». Ripetei.

Sbatté le palpebre più volte. «Perché me lo stai dicendo?».

Puntai lo sguardo sul pavimento. Era un'ammissione che ancora non ero in grado di fare guardandola in quei bellissimi occhi verdi. «Lo sai che nessuno dovrebbe conoscere il nome completo di un demone, perché è la via più facile per marchiarlo come tuo servitore per l'eternità o evocarlo. Questa è l'unica cosa che per ora posso raccontarti di me per farti capire che puoi fidarti: affidarti la mia vita in mano e sperare che tu non la distrugga come spesso fai con il mio cuore».

Fu sorpresa, ma ancora una volta non disse nulla. 

Decisi di lasciarle del tempo per pensare, riflettere e capire che il vero nemico non ero io. Camminava a braccetto con quello vero.

Mi voltai ancora una volta e aprii la porta, ma quando la pianta del mio piede superò il confine di essa la sua voce delicata e rauca dall'emozione si fece sentire come il più bello degli urli, uno di quelli che spezza il silenzio sofferente in cui ti trovi.

«Il mio era...». La sentii deglutire. «Arya Haven Eyesflame».

Uscendo da quella stanza sorrisi per due ragioni. 

La prima, era che lei avesse fatto un passo così grande da mostrarmi che lei si fidava, anche se il suo nome completo adesso non serviva più a nulla perché non poteva essere marchiata, ma evocata sì, come tutti gli dei. 

Il secondo era il significato azzeccato del suo nome. Perché lei era davvero il mio rifugio e nei suoi occhi di fiamma io, dopo anni a braccheggiare in ogni luogo possibile senza un'effettiva riuscita, avevo ritrovato me stesso.

Continue Reading

You'll Also Like

210K 7.2K 15
Si celavano oscuri segreti dietro la famiglia Hemsworth. La mia coscienza mi pregava di tenere il naso lontano dai loro infidi affari e di non immis...
5.9K 139 64
Questa storia parla delle avventure di T/n Gerard/Mikaelson che dovrΓ  affrontare. Al suo fianco ci saranno diversi personaggi tra cui gli originali...
264K 12.9K 94
πŸ†πŸ†VINCITRICE WATTYS2023πŸ†πŸ† πŸ₯‡πŸ₯‡ PREMIO SPECIALE WEBTOON STUDIOSπŸ₯‡πŸ₯‡ Avete fame? O piΓΉ... voglia di qualcosa di buono? Oggi lo chef vi propone una...
112K 6.6K 17
Dark Swans Academy. Un'accademia dispersa tra le montagne. Shailene e Thalia. Due ballerine identiche. Due caratteri distinti e due modi di ballare...