E il tempo scivola via

By Maschera_di_fumo

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Premessa
Playlist
Dedica
Prologo
[...]
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32 (Prima parte)
Capitolo 32 (Seconda parte)
Capitolo 33 (Prima parte)
Capitolo 33 (Seconda parte)
Capitolo 34 (Prima parte)
Capitolo 34 (Seconda parte)
Capitolo 35
Capitolo 36 (Prima parte)
Capitolo 36 (Seconda parte)
[...]
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
[...]
Epilogo

Capitolo 12

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By Maschera_di_fumo

Erano passate ormai due settimane e del teppista nemmeno l'ombra. Christopher avrebbe voluto vederlo e parlarci come si era promesso di fare, ma l’azzurrino aveva smesso di presentarsi a scuola. Nessuna notizia, niente di niente. Aveva provato a contattarlo mandandogli dei messaggi; erano stati visualizzati senza avere alcuna risposta. Sospirò pesantemente buttandosi sul letto morbido della sua stanza. Con le braccia stese ed il telefono in una mano si ritrovò a mirare il candido soffitto con quegli occhi color miele. Perché gli stava impedendo di rimediare? Perché aveva un brutto presentimento? Sussultò all’improvviso squillare del telefono e, speranzoso, avvicinò il viso allo schermo illuminato. Ma rimase deluso, era la sua mogliettina pettegola.

«Come stai Susie?» chiese Dean dall’altro lato dell’apparecchio.

«Non mi ha risposto nemmeno oggi», ammise andando dritto al punto. «Sono preoccupato, non si è presentato neanche a scuola».

«Ammettilo che appena hai sentito la suoneria sei guizzato sul posto e sei corso a rispondere pensando fossi il tuo fidanzatino».

«Ultimamente sei di buon umore, Wendy ti ha proprio stregato», fece notare, «Sei più pettegolo del solito».

«Scusami tanto se mi preoccupo della susina appassita che mi ritrovo come amico». Il biondo sospirò pesantemente, ultimamente non era in vena di scherzi, era sempre con la testa tra le nuvole e non faceva altro che pensare a Victor.

«Scusa», borbottò a bassa voce. «Sono felice che tu abbia finalmente una ragazza, ma non ce la faccio più».

«Il tuo lato da mamma chioccia esce fuori. Perché non vai a trovarlo a casa?»

«Perché sembrerei uno stalker», ribattè prontamente.

«Ma tu sei uno stalker, e lui lo sa benissimo.» lo canzonò come suo solito. «Non ti chiamava Signor Stalker?»

«Come puoi prendermi per il culo ed allo stesso tempo dirmi la cosa giusta?»

«Susie, ormai ci conosciamo da quando ci scambiavamo le figurine dei giocatori di baseball alle elementari. So cosa stai pensando», disse Mcdaniel, fiero di conoscerlo a menadito.

«Anche io so a cosa stai pensando e preferirei non saperlo, falegname», lo punzecchiò. Gliel’aveva servita su un piatto d'argento.

«Sei un Buzzurro*», Chris scoppiò a ridere, lo aveva fatto irritare. Lo aveva intuito da quella parolaccia aurica che gli aveva rivolto.

«La ringrazio, messere» continuò a punzecchiarlo. Era riuscito a farlo ridere anche in quel periodo di preoccupazioni.

«Chiudo la chiamata, prima di mandarti a quel paese. Fammi sapere come va».

«Ricevuto, capo!» lo salutò White interrompendo la telefonata. Sospirò ancora una volta fissando lo schermo spento del telefono, non stava forzando le cose, vero?

§

Parcheggiò l'auto e sospirò pesantemente, passò le dita fra le ciocche bionde sempre in disordine. Scrutò il palazzo dal finestrino soffermandosi sulla finestra dell’appartamento di Victor. L'edificio risultava trasandato, con la vernice bianca che veniva interrotta da delle macchie dove si poteva intravedere la parete in mattoni. Da quando esitava così? Da quando rimuginava così tanto sul da farsi? Solitamente era impulsivo su ogni cosa. Come in prima superiore, quando si era invaghito di Elisabeth Price. L’aveva vista per la prima volta nei corridoi della scuola, con quella sua cascata di capelli castani, quegli occhi azzurri come il cielo d'estate privo di qualsiasi nuvola. Quel corpo così gracile che, al semplice tocco, sembrava potesse rompersi in mille pezzi ma allo stesso tempo così sensuale. All'inizio aveva pensato fosse come tutte le altre, che fosse un’arpia popolare come Virginia Perez perciò non vi aveva dato molta attenzione. Ma poi, per puro caso ad un'uscita, tramite amici in comune, aveva scoperto fosse una persona gentile ed affettuosa. La loro storia era normale, non era iniziata come una favola come spesso le ragazze sognano. Non era arrivato a cavallo come un principe e, lei, non era di certo una principessa. Le aveva chiesto di uscire d’impulso, dal nulla mentre chiacchieravano e si erano fidanzati allo stesso modo. Stavano bene insieme, o almeno lui credeva così, fino a quando non era stato mollato con la scusa di essere “asfissiante”. Non era vero. Per i mesi successivi si era dato la colpa fino a quando, per puro caso sempre nei corridoi, non aveva visto la sua ex fare la gatta morta con uno dei bulli della scuola. Il problema non era lui, era la castana ad essere cambiata. Ed anche se era arrivato a questa conclusione, non aveva smesso tuttora di incolparsi per quel mancato cambiamento da parte sua, avvenuto invece nella sua ormai ex partner. Scese dall’auto per dirigersi verso la porta a vetri del palazzo, per poi accorgersi di non avere la chiave per entrare. Da lì Vick non gli avrebbe mai aperto, né tanto meno risposto dal citofono. Si ritrovò ad attendere che qualcuno dei condominiali dovesse entrare o uscire di casa.

Dopo essere riuscito ad infiltrarsi ed essersi dato dello Stalker da solo, arrivò al piano destinato, dinanzi la porta della dimora dell’azzurrino. Nel corridoio nulla era cambiato dall’ultima volta. Adesso era lì, era troppo tardi per i ripensamenti, eppure, si ritrovava ad esitare. La mano, estremamente vicina al campanello tremava, insicura. Deglutì a vuoto e facendosi forza suonò. Nessuna risposta. Non poteva sapere che fosse lui, non vi era lo spioncino. Ripremette il campanello ottenendo il medesimo risultato. Iniziò a camminare per tutto il corridoio, da un’estremità all’altra. Gli era successo qualcosa? Non era in casa per qualche motivo? Solitamente non era un ragazzo così pessimista ma, quel brutto presentimento non riusciva a staccarsi da lui. Sbuffò appoggiandosi con la schiena sulla porta dell’appartamento, non gli restava che aspettare che tornasse a casa.

§

L'ascensore fece il suo solito suono acuto, avvisando il passeggero di essere arrivato a destinazione facendo guizzare il biondo sul posto. Si scostò dalla superficie in legno per rivolgersi totalmente verso la porta scorrevole dell’abitacolo. Una chioma azzurro elettrico fece capolino, quel corpo così magro ed alto. Era Price, ma vi era qualcosa di strano in lui. Faceva fatica a camminare e si teneva con una mano alla parete per muoversi. White non potè resistere, corse verso di lui afferrandolo per aggevolargli il tutto.

«Vick», sussurrò preoccupato. Le iridi ambrate si scontrarono con quelle azzurre del teppista, così simili a quelle di Beth, eppure così diverse. Il cuore nel suo petto saltò un battito, e si corresse, erano completamente differenti. Non aveva mai provato quelle farfalle nello stomaco al semplice sguardo con la ragazza.

«Christopher?» domandò confuso ed incredulo di trovarselo dinanzi. Le gote erano accaldate, la pelle pallida che solitamente contornava quel viso smunto, era sostituita da un rossore che non gli apparteneva. Le mani tremavano visibilmente, le dita fredde stringevano le sue mani calde. Quelle iridi cielo sembravano più intense contornate da quella patina liquida.

«Che hai? Non ti senti bene?» chiese Chris ignorando il suo disappunto nel vederlo lì. Gli toccò la fronte calda, era febbricitante. «Ma tu hai la febbre!» sbarrò gli occhi.

«Sto bene», sussurrò chiudendo le palpebre nel momento in cui, la mano fresca del ragazzo sfiorava la sua fronte. Un sospiro di sollievo sfuggì dalle sue labbra pallide, «Sto bene» ribadì, cercando di convincere più se stesso che il suo interlocutore. Poi riaprì lentamente gli occhi, visibilmente stanchi, per incrociarsi con quelli del ragazzo di fronte. «Perché sei qui, Signor Stalker?»

Quanto gli era mancato essere chiamato da lui con quell’odioso soprannome. «Perché non ti sei più presentato a scuola e mi sono preoccupato. E poi, volevo parlarti», ammise aiutandolo a camminare verso la porta di casa.

«Mamma chioccia, per quello che è successo, non importa. Ci sono state molte persone che si sono vergognate di me e che si vergognano tutt’ora. Non sei né il primo e di certo non sarai l'ultimo», non poteva negare di non esserci rimasto male, ma non poteva soffermarsi su queste cose in quel momento. Fece per inserire la chiave nella serratura ma si bloccò per le parole del biondino.

«Io non mi vergogno di te, tu mi piaci», asserì serio con le guance purpuree. Glielo aveva detto, il cuore sembrava potesse uscire dal petto e ballare la cucaracia intorno ad un sombrero per quanto batteva forte. Poteva sentire i propri battiti alle orecchie quando Price si congelò sul posto.

White si era confessato, aveva detto che gli piaceva. Cosa doveva rispondergli? E soprattutto, come? Non negava di non aver mai pensato a Christopher in queste due settimane, perché gli tornava in mente ogni volta che aveva potuto prendersi una breve pausa. In quel momento, il mal di testa pungente non aiutava a trovare una risposta adeguata e ragionare in maniera lucida. Sapeva solo che lo avrebbe fatto soffrire. «Christopher», sussurrò riuscendo a prendere coraggio per incrociare il suo sguardo, «Sai già come la penso al riguardo».

«Anche tu», ribadì. Gli aveva già detto che non gli importava, gli aveva già fatto capire che non lo avrebbe lasciato solo. «Non devi rispondermi, volevo solo che lo sapessi e che mi permettessi di starti accanto».

«Ne riparleremo quando mi sentirò un po' meglio», disse dopo un sospiro. Inserì la chiave ma iniziò a sentire i suoni ovattati, a vedere tutto sfocato, tutto sembrava allontanarsi da lui. Perfino la voce preoccupata del biondo arrivava flebile ai timpani. Poi vide il buio.

§

White era riuscito a portare Price, privo di sensi, dentro casa. Era rimasto sorpreso da quanto pesasse poco. Che non mangiasse a dovere? Aveva letto la perdita di appetito in una delle sue ricerche sul cancro e, essendo rimasto senza qualcuno che lo controllasse, era sicuro che il teppista si fosse lasciato andare un po' troppo. Il risultato era ben visibile: lo aveva trovato febbricitante. Gli aveva tolto il giubbotto e steso sul letto, sotto le calde coperte. Adesso doveva controllare se vi era qualche medicinale e mettere un panno freddo sulla fronte ma, il telefono squillò. Controllò il proprio ma lo schermo risultava spento. Si diresse verso il giubbotto dell’azzurrino, estrasse l’apparecchio dalla tasca e, quando lesse il nome del mittente aggrottò la fronte. Mark Barlow, il medico? Fece un respiro profondo e rispose. «Pronto?»

«Pronto?» chiese confuso l'uomo dall’altro capo del telefono, «Victor?»

«Signore, lei è il medico, giusto? Non sono Victor, ma il ragazzo che lo ha accompagnato alla prima somministrazione della chemio. È successo qualcosa?»

«Ragazzo! Non dovrei dirtelo ma quell’incoscente non risponde al telefono da due settimane. Sono arrivati i risultati delle analisi e non si è presentato, per due volte di seguito, neanche al cambio della medicazione dell’ago-cannula. Se continua così prenderà un’infezione che potrebbe sfociare in setticemia**».

Il ragazzo sgranò gli occhi, incredulo di ciò che il dottor Barlow lo aveva informato. Aveva saltato le visite settimanali e non rispondeva al telefono? Perché si era lasciato andare così? «Adesso ha la febbre molto alta, può essere dovuta…» provò a chiedere ma lasciò la frase in sospeso, il nodo alla gola che si era formato rendeva il suo tono di voce tremolante.

«Si», asserì secco il medico, «Ti mando un’ambulanza, raggiungimi anche tu qui in ospedale».

«Va bene», rispose frettolosamente White. Chiuse la chiamata e prese un respiro profondo cercando di non andare nel panico. Cosa gli era successo? Era colpa sua quel cambio di comportamento così repentino? Era colpa sua se si era lasciato andare? Non ne era certo, ma i sensi di colpa, inevitabilmente, gli appesantirono il petto e strinsero la bocca dello stomaco.

*Buzzurro: rozzo, zotico, sgarbato.

**Setticemia: La setticemia è un processo infettivo acuto causato dal passaggio di germi nel sangue. Di solito tali germi provengono da focolai infettivi localizzati in altre sedi dell'organismo.

Angoletto a piè di pagina:
Salve a tutti!
Solitamente non scrivo tra i capitoli, ma la mia impazienza questa volta ha avuto la meglio. Avrei dovuto attendere la fine della storia, ma non ho resistito!
Volevo ringraziare BlondeAttitude_ per questo bellissimo aesthetic su Vick e Chris!

Detto questo, a presto!

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