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By EiryCrows

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Versione fanfiction del sequel di Miele Selvatico che non avrei mai pensato di fare ma che avete chiesto in t... More

Incinta
Pop Corn e Cetriolini
Miao
Due. Uno...
... Sette. Tre.
Tea Party
Shopping, pioggia e consigli.
Specchi e Banconote
Illusione
Scacchi
Marshall
Incidente
Dieci
Aura
Intermezzo
Vetri rotti
Testa o croce?
Iris

Scarpette Rosse

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By EiryCrows

02

Gumball fissò con occhi sgranati la macchina bianca che quasi lo aveva investito.
Tremante, indietreggiò di qualche passo, cercando di non cadere sulla strada, come un peso morto.

Sarebbe bastato un centimetro.
Un solo centimetro e sarebbe finito sull'asfalto.

Cercò di allontanarsi un altro po' ma con orrore si rese conto che non riusciva più a muoversi.

Non sentiva altro che il suono del suo cuore impazzito nelle orecchie e nient'altro. 
Come un assordante tamburo che rimbombava feroce nella sua testa.

Trasalì.

Temeva che se non si fosse calmato subito, sarebbe morto di infarto per quanto irregolare e rapido era, in quel momento, il suo battito cardiaco.

Cercò di respirare profondamente,  accorgendosi solo in quell'istante di aver trattenuto il fiato fino a quel momento.

Doveva necessariamente riprendersi dallo spavento e andare via.
Continuare a scappare il più lontano possibile.

Il suo corpo, però, non gli diede ascolto e si ribellò, iniziò a tremare, scosso ancora dalla paura e le gambe persero ogni forza e smisero di sorreggerlo.

Gumball si appoggiò subito al cofano dell'auto per non crollare miseramente.
Nessuno questa volta gli avrebbe impedito di cadere; il suo Alpha non era lì con lui. Non c'era nessuno che avrebbe potuto sostenerlo.

Era solo.
Completamente solo.

E non valeva solo per la caduta.

Un uomo, sulla quarantina, uscì dalla macchina e si diresse a passo spedito verso di lui,  mentre un'espressione preoccupata gli solcava il volto già corrucciato. - Oh mio Dio! - Esclamò quest'ultimo, ormai ad un passo dal ragazzo terrorizzato. - Stai bene? Cristo! Ti ho quasi tirato sotto! Sei ferito? -

L'Omega portò gli occhi su quell'uomo e si umettò leggermente le labbra secche, riconoscendo immediatamente il suo secondo genere dall'odore di caffè tostato.
Un Alpha.
Uno stupido, dannatissimo, pericolosissimo, Alpha.

- Sta lontano da me. - Ringhiò di istinto tirandosi indietro, abbracciandosi di scatto l'addome con le braccia. - Non ti avvicinare. - Soffiò di getto, mettendosi in una posizione difensiva.

L'Alpha alzò immediatamente le mani e si fermò a qualche passo di distanza.
- Scusa, scusa. - Disse soltanto. - È stata una semplice distrazione... non era mia intenzione fare del male a te o... - lo guardò attentamente e fiutò l'aria come un segugio - al tuo bambino. - Concluse poi, scusandosi dispiaciuto.
- Permettimi almeno di portarti all'ospedale per un controllo o di chiamare un'ambulanza. -

A quelle parole, Gumball sgranò gli occhi.

Come faceva quell'Alpha a sapere del suo cucciolo?
Come faceva ad averlo capito?
Era il suo odore? Era già cambiato?

Lo fissò malamente e con sospetto, poi notando lo sguardo attento dell'Alpha, abbassò la testa cercando di capire cosa stesse guardando di così affascinante.

I suoi occhi scivolarono sul suo ventre,  protetto dalle braccia e li si fermarono.

Gumball impallidì lievemente e si affrettò ad alzare la testa e a togliere le braccia da lì.

Era stato istintivo.
Puro e semplice istinto da Omega.
Non aveva riflettuto; non ne aveva avuto il tempo.
L'aveva protetto di riflesso.

Perché?

Il suo istinto primario era stato quello di proteggere la creatura che aveva in grembo, anche se non la voleva.

Perché?!?

L'uomo cercò di dire qualcosa, attirando la sua attenzione ma le sue parole furono divorate e cancellate da un frastuono insistente di clacson.

In quei cinque minuti, il semaforo era scattato ed era di nuovo verde per le macchine; dietro quella bianca che lo aveva quasi messo sotto, si era formata una lunghissima coda di auto che avevano iniziato a strombazzare, arrabbiate e stanche di aspettare.

L'Alpha digrignò i denti e si girò a controllare il traffico, ringhiando parole che Gumball non riusciva a sentire.

Era la sua occasione.

Si tirò su e ricominciò a correre, attraversando velocemente quel metro che gli mancava e che lo avrebbe condotto alla salvezza.
Ma raggiunto il marciapiede, nonostante fosse arrivato sano e salvo dall'altra parte, non rallentò, anzi, aumentò l'andatura, continuando a scappare.

Da chi e da cosa, non lo sapeva.

Le persone intorno a lui si scansavano al suo passaggio, alcune imprecavano, altre lo ignoravano, altre ancora lo seguivano incuriosite con lo sguardo; con alcuni di loro, l'Omega si scontrò e fu costretto a rallentare lievemente per colpa di questi scontri.
Ma non bastarono a fermarlo.

Continuò a correre finché i suoi polmoni non iniziarono a bruciare e le gambe a tremare per lo sforzo.
Solo allora si concesse di rallentare.

Si fermò e appoggiò la schiena contro un muro, poggiando le mani sulle ginocchia per riprendere fiato.
Respirò profondamente poi rilasciò lentamente l'aria; ispirò ed espirò.
Ispirò ed espirò.

Avrebbe dovuto essere preoccupato per la sua vita, piuttosto che per quella di qualcun altro per cui aveva già deciso...

Raddrizzò la schiena e la appoggiò al muro, facendo un piccolo sospiro.

Aveva già deciso che non lo avrebbe tenuto.
Era inutile pensarci troppo.
Aveva già preso la sua decisione e non importava ciò che avessero detto gli altri, non sarebbe tornato indietro.

Strinse le labbra e ricominciò a camminare per strada, fortunatamente molto più calmo rispetto a pochi minuti prima.

Non aveva la minima idea di dove stesse andando.

Aveva preso quella direzione, in preda allo spavento.
Voleva scappare e ci era riuscito benissimo, dato che aveva perso del tutto il senso dell'orientamento.

In che zona era?
Non che gli importasse più di tanto, a dire il vero.

Alzò gli occhi sulle vetrine dei vari negozi, imponendosi di non pensare.
Gli serviva una distrazione, una qualsiasi per dimenticare tutto quello che era successo, almeno per un'ora o due.

Avanzò piano lungo la via, cercando di attenzionare tutto ciò che lo circondava.

Sembrava però, che qualche divinità  crudele si stesse divertendo a giocare con lui.
Era anche questo un piano contorto del destino?
Non poteva immaginare che esistessero così tanti negozi per bambini in posto come quello.
Non vedeva altro nei dintorni.

Scosse la testa con forza e accelerò il passo, sentendosi stringere lo stomaco in una morsa.

Erano nuovi o c'erano sempre stati?
Erano sempre stati così tanti o non aveva mai fatto caso a quella tipologia di negozio perché non gli era mai importato?

Girò l'angolo e riprese a camminare con una certa andatura, tenendo lo sguardo fisso a metà, immerso in pensieri fin troppo grandi per lui.

Aveva già deciso.
Perché il mondo sembrava suggerirgli di ripensarci?
Ma, era realmente così o era solo nella sua testa?

Passò velocemente davanti ad una vetrina poi si fermò in mezzo al marciapiede.
Sbatté le palpebre, come incantato e tornò indietro, rallentando fino a fermarsi nuovamente davanti al vetro trasparente.
C'era qualcosa lì dentro che lo aveva attirato, come un'oasi in mezzo al deserto.

Eccole.
Su una piccola mensolina.

Non riusciva a staccare lo sguardo da lì; anche se le aveva viste solo di sfuggita, distrattamente con la coda dell'occhio, era bastato perché se ne innamorasse perdutamente.

Un paio di scarpette per neonati.

Rosse, come gli occhi indomiti e selvaggi di Marshall; così piccole che avrebbero potuto stare entrambe sul palmo della sua mano, così carine da fargli sciogliere il cuore.

Si morse le labbra e abbassò lo sguardo sul marciapiede prima di portarsi le mani sul viso e nascondersi dietro di esse.

Perché? Perché ne era tanto attratto?
Era per il colore?

Lui non voleva questo maledetto bambino!
Perché continuava a pensarci?!?

La pioggerellina prima lieve aumentò di intensità e presto un diluvio torrenziale si abbatté su di lui.
Alzò lo sguardo verso quel cielo implacabile e le nuvole nere sopra la sua testa sembrarono fissarlo con ostilità, prendendosi gioco della sua esistenza.

La pioggia continuò a cadere imperterrita, senza dargli tregua, inzuppandolo completamente.

Se non fosse stato intrappolato in quel contesto, forse, avrebbe riso di se stesso.
Oppure, avrebbe provato solo pietà.

Senza neanche esserne consapevole, lentamente qualche risata isterica fuoriuscì dalle sue labbra, accompagnata da alcune lacrime che si confusero con la pioggia.

Cosa diavolo stava facendo?
Dov'è che stava andando?
Non c'era niente per lui, da nessuna parte.

L'unico posto in cui si era sentito al sicuro, l'unico a cui sentiva di appartenere, lo aveva rifiutato, abbandonandolo sotto la pioggia.

Era quasi ironico.

- Ehi! Vieni dentro o ti prenderai una polmonite! -

Una voce squillante, troppo vicina, attirò la sua attenzione, distraendolo per qualche istante e subito il suo sguardo fu oscurato da qualche spicchio di tela verde.

Abbassò lo sguardo, sulla difensiva, consapevole di non essere più solo sul marciapiede.

Una donna gli si era avvicinata di soppiatto, tenendo un grande ombrello tra le mani, proteggendo la propria testa e la sua dalla pioggia.

Gumball la osservò distrattamente, cercando di metterla a fuoco con gli occhi, ancora offuscati dalle lacrime.
Era più bassa di lui e aveva una corporatura piuttosto minuta.
Odorava di vaniglia e cocco, con qualche accento più ombroso e scuro, segno che era un'Omega e che era legata.

I capelli disordinati erano una massa indistinta di ricci castani e gli occhi scuri erano fissi sui suoi con attenzione e determinazione.

Non sembrava rappresentare una minaccia; ma, anche se si fosse rivelata pericolosa, era sicuro che avrebbe potuto, comunque, tenerle testa facilmente.

La donna sbuffò piano poi, lo prese con delicatezza per mano e lo tirò leggermente verso il negozio.
- Dai vieni dentro! -  Esclamò di nuovo, continuando ad attirarlo verso la porta. - O ti prenderai sul serio qualcosa! -

Gumball non voleva seguirla ma per qualche strana ragione, invece, lo fece.

Era stanco e la nottata insonne stava iniziando a farsi sentire; le forze iniziavano a mancargli e il malessere che stava provando non faceva altro che peggiorare la situazione.
In fondo, quello era un luogo pubblico e le strade erano ancora trafficate; se avesse voluto fargli del male, non l'avrebbe passata liscia.

La piccola Omega lo condusse all'interno del negozio, poi scosse fuori dalla porta l'acqua in eccesso dall'ombrello e lo infilò nel porta ombrelli lì accanto.
- Perché non sei entrato non appena la pioggia è diventata più forte? - Domandò con voce severa e la fronte aggrottata.

Gumball sollevò lo sguardo dal pavimento e lo portò su di lei, scrollando le spalle in risposta. - Che importanza ha? - Mormorò piano. - È solo acqua e pioggia. -

La donna gonfiò le guance e scosse la testa contrariata. - Solo pioggia?! - Ripeté. - È un vero e proprio acquazzone estivo! - Ribadì con energia. - Se ti ammali tu, per il tuo cucciolo sarà tremendo! -

Gumball sbatté le palpebre e sospirò.
Era già la seconda persona quel giorno che gli parlava del suo bambino senza neanche conoscerlo.
Era così difficile farsi gli affari propri?

Ogni sconosciuto sembrava avesse qualcosa da dire in merito e iniziava ad averne abbastanza.
Non potevano semplicemente lasciarlo in pace?

- Cosa ne sai?!? - Sbottò, ringhiandole contro. - Potrei anche non essere incinta ma avere la pancia! Perché dai per scontato che io lo sia? Non mi conosci! Potrei essere incinta e non volerlo! Ci hai pensato? - Buttò fuori di getto, in collera.

L'Omega rimase in silenzio di fronte a quello sfogo e inclinò leggermente la testa, continuando ad osservarlo.

Gumball ansimò leggermente, a corto di fiato, e si portò di nuovo le mani sul viso.

Non ne poteva più.
Quella giornata era assurda.
Voleva solo... scappare; non inveire contro una sconosciuta che per qualche strano motivo voleva solo evitare che si ammalasse.

La donna si avvicinò al ragazzo e poggiò una mano sulla sua spalla.
- Siediti, avanti. Parliamo un po'. - Disse, inoltrandosi all'interno del negozio.

Gumball la guardò soltanto, per qualche istante, dai piccoli spazi tra le dita poi abbassò le mani e inspirò a lungo. Trattenne il fiato per un po' prima di buttarlo fuori del tutto e decidere di seguirla.

Si sentiva perso e si sentiva vuoto.
Si sentiva alla deriva di un mare troppo grande per lui.

La Omega spostò la sedia che stava dietro al banco con la cassa davanti ad esso e batté più volte la mano sulla seduta per invitarlo a sedere.
- Potresti non esserlo, è vero - ammise con voce soave - ma ti ho visto tornare indietro. Se non sei incinta, forse vorresti esserlo. -

Gumball la fissò sbalordito, spalancando gli occhi e la bocca dallo shock di sentire una stupidaggine del genere. - Come prego? - Sibilò.

Lei portò gli occhi scuri su quelli dell'Omega e non si lasciò provocare dal tono che aveva usato. - Invece se lo sei - riprese subito dopo - anche se non lo vuoi, non è giusto far stare male il tuo cucciolo per un tuo capriccio. Tutta questa tensione non è salutare né per te né per lui. -

Gumball ricambiò lo sguardo per qualche momento, esitando ancora.

Gli stava davvero facendo del male?

Lentamente prese posto sulla sedia e poggiò la mano sul ventre non ancora così sporgente.

Ma, era davvero così importante essere un bravo genitore, quando già aveva preso la decisione che quello fosse solo un ostacolo da eliminare?

Riportò lo sguardo sull'Omega sconosciuta e vide che gli stava porgendo un asciugamano, preso da non sapeva dove. Aggrottò le sopracciglia, incuriosito da quel gesto e allungò la mano istintivamente per prendere il telo colorato.

- Mettetelo in testa e asciugati un po' i capelli o potresti prendere qualcosa di peggio che di un semplice raffreddore. - Lo rimproverò la Omega con voce severa.

Gumball esitò leggermente, poi obbedì e iniziò piano a tamponarsi i capelli, tenendo lo sguardo basso sul bancone, tentando di asciugare, almeno parzialmente, l'acqua in eccesso.

Anche se quella ragazza era piccola e minuta, sembrava particolarmente tenace.

- Sei molto pallido. - Disse lei ad un tratto, rompendo il silenzio che si era venuto a creare, interrotto, prima, solo dal rumore dell'insistente ticchettio della pioggia che cadeva sul vetro e dalle goccioline d'acqua che cadevano sul pavimento.

Gumball rialzò gli occhi nei suoi e sospirò. - Non ho mangiato molto. - Rispose dopo qualche istante. - E non ho dormito questa notte. -
- Il tuo cucciolo? - Si informò lei, premurosa.

Il ragazzo indugiò nuovamente poi si lasciò sfuggire un sospiro. 
- Sì. - Soffiò. - Merito suo in entrambi i casi. -

La Omega sorrise leggermente. - È normale all'inizio, essere sempre stanchi. E, sembrerà un paradosso, ma è anche, normalissimo essere così eccitati da non riuscire a prendere sonno. -

Gumball scosse con forza la testa, facendo cadere qualche goccia anche sul ripiano. - Non è quello. - Affermò.

La donna sospirò a sua volta e strinse le labbra in unica linea. Si appoggiò al bancone per poi arrampicarcisi sopra e sedersi comodamente. - So che siamo due estranei - esordì dopo un po' - ma, credo che a volte sia più facile confidarsi con uno sconosciuto piuttosto che con un amico. E penso che ti serva qualcuno che non ti giudichi; prometto di non farlo. -

L'Omega, per l'ennesima volta, esitò e si soffermò a guardare gli occhi cristallini della ragazza, mordendosi le labbra.

Poteva veramente una sconosciuta aiutarlo?

Era estranea, era vero, ma non sembrava avere cattive intenzioni e non sembrava che volesse fargli del male, anzi finora l'aveva aiutato nonostante le si fosse mostrato ostile.

Scosse leggermente la testa e spostò lo sguardo sul ripiano con ostinazione.

Non importava.
Aveva davvero bisogno di parlare con qualcuno.

- Gumball, mi chiamo Gumball. - Soffiò piano. - Tu? - Domandò a bassa voce. - E come fai a sapere che aspetto un cucciolo? - Si informò circospetto.

- È un bel nome. - La ragazza sorrise brevemente. - Il mio è Shui. - Inclinò lievemente il capo come se stesse facendo un inchino. - Per quanto riguarda la seconda domanda, invece... - portò una mano sul suo grembo - è pur sempre un negozio per cuccioli questo. E c'è qualcosa che ci spinge verso questi luoghi. Una forza misteriosa di cui non conosciamo il nome che ci attrae; un po' come è successo a te poco fa. Sei andato oltre la porta ma poi sei tornato indietro. Cosa ti ha catturato in particolare? - Ridacchiò lievemente. - In realtà, all'inizio, ho solo supposto che tu lo fossi, ma l'odore che porti addosso è inconfondibile per chi, come me, è abituato a sentirlo quasi ogni giorno. -

Gumball sospirò a lungo e si tolse l'asciugamano dalla testa, piegandolo a sommi capi prima di riconsegnarlo alla ragazza.
Si strofinò piano il viso con le mani poi preferì ignorare l'ultimo suo commento e rispose direttamente alla sua domanda.
- Un paio di scarpette rosse. - Disse soltanto, lasciandosi sfuggire un ulteriore  breve sospiro. - Sono bellissime. - Aggiunse poi a bassa voce. - Sono loro che mi hanno spinto a tornare indietro. -

Shui annuì brevemente e i suoi ricci sembrarono danzare intorno a lei quando saltò giù dal mobile.
Ripose il telo bagnato sul ripiano poi, senza dire una parola, attraversò la stanza, si avvicinò alla vetrina e con delicatezza prese le scarpette dalla mensola. Le osservò per qualche istante poi riattraversò a ritroso la strada percorsa e si riavvicinò all'Omega seduto accanto al bancone.

- Queste? - Domandò con voce soave poggiandole morbidamente sul ripiano.

Gumball le guardò intensamente e si morse le labbra stringendole con così tanta forza da scavarle con i denti.

Da vicino erano meravigliosamente stupende ed erano ancora più morbide di quanto avesse potuto immaginare solo guardandole da lontano.

Annuì piano e allungò la mano per toccare una, sfiorandola leggero, solo con la punta delle dita, come se avesse paura di scottarsi se le avesse toccate davvero.

Erano così... così...
Sembravano ancora più piccole di ciò che pensava, ma erano decisamente molto più belle.

La sua mano si bloccò a metà strada e tornò subito indietro mentre il suo volto, finalmente asciutto, veniva nuovamente inumidito da una nuova scia di lacrime che scendeva sinuosa dai suoi occhi.
Si toccò la guancia sorpreso da quella nuova ondata emotiva e abbassò lo sguardo sulle dita bagnate.

- Vuoi davvero abortire? - Soffiò Shui con voce calma e pacata.

Gumball puntò gli occhi su di lei poi velocemente li asciugò con una manica e li riportò sulla Omega, corrugando la fronte, come se non riuscisse a collegare quel nesso sottile.

- Da quel che vedo, ami già tanto la creatura che porti in grembo... -  Constatò lei, continuando a mantenere un tono il più neutrale possibile.

Il roseo trattenne quasi il fiato, mentre quelle parole gli rimbombavano ferocemente nelle orecchie, in un'eco di voci passate. Qualcuno gli aveva già detto una cosa del genere ma non riusciva a ricordare chi fosse o dove lo avesse già sentito.

- È il tuo Alpha che ti costringe a farlo? - Domandò ancora Shui, sistemandosi nuovamente sul bancone.

Gumball sgranò gli occhi.

Come poteva pensare ad una cosa simile? No, non era il suo Alpha a non volerlo, anzi tutt'altro!
Marshall era felice di averlo mentre lui... invece lui...

Che tipo di genitore sarebbe potuto essere se non riusciva ad essere felice di questa gravidanza?

Con estrema lentezza scosse la testa.
- Lui lo vuole. - Si sentì dire con voce spenta.

Shui si portò una mano sul mento,  riflettendo pensierosa. - Umh... Qual è il problema, allora? Non avete abbastanza soldi? Non vi amate? -

Gumball si torse le mani sul grembo e ricominciò a mordersi il labbro già abbondantemente sanguinante.

Qual era il problema?

Non era una questione di soldi e di certo non era una questione di amore.
Amava Marshall e aveva la certezza più assoluta che anche Marshall amasse lui.
Non gli aveva imposto il cucciolo ed era sicuro che non l'avrebbe mai fatto.

Allora qual era il problema?

Non lo sapeva.
Non era il suo compagno, non era... il bambino.

Semplicemente... non lo voleva.
Aveva deciso che fosse solo un ostacolo.

Ma a cosa?

Scosse lievemente la testa.

Lui non voleva questo bambino perché... perché...

- Allora... hai paura di non essere all'altezza? - Continuò l'Omega dopo qualche istante di silenzio.

Gumball smise totalmente di muoversi e lasciò le mani sul grembo mentre un lampo passava attraverso i suoi occhi e la bocca si torceva in una smorfia di consapevolezza.

Paura.
Perché aveva paura.

Era spaventato, no, terrorizzato di diventare genitore; di non saper... dove... come... cosa...

Aveva una paura folle che Marshall avrebbe riconosciuto la sua incompetenza e che lo avrebbe lasciato.
Aveva paura che il suo Alpha avrebbe preferito il bambino e non lui.
Aveva paura... aveva paura di non farcela.

Aveva il timore che le cose sarebbero precipitate e che non avrebbe più avuto il controllo della sua vita.
Aveva il timore che tutto ciò che aveva costruito, sarebbe crollato miseramente a causa sua.

Perché non lo voleva?
Qual era il problema?

Lui.
Lui era l'unico problema.

Non era in grado di prendersi cura di una creatura così piccola.

Lui... lui non era Marshall.
Marshall.... Marshall sarebbe stato un padre perfetto; sarebbe riuscito a conquistare il cuore del cucciolo come aveva conquistato il suo.
Ma lui... lui invece...

Gli avrebbe fatto solo del male.

Era consapevole che non sarebbe mai stato all'altezza.

- No. - Disse lui alla fine, sollevando di nuovo lo sguardo su di lei. - Non ho paura. So per certo che sarà così. - Le rispose stirando le labbra nel tentativo di sorridere.

- Nessuno di noi è veramente pronto all'inizio. - Rivelò lei senza perdersi d'animo. - E nessuno sa camminare appena nato; nessuno sa leggere, parlare o scrivere. - Ribadì. - Sono cose che si acquistano con l'esperienza. Fare il genitore è uguale, te lo assicuro.  -

- Sì, ma se sbagli a scrivere, cancelli o strappi il foglio! Se cadi, ti rialzi e fai un altro tentativo! Se le parole si confondono tra loro, riprovi finché non hanno senso! - Esclamò Gumball agitato. - Ma con un cucciolo... se... se sbagli... non... -
- Se sbagli la prima volta, alla seconda non sbaglierai. - Affermò con voce sicura la ragazza. - Imparare a correggere i propri errori fa parte della crescita. -

Il roseo la guardò di nuovo con un occhi assenti. - Ci sono errori a cui è impossibile rimediare. - Asserì duramente.
Shui sospirò. - Per quanto riguarda i cuccioli, l'unico errore incorreggibile  sarebbe quello di togliere loro la vita. -

A quelle parole, gli occhi rosa del ragazzo si spalancarono ancora una volta.

Razionalmente, sapeva che una volta intrapresa quella strada, non avrebbe avuto il lusso di ripensarci; era una strada a senso unico e senza possibilità di tornare indietro.
Ma, nonostante tutto questo, lui aveva già deciso di intraprenderla.
Aveva già... o non aveva?

Perché sentiva questo opprimente senso di colpa, se aveva già preso una decisione?

Shui vide qualcosa cambiare nel suo sguardo e colse al volo l'occasione, senza farsela scappare. - Posso farti una domanda? - Sorrise. - Un'altra, non questa ovviamente.  -

Il roseo la fissò confuso e annuì silenziosamente ancora scosso.

- Stamattina quando sei uscito da casa,  il cielo era già nero? - Domandò.

Gumball aggrottò le sopracciglia, cercando di capire per quale motivo gli avesse chiesto una cosa che non c'entrava nulla con il discorso che stavano facendo.

Scrollò piano le spalle, preferendo rimanere in silenzio.

Era stato così impegnato a cercare di scappare che non aveva fatto caso né al cielo né alle condizioni atmosferiche. Neanche quando era stato quasi investito, aveva avuto la possibilità di focalizzarsi sul tempo e quando l'aveva avuta, ormai era già troppo tardi e si era ritrovato zuppo d'acqua.

- C'erano molte molte probabilità che avrebbe piovuto. - Continuò Shui senza perdere un istante. - Perché non hai portato con te un ombrello quando sei uscito? -

L'Omega sbatté le palpebre ancora più confuso di prima.

- Forse perché, anche se c'erano tutte le premesse, non era un fatto imprescindibile. - Affermò la ragazza.
- Per quanto piccola fosse, c'era una minima chance che non avrebbe piovuto. -

Il roseo smise di fare qualsiasi cosa e rimase fermo qualche secondo a fissare il proprio riflesso nelle pozze di cioccolato fuso della Omega.

Non era... imprescindibile?
C'era davvero una piccola chance?

- D'altronde - riprese subito lei - a volte piove anche quando fuori c'è il sole, altre invece, non piove anche se ci sono nuvole scure e minacciose. E dopotutto, niente è certo in questo mondo.  Eccetto... - Fece un gesto vago con la mano poi andò avanti come se niente fosse. - Quindi, se il mondo è incerto, cosa ti spinge ad avere la certezza più assoluta che fallirai come genitore?

Gumball dischiuse le labbra per risponderle ma le richiuse immediatamente.

Quali erano le sue certezze?
Qual era il vero motivo per cui aveva deciso di rinunciare senza neanche provare?

Non aveva forse Marshall al suo fianco?
Non aveva ammesso che lui sarebbe stato un genitore fantastico?
Era invidioso delle sue capacità?

Era.... geloso che un cucciolo avrebbe voluto e avuto le attenzioni del suo Alpha?

C'erano delle risposte concrete a tutti questi interrogativi?

- Io... io non... - Esitò poi si ammutolì, incapace di trovare una risposta logica.

- Ti droghi? - Si informò Shui all'improvviso. 
- Cosa?!? No! Certo che no! - Esclamò di getto il roseo, spostando indietro il peso in un moto di repulsione.

- Umh... allora sei un alcolista? - Continuò la Omega, imperterrita.
- No.... - Rispose di nuovo lui, chiedendosi dove volesse andare a parare.

Shui fece un piccolo sorriso. - Sei violento? Sei incapace di amare? - Lo incalzò, specchiando gli occhi nei suoi.
- No... io... io... non credo... - Biascicò Gumball in risposta.

Il piccolo sorriso della ragazza si allungò, ingigantendosi. - Allora, penso che tu sia già a buon punto. - Asserì.  - La base di partenza non è male come pensi tu. - Lasciò dondolare le gambe per qualche momento, guardandole di sfuggita prima di riportare gli occhi su di lui. - C'è un momento nella vita di un Omega gravido in cui tutto sembra buio e senza via d'uscita. Il nostro corpo cambia, cerca di adattarsi al nuovo intruso e prepara il terreno adatto per favorirne la crescita. Diventare genitore è un cambiamento enorme e diciamo, gli ormoni in questa fase non aiutano molto. - Inclinò lievemente la testa. - Ma, mi hai detto che il tuo Alpha è entusiasta di questa gravidanza, no? Parlane con lui, sii sincero, il bambino è tanto tuo quanto suo, spiegagli come ti senti e quali sono le tue paure; sono certa che troverete una soluzione. Siete in due in questa avventura. -

Gumball inarcò le sopracciglia, rimanendo di nuovo in silenzio.

In due.

Anche Marshall gli aveva detto più o meno la stessa cosa.

Nostro figlio; aveva detto.
Nostro.

Si portò entrambe le mani sopra il grembo.

Insieme... avrebbero potuto farlo?
Sarebbe riuscito in quel caso?

Voleva... voleva davvero arrendersi?

Sotto le sue dita qualcosa sembrò muoversi.

Spalancò gli occhi sorpreso e tolse di scatto le mani, salvo poi rimetterle lì, tremando come una foglia. Scosso, cercò di nuovo un segno della piccola presenza ma sfortunatamente non lo trovò. Deluso, riportò le mani sul bancone e cominciò a tamburellare piano con le dita sul ripiano.

Perché era così deluso?
Perché sentirlo lo aveva agitato così tanto?
Era troppo presto! C'era forse qualcosa che non andava?

Shui inclinò la testa e aggrottò le sopracciglia. - Qualcosa non va? - Domandò.

Gumball trasalì e smise di fare rumore, appiattendo i palmi sulla superficie.
- No... io... - mormorò, ripensando ancora a quel brevissimo contatto
- ... cioè... -

Il suo cucciolo... il cucciolo... suo e di Marshall.
Voleva dirgli qualcosa?

Un timido raggio di luce entrò dalla vetrinetta, infrangendosi sul pavimento in una pozza color miele.
Non aveva ancora smesso di piovere, eppure, il sole era riuscito a sopraffare le nubi scure ed era uscito vincitore dallo scontro.

Gumball guardò per qualche istante i riflessi ambrati dei raggi e un sorriso spontaneo sfiorò le sue labbra, trasformandosi successivamente in una timida risata.
- Piove con il sole... - Disse soltanto, dopo essersi calmato leggermente e aver fatto un piccolo sospiro.

Shui sbatté le palpebre e sorrise a sua volta. - Piove con il sole. - Ripeté, ridacchiando appena. - Forse oggi vedremo l'arcobaleno.

Il roseo riportò lo sguardo sulle scarpette rosse, osservandole a lungo, come se cercasse di trovare un significato in loro ben più profondo.

In fin dei conti, non credeva al destino e non credeva alle coincidenze, ma credeva che ci fossero delle forze che ancora non erano state comprese dalla mente umana e paradossalmente, tutto nella sua vita sembrava accadere per una logica ben precisa.

Marshall e il calore erano arrivati perché smettesse di vivere come un Beta e iniziasse ad accettarsi per ciò che era.
Il rapimento, la prigionia, la fuga, perché qualcuno facesse qualcosa per proteggere gli Omega.
E adesso...

Forse, neanche il cucciolo era arrivato a lui per caso. Forse c'era un motivo per il quale era rimasto incinta senza un calore regolare. Forse avrebbe dovuto smettere di combatterlo e accettarlo.
E forse... forse nel profondo, il suo Omega interiore, lo aveva già fatto.

Scese giù dalla sedia e raccolse le mani della ragazza tra le sue. - Devo andare. - Affermò emozionato. - Hai ragione,  questo bambino è anche suo e io devo parlargli. Devo farlo... devo... - Rimase qualche istante cone sospeso poi continuò in modo deciso. - Devo dirgli come mi sento, devo dirgli cosa provo.... - Sorrise ampiamente. -  Dopotutto... aspetto un figlio con l'uomo che amo. -

Shui si liberò dalla debole presa e saltò giù dal bancone. - Che aspetti allora? - Rise. - Corri da lui. -

Gumball annuì con forza, finalmente in pace con sé stesso.
Era ancora terrorizzato.
Ma, era anche elettrizzato per la nuova sfida.
Sapeva che il suo compagno lo avrebbe aiutato a superare tutti gli ostacolo; così come aveva sempre fatto.

Si avviò verso la porta di ingresso, tuttavia, ad un passo da essa, qualcosa lo fermò. Si voltò di poco e il suo sguardo scivolò sull'oggetto sul bancone che già una volta aveva avuto il potere di richiamarlo. Alzò poi, gli occhi su quelli scuri della ragazza e di nuovo sorrise mentre tornava indietro.

Non poteva andarsene così semplicemente.

- - - - - - - - - -

Marshall ringhiò leggermente e ricominciò a camminare avanti e indietro, in lungo e in largo, esplorando nervosamente tutte le stanze del loro appartamento mentre stringeva ferocemente il cellulare appoggiato all'orecchio.

- Se non è lì, allora dove diavolo è? - Domandò ancora per la milionesima volta alla voce dall'altra parte dell'apparecchio. - Non è a casa. Fionna non sa dove sia. - Riepilogò. - Adesso tu mi chiami dicendomi che non è andato in ufficio, né si è fatto vedere in laboratorio. - Si morse le labbra mentre il suo tono da arrabbiato passava ad uno teso e preoccupato. - Ha lasciato il maledetto telefono a casa e io non ho la più pallida idea di dove sia! -

- Marshall. - Intervenne la donna dall'altra parte del telefono, che, fino a quel momento, aveva ascoltato tutto in religioso silenzio. - Calmati prima di tutto. - Tentò, cercando di placare le ansie del figlio, mantenendo un tono di voce pacato e basso, nonostante si avvertisse una lieve preoccupazione anche da parte sua.

- Calmarmi? - Sbraitò l'Alpha mentre un pensiero improvviso distorceva i suoi lineamenti in un feroce ghigno.

Era già stato in una situazione simile e non era finita bene.

- Come faccio a calmarmi se non so neanche dove sono? E se l'avessero rapito di nuovo? E se si fosse cacciato nei guai? - Ricominciò a misurare con nervosismo crescente, l'appartamento a grandi passi. - Lo sai che la sfortuna lo adora! Io non posso perderlo di nuovo; non ora! Non adesso! Ci sono in ballo molte più cose rispetto a prima, non posso perderli entrambi! Non lo sopporterei! - Si strofinò una mano sulla fronte. - Non dovevo ascoltarlo, non sarei dovuto andare via così e lasciarlo da solo! -

- Marshall, sul serio, datti una calmata. - Lo rimproverò nuovamente Hana con voce severa. - Ti avevo avvisato di non forzare troppo la mano. Il tuo Omega ha appena scoperto di aspettare un bambino, è normale che sia stravolto. Non è una notizia così semplice da digerire; forse aveva solo bisogno di schiarirsi le idee, forse si sentiva soffocare in quell'appartamento e ha solo deciso di fare una passeggiata. -

Il corvino quasi non la ascoltò. - Non è da lui saltare il lavoro. - Replicò. - E so per certo che è successo qualcosa di brutto, me lo sento. Il mio istinto non fa altro che url-

Il suono dello scatto della serratura della porta di ingresso troncò a metà la sua frase e lo lasciò del tutto muto per qualche secondo.

- Ti richiamo. - Disse poi velocemente alla madre, chiudendo in fretta la telefonata.

Si avviò in direzione del rumore, fermandosi nel corridoio a metà strada, con il battito forsennato del suo cuore che gli feriva le orecchie e tutti i suoi sensi solo ed esclusivamente concentrati sulla figura che si stagliava, lì, in mezzo.
I suoi occhi pieni di preoccupazioni e ansie si distesero lievemente e si soffermarono su quelli del suo compagno, guardandoli con intensità e per lunghissimo tempo.

Era fradicio ma sembrava che stesse bene.

L'Omega ricambiò l'occhiata nello stesso modo e i due si guardarono senza dirsi una singola parola, per quella che sembrò un'eternità; poi Gumball abbozzò un timidissimo sorriso e abbassò lo sguardo sul pavimento, spostando una ciocca di capelli rosati dietro l'orecchio.

Marshall emise un piccolo sospiro di sollievo e, come se quel sorriso avesse chiarito ogni suo dubbio, annullò del tutto la distanza che li separava.
Lo raggiunse in pochi istanti e gli cinse i fianchi, stringendolo a sè con forza, fregandosene che i residui della pioggia avrebbero bagnato anche lui.
Gli sollevò lentamente il viso e appoggiò le labbra sulle sue, baciandolo a lungo con amore ma anche con ferocia e possesso.

Non aveva dimenticato la discussione che avevano avuto, ma non aveva molta importanza per lui in quel momento.
Niente lo aveva.

Il suo compagno stava bene ed era di nuovo tra le sue braccia; quella era l'unica cosa che contava davvero.

Gumball non si oppose a quell'irruenza e anzi, approfondì l'unione portando le braccia intorno al collo del suo Alpha, lasciandolo libero di fargli tutto ciò che avesse desiderato.
Ne aveva bisogno; così come dell'aria per vivere.

Marshall lo prese in braccio, senza dargli un attimo di tregua, senza staccarsi di un solo millimetro e lo trascinò in cucina, depositandolo poi, piano sul tavolo. Gli concesse pochissimi istanti per prendere respiro e di nuovo lo baciò e lo baciò ancora, divorandolo, assaporandolo con ferocia, lasciandogli le impronte dei suoi morsi, finché le labbra dell'Omega non divennero ancora più rosse e il suo bisogno di respirare, impellente.
Solo allora lasciò che il suo compagno si staccasse da lui e solo allora, lasciò che riprendesse il fiato di cui aveva disperatamente bisogno.

- Pensavo fossi andato via per sempre...  - Sussurrò a quel punto l'Alpha, poggiando la fronte contro la sua. - Ero in ansia... ero  preoccupato... ho pensato che... ho pensato il peggio... -

Gumball sorrise debolmente e lo prese con dolcezza dalle guance, strofinando poi il naso contro il suo. - Scusa... - Soffiò con la voce resa roca dalla prolungata mancanza d'ossigeno. - Scusami... io... - Iniziò poi si interruppe e gli accarezzò dolcemente la guancia.

Marshall portò la mano sulla sua e la strinse con forza. - Non farlo più,  ti prego... - Lo supplicò. - È stato terribile non sapere dove fossi e se... - Lasciò sfumare la frase, ma il significato non sfuggì alle orecchie dell'Omega che in risposta, portò gli occhi sui suoi e annuì piano. - Ci... Abbiamo.... abbiamo bisogno di parlare... - Deglutì leggermente, esitando molto. - Devo dirti... devo dirti una cosa... -

Gli occhi rossi dell'Alpha si scurirono, mentre un velo di paura e un lieve nervosismo li attraversavano.
Anche lui, incapace di rispondergli concretamente, annuì soltanto.

- Prima però... - Prese la busta di carta che aveva portato con sé, con la mano libera e la spinse verso di lui. - Aprila. -

Marshall inclinò leggermente la testa e
lasciò andare la sua mano, prendenndo poi la busta anonima con circospezione.
La guardò a lungo in silenzio, poi, ruppe i due sigilli sotto lo sguardo eccitato del compagno. Gettò un veloce sguardo all'interno e le sue sopracciglia si aggrottarono, mentre i suoi occhi si accendevano dalla sorpresa.
Infilò dentro la mano e ne estrasse il contenuto.

Se le scarpette erano già piccole, tra le dita dell'Alpha sembravano minuscole.

Marshall fece saettare le braci ardenti sugli occhi del fidanzato, bisognoso di avere una risposta; ma le sue labbra non si dischiusero e rimasero serrate, paurose, forse, di formulare a parole, la domanda muta che aveva nello sguardo.

Gumball prese il viso del suo Alpha a coppa tra le mani e fece un profondo respiro. - Marshall... - Iniziò sussurrando. - Ho paura. - Rivelò tutto ad un fiato. - Ho paura di non essere capace di prendermi cura di questa creatura, ho paura di fallire come genitore. Di... combinare qualche disastro a cui è impossibile rimediare. Ho paura... che tutto possa andare storto. - Scosse la testa e guardò per qualche secondo le scarpette.  - Ma... ma... già lo amo tanto e... e ho te... - strinse la presa - so che sarai al mio fianco e che non permetterai che gli faccia del male. So che mi aiuterai a correggere gli errori quando sbaglierò. -
Prese la mano della sua anima gemella e la portò sul proprio grembo, poggiandoci poi sopra la sua. - Non posso rinunciare, non posso fare lo stesso sbaglio che hanno fatto... i miei genitori. Non posso farlo... non voglio. Loro si sono arresi con me ma io non... Perché... perché questa è il nostro cucciolo... è tanto mio quanto tuo... è una parte di te e... una di me... insieme. - La sua mano tremò ma l'Omega non lasciò la presa.

Aveva ormai preso una decisione.

- Quindi... quindi... avrò.... avremo... noi due... avremo questo... questo... figlio... - Sorrise lieve anche se i suoi occhi rosa  erano ancora invasi dal terrore. - Noi avremo questo cucciolo. -

L'Alpha inarcò le sopracciglia e continuò a guardare quei bellissimi quarzi, senza dire una sola parola; poi si chinò su di lui e di nuovo lo baciò con amore mentre con la mano accarezzava il ventre gravido del suo compagno, lasciando che conoscesse la sua rinnovata felicità tramite il legame.
- Grazie... - Soffiò soltanto, strofinando il naso contro il suo. - Grazie per avermi parlato. Grazie per aver condiviso tutto con me. - Continuò sollevato ed eccitato da quella notizia.

Lasciò un castissimo baciò sulla bocca dell'Omega, un altro sulla sua mascella e un altro sul collo, strofinando poi dolcemente il naso contro quest'ultimo, ispirando famelico quel profumo straordinario. - Grazie... - Ripeté a quel punto, staccandosi di poco, solo per abbassarsi ulteriormente; scostò la maglietta del fidanzato quel tanto che bastava per poi baciare quella piccola porzione di pelle scoperta,  facendolo rabbrividire.
- Marshall... - lo chiamò piano l'Omega, cercando di non mostrarsi troppo a disagio.

Ma Marshall dedicò un piccolo dolcissimo sorriso al ventre del suo compagno e di nuovo ne baciò la pelle rosea. - Ciao cucciolo mio, sono... il tuo papà... - Sussurrò poi. - So che non ci conosciamo ancora, ma presto lo faremo... - Alzò leggermente lo sguardo sull'Omega, solo per qualche istante,  giusto il tempo per ammirare il suo viso rosso, imbarazzato e sorpreso.
Sorrise teneramente per quella celestiale visione poi riportò l'attenzione sul suo piccolo. - Volevo solo dirti che ti amiamo - riprese a bassa voce - e volevo chiederti di fare il bravo con la mamma; sei il nostro primo cucciolo e la tua mamma, in questo momento, è tanto bella quanto fragile. - Gli depositò l'ennesimo bacio a fior di labbra e riabbassò la maglietta, sussurrando ancora qualche parola prima di allontanarsi dalla piccola pancia.

- I... idiota... - Piagnucolò Gumball,  strofinando le mani sugli occhi per cancellare le lacrime.
L' Alpha ridacchiò piano poi gli cinse i fianchi e lo tempestò di baci finché il suo compagno non smise del tutto di piangere. 

L'Omega tirò su con il naso e mise un piccolo broncio che Marshall non tardò a mordere, facendogli emettere un piccolo gemito in risposta.
- Non sono fragile. - Si lamentò poi, rimbeccando il fidanzato.
Poggiò la testa contro il suo petto, beandosi finalmente della vicinanza che aveva troppo a lungo bramato.

- Mmh mmh... - Ribadì semplicemente l'Alpha, accarezzando lentamente i capelli del compagno.
Si fermò all'improvviso poi cominciò a tastare ogni ciocca con le dita di entrambe le mani.
- Hai i capelli bagnati! - Esclamò,  rimproverandolo con lo sguardo, riducendo subito gli occhi a due piccole fessure. - Va' subito a farti una doccia calda e ad asciugarti, Prince! - Ordinò.  - Non riesco a credere di aver tralasciato il fatto che fossi zuppo, fino ad adesso! -

Gumball ridacchiò lievemente e lo afferrò dalla maglietta prima che si allontanasse troppo. - Eri troppo preoccupato e poi... troppo emozionato. - Sorrise dolcemente.  - Ma lo farò solo se verrai con me. -

Marshall lo squadrò da capo a piedi con un'espressione indecifrabile sul viso.
- Mascalzone sfacciato. - Disse soltanto, chinandosi a mordere di nuovo la sua bocca. Poi, le sue labbra si arricciarono nel suo solito sorrisetto da volpe. - Ti amo. - Mormorò,prendendolo in braccio come una novella sposa.

L'Omega sorrise di rimando e si accoccolò nuovamente contro il suo petto. - Ti amo anche io... - Sussurrò, mentre poggiava la mano sul grembo.  Lo accarezzò piano e con dolcezza, come se fosse un oggetto estremamente fragile.

Aveva ancora paura. 
Era ancora terrorizzato.

Ma per nulla al mondo avrebbe rinunciato a quella nuova avventura.

- - - - - - - - - -

Il taxi si diresse verso la sua destinazione e si fermò davanti ad un bar dall'insegna al neon sfarfallante, scarica e malconcia.
Aspettò che il cliente pagasse la corsa e che scendesse, poi riprese la sua corsa, defilandosi silenziosamente per le strade cittadine.

L'uomo rimase qualche istante a fissare la porta sgangherata poi produsse uno schiocco di disprezzo con le labbra e spingendola via con il piede, entrò nel locale, portando con sé la sua valigetta e il suo costosissimo completo su misura.
Fu probabilmente quest'ultimo, decisamente fuori contesto, per il luogo in cui si trovava, ad attirare gli sguardi di tutti.
Ma non durò a lungo.
Quell'individuo aveva intorno a sé un'aura troppo pericolosa per provocarlo.

L'uomo ignorò tranquillamente quelle occhiate ed esplorò la sala, lasciando l'ingresso solo quando trovò quello che cercava.
Si avviò verso il bancone del bar, dove una donna dai lunghi capelli bianchi stava inveendo e gridando contro un barista che palesemente non voleva più servirle da bere.

- Come è caduta in basso la Regina. - Ghignò, sedendosi sopra lo sgabello che gli sembrava più stabile. Attirò del giovanotto con un cenno del capo e ordinò un Godfather.

La donna, irritata da quella nuova presenza, portò gli occhi di ghiaccio sulla nuova figura ed emise un ringhio basso.
- Cosha  vuoi? - Sbraitò, trascinando le parole per via dell'eccesso dell'alcool. - Vuoi prenderti gioco di me anche tu come quei vecchi bacucchi? Il grande boss che viene a litigare con un pesce piccolo? -

L'uomo afferrò il suo drink e lo sorseggiò brevemente, prima di sorridere. - Se affondi tu, affondiamo tutti. -

La donna strinse le labbra in una smorfia. - Mi stai forse minacciando? - Ringhiò, ergendosi sullo sgabello in tutta la sua notevole statura.

- Au contraire.  - Rispose semplicemente l'uomo infilando la mano all'interno della giacca per estrarre un foglio di giornale spiegazzato e ripiegato su se stesso. - Ti sto dando un'occasione per farci vedere quanto vali, ancora. -
Poggiò il foglio sul bancone, mettendo ben in evidenza la foto a colori, poi lo strisciò verso la donna che nuovamente ringhiò feroce nel riconoscere i due soggetti.

- Quei maledetti! - Sbraitò furiosa. - Mi hanno portato via tutto! - Afferrò malamente il foglio di giornale e strappò quella maledetta foto a metà.

L'uomo arricciò le labbra in un ghigno divertito. - Sono venuto a proporti un accordo. Una vendetta per così dire. - Disse soltanto, giocherellando con un piccolo coltello a serramento. - Risolvi i tuoi casini e io non ti elimino. Ci stai? - Lo fece scattare, poi con un gesto fluido lo infilzò sulla faccia del giovane dai capelli rosa.

La donna osservò per qualche istante il volto dell'Omega distorcersi sotto la lama e un sorriso malsano le si aprì sul viso.
- Affare fatto. -

Angolo autrice:

Eheheheheheh... muahmuahmuah!
Davvero voi piccole anime innocenti pensavate che sarebbe stato tutto rose e fiori? Con me come autrice? Ahahahah
Poveri illusi...
La mia Bio non mente. 😈😈😈


EiryCrows ~

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