Snuff (Ran Haitani FF)

By cecinestpasunotaku

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«Roppongi. Era lì che, per molto tempo, lui aveva "regnato" indiscusso, padrone insieme a suo fratello Rindou... More

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Introduzione all'atto finale
Atto finale - Scena prima
Atto finale - Scena seconda
Atto finale - Scena terza
Atto finale - Scena quarta
Atto finale - Scena quinta
Atto finale - Scena sesta
Atto finale - Scena settima
Epilogo
Ringraziamenti

I. Primo incontro

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By cecinestpasunotaku

-Voglio che tu sia a casa entro mezzanotte, non si discute.-

-Ma mamma, quando arriveremo lì saranno quasi le undici. Ti prego, per una volta, possiamo spostare il coprifuoco all'una?-

-Sei impazzita? Ti ricordo che Roppongi non è il posto più sicuro dove girare da sola nel cuore della notte.-

-Saremo in quattro e non ci separeremo. Papà, dille che sta esagerando, per favore.-

Voltai lo sguardo verso mio padre, che si era appena seduto sulla poltrona di fronte a noi in sala, cercando di persuaderlo con gli occhi da cerbiatto che, quando ero bambina, mi avevano sempre permesso di avere la meglio quando volevo ottenere qualcosa.

-Beh, cara, Reiko è sempre stata affidabile, credo che per una volta potremmo farle una concessione. La cosa più importante è che tu ci scriva quando sarai arrivata al locale, quando ripartirai da lì e, soprattutto, che non ti allontani mai dalle tue amiche.- rispose il signor Misaki, desideroso di porre fine a quella discussione tra le donne di casa.

-Visto? Il papà si fida! Ti prego, sarà solo per questa volta.- dissi rivolgendomi a mia mamma, sperando che la diatriba giungesse finalmente alla fine.

-E va bene, non voglio passare sempre per la guastafeste. Per stasera potrai rientrare all'una, ma non un minuto più tardi, signorina.-

-Oh, grazie grazie grazie! Siete i migliori! Ora vado, devo raggiungere Mei e le altre alla fermata!- risposi con entusiasmo e, senza dar loro tempo di ribattere, corsi per le scale ed entrai nella mia stanza.

Dovevo recuperare solo la borsa, le chiavi di casa e il cappotto, dopodiché avrei raggiunto le ragazze all'ingresso della metropolitana. Una volta preso il tutto, scesi in ingresso, salutai i miei genitori promettendo nuovamente che avrei rispettato l'orario di rientro ed uscì.

Era la prima volta che sarei uscita a Roppongi: tutti i miei compagni di classe erano soliti passare lì i sabati sera e, dopo molta fatica e tentativi di mediazione, anche io e le mie amiche abbiamo avuto il permesso di andare lì nel finesettimana. Non ero mai stata il tipo di ragazza a cui interessa andare in discoteca: fondamentalmente, o vai lì per trovare qualcuno con cui spassartela o per ballare.
A me non interessava né l'uno né l'altro, tuttavia l'entusiasmo delle mie compagne mi aveva contagiata al punto da avermi convinta ad andare con loro. Dopotutto, l'importante non è tanto cosa si faccia per passare la serata, ma con chi la si passa.

-Reiko, per fortuna sei arrivata. Se avessimo aspettato altri cinque minuti, avremmo di sicuro perso il treno.-

-Scusami Mei, ma ho avuto un piccolo contrattempo. Andiamo prima di dover aspettare davvero il prossimo.-

Salimmo tutte e quattro sul vagone che si fermò davanti a noi, ma rimanemmo in piedi, non riuscendo a trovare posto. Notai, non so se con piacere o meno, che ero l'unica a non aver messo un vestito, preferendo optare per un pantalone.

-Dai Reiko, per una volta potevi fare lo sforzo di metterti in tiro anche tu.- disse Megumi. Inutile dire che lei era la più agghindata tra noi: vestito nero corto, giacca e stivaletti. Aveva sempre avuto buon gusto nel vestire e, se non fosse stato per lei, non avrei imparato ad abbandonare gli abiti casual che ho sempre amato.

-Suvvia, non essere così puntigliosa, Megumi. Ha messo solo quello che la fa sentire più a suo agio.- rispose Rika, forse la più tranquilla del gruppo e la più comprensiva. Di solito, quando scoppiava una lite, capitava che lei intervenisse per placare gli animi e riconciliarci. Credo proprio che sia solo merito suo se la nostra amicizia va avanti da più di dieci anni.

-Non ti ci mettere anche tu, Rika. Stiamo andando in una delle discoteche più in voga di Roppongi, pensa a quanta gente ci sarà, bella gente. Lo dico per lei, non per me: poteva mettere qualcosa che la rendesse ancora più carina di quanto già sia.-

Megumi poteva apparire molto superficiale, vista la grande attenzione che aveva sempre dato all'aspetto estetico, ma conoscendola più a fondo riuscivi a capire veramente come fosse. Per me che condivido le ore scolastiche e il tempo libero con lei da quando siamo alle elementari, era chiaro che lei dicesse questo perché ci teneva al fatto che le sue amiche (me inclusa) si valorizzassero e si mostrassero al meglio della loro forma. Non era tanto una questione legata all'apparenza, ha sempre voluto che noi ci sentissimo sicure di noi e che ci curassimo, perché, come era solita dire lei stessa: "Non si tratta di apparire belle agli occhi degli altri, ma di piacersi e avere un po di amor proprio, dannazione!"

-Ragazze, siamo arrivate.-

Mei, fortunatamente, mise fine a quella conversazione e, una volta che le porte del vagone si aprirono, uscimmo lungo la via principale di Roppongi. Durante il giorno, anche se poche volte, mi era capitato di recarmi in questo quartiere per una passeggiata, ma di notte le strade assumevano un aspetto totalmente diverso. Sembrava di essere a New York o Las Vegas, le insegne dei bar e dei locali erano tutte illuminate e le luci si riflettevano sulle pareti di vetro dei grandi grattaceli, rendendo lo spazio intorno luminoso fino all'inverosimile.

Camminammo per circa duecento metri, quando giungemmo finalmente alla nostra destinazione: la scritta ESPRIT TOKYO si mostrava sul pannello al led che coronava l'ingresso del locale, davanti al quale si stava già creando una certa fila. Riconoscemmo alcune persone della nostra scuola, coetanei o più grandi, ma sicuramente non c'erano solo persone di Shibuya e Roppongi lì, quella sera. D'altronde, ci trovavamo nel quartiere del divertimento per eccellenza.

Aspettammo almeno dieci minuti e, finalmente, potremmo entrare. Il locale non era particolarmente grande, ma, nonostante ciò, riuscimmo a trovare un posto dove sederci un attimo.

Quando la pista, pian piano, iniziò a riempirsi, Rika, Mei e Megumi mi trascinarono con forza a ballare. Cercai di divertirmi e lasciarmi andare per un po', ma onestamente non sono mai stata molto sciolta. Avevo l'impressione che le persone intorno a me potessero notare facilmente quando fossi poco aggraziata e poco a mio agio in un simile contesto, per cui, dopo un'ora penata fino alla fine, mi allontanai dalle ragazze con il pretesto di andare a prendere qualcosa.

Mi sedetti al bancone, sperando vivamente che a nessuno venisse l'idea di prendere posto vicino a me per attaccare bottone, e il barman fu subito da me in poco tempo: -Che cosa desidera, signorina?-

-Un Cuba libre, grazie.-

Aspettai pochi secondi e il bicchiere mi fu finalmente servito.

-Quanto ti devo?-

-Ne faccia uno anche per me, offro io.-

Proprio quello che speravo non accadesse: qualcuno venuto lì per abbordarmi con il pretesto di offrire un drink.

*

-Mi spieghi, esattamente, perché dobbiamo per forza prendere parte a questi eventi mondani?-

-Beh Ran, la risposta è subito detta. Anzitutto, ho voglia di andare a divertirmi.-

-E perché non ci vai da solo?-

-E qui si arriva al secondo punto: se siamo davvero i padroni di Roppongi, dobbiamo pur farci vedere in giro ogni tanto e ribadire chi è che comanda qui.-

-Sì sì, va bene Rindou. Se la smetti di assillarmi, mi preparo subito.-

-Bene, ti aspetto giù per uscire.- rispose il biondo, chiudendo la porta della stanza del fratello alle sue spalle.

"I padroni di Roppongi". Questo era il titolo che era stato dato a Ran Haitani e a suo fratello minore, Rindou, cinque anni fa, quando avevano picchiato il leader e vice-leader del team Kyougoku. All'età di soli tredici anni, senza bisogno di una schiera di uomini al loro servizio, erano riusciti ad impadronirsi di un intero distretto e, da allora, nessuno aveva osato opporsi a loro. Fino ad ora non si erano particolarmente interessati all'idea di espandere il loro controllo su altri quartieri della città, né, tantomeno, qualcuno aveva osato avvicinarsi a Roppongi. I due fratelli avevano la fama di essere particolarmente forti e crudeli, quasi sadici nei combattimenti: il minore, Rindou, aveva l'abitudine di rompere le articolazioni a chiunque gli ostacolasse la strada e traeva quasi piacere dalle urla di disperazione delle sue vittime; Ran, apparentemente il più disinteressato e annoiato dei due, non era di certo meno forte o crudele del fratello, dal momento che con il suo bastone di metallo o con dei mattoni era solito spaccare il cranio ai suoi avversari.

Nessuno avrebbe mai osato mettersi contro due ragazzi che, da soli, erano in grado di mettere fuori gioco interi plotoni. Decise comunque di assecondare il fratello ed uscire per andare all'ESPRIT TOKYO: ribadire a chiunque volesse alzare la cresta contro di loro che non sarebbe stato per niente conveniente, aveva comunque un suo perché.

Prese la prima camicia nera che aveva trovato nell'armadio, un paio di pantaloni, le scarpe e legò i lunghi capelli neri e biondi in due trecce.

-Ran, muoviti!-

-Arrivo.- e scese le scale, raggiungendo la porta d'ingresso.

Da quando Ran era diventato maggiorenne¹, i due fratelli avevano comprato un piccolo bilocale nel quartiere di Roppongi, in modo da controllare da più vicino la zona e poter vivere da soli e autonomamente. Il loro appartamento distava poco dal cuore del distretto: tempo cinque minuti in moto e i due arrivarono di fronte alla discoteca. Alla loro vista, alcuni si allontanarono timorosi, cedendo loro il posto in fila per evitare di averci dei problemi; altri, sulla soglia dell'ingresso, corsero all'interno del locale per evitare di essere raggiunti dai due; molte ragazze, invece, presero a guardarli in modo ammiccante, ottenendo pochi e scarsi risultati.

Una volta giunti dentro, l'atmosfera non era tanto diversa: molte persone si erano voltate a guardarli con aria tra il timoroso e il reverenziale e la tensione si poteva tagliare con un coltello. Quando i presenti videro che i due Haitani se ne stavano andando per la propria strada, emisero un sospiro di sollievo.

-Che perdita di tempo, Rindou, dovevamo venire proprio in questo buco?-

-Dai Ran, ricorda: l'importante è farsi vedere e basta, non dovremo star qui fino alla chiusura.- disse il fratello minore, che si allontanò dal più grande per andare a farsi un giro.

-Perfetto. E io cosa dovrei fare per le prossime due ore?- disse tra sé e sé il maggiore dei Haitani, passandosi le mani sul viso con aria annoiata.

Appena ebbe finito si stropicciarsi gli occhi, posò lo sguardo sul bancone del bar, dove una ragazza si stava dirigendo con aria sospettosa. Bastò un attimo per capire che non aveva alcuna voglia di stare lì: non aveva un vestito corto, come quello di molte altre ragazze, che lasciasse poco spazio all'immaginazione dei ragazzi venuti in quella discoteca per rimorchiare e si guardava intorno sperando che nessuno la notasse. O meglio, quasi nessuno.

-Allora qui c'è qualcosa di interessante da fare.-

*

Mi voltai per vedere da chi provenisse quella voce. Era un ragazzo che non avevo mai visto nella mia scuola o nel mio quartiere, probabilmente era di quella zona. Sarà stato alto almeno un metro e ottanta, a giudicare da come appariva mentre era in piedi. Indossava una camicia nera, un pantalone a sigaretta dello stesso colore e delle scarpe sportive, allo stesso modo scure. I capelli lunghi erano raccolti in due trecce, che ritenni che stessero molto bene con il suo volto sottile. Ciò che mi colpì di più furono i suoi occhi: non avevo mai visto qualcuno con le iridi viola e con uno sguardo così disinteressato.

Mi destai da quei pensieri quando il ragazzo in questione si sedette accanto a me. Cazzo.

-Dimmi un po', cosa ci fa una così bella ragazza tutta sola al bancone del bar di una delle migliori discoteche di Roppongi?-

Non parlai. Forse avrebbe capito che non volevo portare avanti la conversazione.

-Sai, a casa mia di solito si dice "Grazie" quando qualcuno ti offre qualcosa.-

-A casa mia mi hanno insegnato a non accettare regali dagli sconosciuti.- risposi stizzita, sperando di troncare quella conversazione sul nascere.

-Vedo che hai la lingua biforcuta.-

-E io vedo che ancora non te ne vai.-

-Sai, ti converrebbe abbassare i toni visto chi hai davanti.-

-Come già ti ho detto, non parlo con gli sconosciuti.-

Prima che me ne rendessi conto, allungò la sua mano verso il mio volto, sfiorandomi la guancia con le sue dita sottili. Poi riprese a parlare, con un tono molto mieloso.

-Tesoro, vuoi dirmi che non sai chi sono? Ma come no, sono Haitani Ran, il "padrone di Roppongi".-

-La tua identità continua ad essermi ignota. Dimmi un po', sei il classico bulletto di quartiere che ruba le merendine ai bambini?-

Se fino ad allora il ragazzo davanti a me aveva mantenuto un ghigno derisorio sul volto, ora aveva serrato la mascella assumendo un'espressione piuttosto seria.

-Oh no, mia cara, non sono quel tipo di persona. Vedi, se io adesso ti facessi del male e tu provassi a chiamare aiuto, nessuno verrebbe in tuo soccorso. Sai perché? Nessuno si mette contro uno dei fratelli Haitani.-

Mentre parlava, il suo volto si era fatto sempre più vicino al mio e iniziai a temere che la situazione potesse prendere una brutta piega. Capii che non stava scherzando quando, gettando l'occhio sull'ambiente intorno a noi, non vidi nessuno avvicinarsi al bancone e lo stesso barman intento a pulire bicchieri senza alzare mai lo sguardo dal suo lavoro. Rimasi in silenzio per un minuto buono, finché il ragazzo non uscì dal mio spazio vitale e, con non curanza, prese in mano il bicchiere e si stampò sul volto lo stesso sorrisetto di prima.

-Bene, ora che sai chi sono io, è giusto che io sappia il tuo nome o sbaglio? D'altronde non sono più uno sconosciuto.- disse con voce derisoria e quasi amichevole, mentre beveva un sorso.

Io non risposi nulla sul momento, ancora turbata da quanto successo pochi istanti fa.

-Il gatto ti ha mangiato la lingua? Guarda che puoi bere, non ho messo nessuna droga nel tuo bicchiere.-

-Mi chiamo Misaki, Misaki Reiko.- dissi con un po' di titubanza. Era un bene rivelare la mia identità ad un ragazzo che, fino a pochi istanti prima, era stato così minaccioso con me?

Cercai di allontanare ogni dubbio bevendo un po del drink, anche se sentivo che la tensione stava salendo alle stelle.

-Significa "Gratitudine", giusto?-

-Sì.-

-E adesso dimmi, mia cara Reiko, perché sei qui tutta sola mentre le altre persone intorno a te si divertono?-

-E tu come mai sei qui? -

-Ah ah ah, non si risponde ad una domanda con un'altra domanda.-

-Sono venuta qui con amiche. Adesso sono stanca di ballare e volevo bere qualcosa.- tagliai corto -Ora rispondi tu.-

-Con piacere, ma chérie. Sono venuto qui con mio fratello minore, mi stavo annoiando e volevo bere qualcosa.-

Dopo la sua risposta calò il silenzio: lui continuava a fissarmi, forse aspettando che gli chiedessi qualcosa; io continuavo a bere facendo finta di niente. Una volta finito di bere, alzai lo sguardo sull'orologio appeso dietro alla parete del bar e vidi che era passata da poco la mezzanotte. Il bus sarebbe partito senza di me, se non mi fossi sbrigata!

-Bene, Haitani Ran, piacere di averti conosciuto, ma devo andare: le mie amiche mi staranno cercando e ho un bus da prendere.- gli dissi senza guardarlo in faccia e correndo verso l'ingresso.

Nel frattempo si era creata una fitta calca sulla pista da ballo e feci piuttosto fatica ad uscire. Provai a chiamare Megumi, Rika e Mei, ma non c'era campo nel locale. Dopo quasi dieci minuti uscì all'aperto e, per poco, non urlai dalla rabbia: l'ultimo autobus per Shibuya era partito e senza di me.

Solo una volta che fui fuori dalla discoteca, vidi un messaggio di Rika: si scusava anche da parte delle altre per non avermi aspettato, ma l'autobus stava partendo e il successivo sarebbe passato solo all'1.30.

Per ricapitolare: mi sono trovata davanti uno psicopatico, le mie amiche se ne sono andate senza dirmi niente (anche se, forse, ero io che mi ero allontanata da loro non badando troppo all'orario) e in più avrei dovuto tornare a casa da sola ben oltre il coprifuoco.

-Vaffanculo, cazzo!-

-Faccia d'angelo, quelle brutte parole non ti si addicono.-

Mi voltai e, sotto l'insegna dell'ESPRIT TOKYO, vidi il ragazzo del bancone che stava sfilando il pacchetto di sigarette dalla sua tasca, con molta nonchalance.

-Stanne fuori, per favore.-

-Hai perso l'autobus e non sai come tornare a casa? Puoi venire da me, se vuoi, ma ti avverto che dovresti condividere il letto con il sottoscritto.-

-Preferisco farmi Roppongi-Shibuya a piedi, grazie.-

-Allora è lì che abiti!- esclamò lui, sorridente come un bambino che aveva appena ricevuto il suo giocattolo preferito come regalo di Natale.

Mi maledissi mentalmente per avergli detto anche dove abito, finché, dopo aver finito la sua sigaretta, si avvicinò e mi disse: -Vieni, ti porto a casa.-

-Io non mi faccio accompagnare da te.-

-Pensa a quanti tizi loschi ci saranno in giro per le strade di Tokyo la notte. Ti conviene farti scortare da qualcuno o potresti andare incontro a qualche spiacevole imprevisto. Inoltre, mi conosci, non dovresti avere paura.-

Per quanto sapere il nome di qualcuno non significhi per forza di cose "conoscerlo", non vidi alternative: o aspettare il prossimo mezzo pubblico e arrivare a casa dopo le 2.00 rischiando una lavata di capo dei miei o andare a piedi, impiegando comunque molto tempo e con tutti i pericoli del caso, o andare con lui.

Se dovevo morire, volevo scegliere di che morte, perciò accettai l'offerta.

-Va bene, vengo con te.-

-Perfetto!- rispose con un sorriso a trentadue denti -Vieni, la mia moto è proprio qui.-

-Io non ci salgo su quella con te.-

-Beh, puoi sempre aspettare il pullman se vuoi, tutta sola, ad una fermata, in una via frequentata dai peggio papponi.-

-OK, VA BENE! Adesso salgo.-

Titubante, mi avvicinai alla sua motocicletta, presi il casco che mi stava porgendo, lo indossai e salii.

-Vedi di aggrapparti bene: non vado particolarmente piano quando devo essere puntuale.-

-Cosa diamine...?!-

Non ebbi modo di concludere la mia domanda, perché all'improvviso partì a tutta velocità. Non sapendo cosa afferrare, gli cinsi il busto con le braccia, appoggiandomi alla sua schiena per paura di cadere indietro.

-Tesoro, così mi distrai.-

-STAI ZITTO E PORTAMI IMMEDIATAMENTE ALLA STAZIONE DI SHIBUYA.-

-Agli ordini ma dame.- rispose ridacchiando.

Le luci della città sfrecciavano ad una velocità incredibile e il vento mi pizzicava il volto rendendo difficile tenere gli occhi aperti. Incantata dalla visione di Tokyo di notte, non mi posi nemmeno il problema che lui magari potesse portarmi altrove anziché a casa. Poteva rapirmi o stuprarmi o uccidermi, eppure mi ero affidata a lui, non avendo molte alternative.

In meno tempo di quanto immaginassi, scorsi la stazione di Shibuya e lo sentì chiedermi dove girare da lì. Lo feci svoltare a destra, ma, non volendo che scoprisse dove abitassi di preciso, poco dopo gli chiesi di fermarsi.

Appena si accostò col suo mezzo, scesi, gli restituii il casco e gli dissi: -Casa mia è poco lontano da qui, posso proseguire da sola adesso.-

-Non vuoi che io scopra dove abiti, vero?-

-Sapere il tuo nome non significa che tu non sia più uno sconosciuto. Dunque, grazie mille e addio.-

Non gli diedi modo di rispondere e mi allontanai, percorrendo i duecento metri che mi separavano da casa mia e senza sentire un suo sussurrato "Arrivederci". Rincasai alle 00.57, tre minuti prima del coprifuoco.

Fortunatamente, prima di partire dal locale, avevo scritto ai miei che stavo tornando a casa, così non avrei dovuto parlare con loro appena rientrata e avrebbero potuto andare a riposare tranquilli.

Mi lavai il volto, tolsi gli abiti della serata e andai in camera mia, pronta per dormire e sicura del fatto che non avrei mai più messo piede a Roppongi.

¹ La maggiore età a 18 anni entrerà in vigore in Giappone partire dal 1º aprile 2022. Tuttavia, dato che al momento della narrazione degli eventi passati Ran avrebbe 18 anni, per comodità narrativa ho cambiato l'anno di raggiungimento della maggiore età, che fino ad oggi è sempre stato a 20 anni.

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