The Nutcracker Suite

By Lizzbee23

2.2K 189 159

Germania, 1940 Ester aveva sempre voluto scappare da quella prigione che era la sua vita, dove non poteva più... More

Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 15
Capitolo 16

Capitolo 14

63 4 0
By Lizzbee23


Anno 1943, Berlino
Villa dei Schmidt

L'aria fredda entrava dalla grande finestra aperta, facendo ondeggiare il candido tessuto della tenda di lino bianco, accarezzando il letto matrimoniale dove riposava una donna.
Ella si svegliò dai dolci sogni mettendosi seduta, stropicciandosi gli occhi e guardando la mano nera e sporca di trucco che non aveva rimosso il giorno prima.
Si alzò frettolosamente, calciando le lenzuola morbide e prendendo le vesti, buttate la sera prima sul pavimento lucido con violenza e passione dall'uomo con cui condivideva la stanza, o almeno, che aveva condiviso per quella sera.
Si coprì il seno nudo guardandosi intorno, la stanza era ampia, occupata per la maggior parte dal letto e dal grande armadio di legno, pieno di completi da uomo che profumavano di colonia.
La donna corse verso la porta più vicina dove stava il piccolo bagno personale, parandosi di fronte allo specchio e cercando di sistemarsi il più possibile, guardandosi con ribrezzo.
I capelli biondi scendevano in boccoli disordinati sulle clavicole, erano sformati e scomposti, qualche forcina pendeva ancora dalle ciocche lunghe e morbide, il rossetto ormai era sbavato e il mascara era colato, aveva in sintesi un aspetto orrendo.
Si lavò la faccia aprendo il rubinetto di porcellana, sciacquandosi con vigore il viso con sapone e acqua calda e asciugandosi col panno decorato ai bordi con motivi floreali.
Nonostante senza trucco non fosse un granché, si preferiva in quello stato abbastanza apprezzabile che quello di prima.
Si sistemò alla bell'e meglio e corse nel salottino scendendo frettolosamente le scale, dirigendosi verso Friedger Schmidt, uomo facoltoso dell'alta società, possedeva ben tre fabbriche che rifornivano l'esercito tedesco ogni qual volta ci fosse stato il bisogno.
Era un uomo affascinante, alto e slanciato e la sua figura veniva risaltata dal tait color melograno, mentre fumava elegantemente dal costoso sigaro Por Larrañaga poggiando le labbra sottili e sensuali su di esso, seduto sul divano di pelle della grande stanza accogliente e moderna, per niente sfarzosa ma di un eleganza che pochi riuscivano a cogliere.
I capelli gli cadevano sulla fronte neri come la pece e gli occhi verdi erano cristallini, attenti, furbi, che guizzavano e osservavano con attenzione e curiosità, come se il soggetto interessato fosse una nuova marca di sigaro da degustare.
Fece uscire il fumo dalle narici, posando gli occhi sulla donna che aveva interrotto i suoi pensieri.
Era l'amante Amalia, una ragazza di appena 25 anni che aveva sposato un uomo per la sua rendita settimanale e che aveva accalappiato in meno di un minuto, riuscendo ad accompagnarla nella sua camera da letto.
Bella e giovane, gli piaceva ma non lo interessava, era una bel passatempo e l'avrebbe tenuta finchè non si sarebbe stancato, come faceva con tutte.
Fino ad allora nessuna donna lo aveva colpito a tal punto da farlo innamorare, nessuno riusciva a carpire il suo essere profondo e il suo comportamento a volte tedioso e attento ai particolari, a volte svogliato e freddo.
Si era anche sposato, ma colei che aveva giurato di amare in eterno ora viveva con i genitori a Mosca e non era stato che un matrimonio di convenienza, si incontravano raramente e non con piacere, ognuno viveva la sua vita.
Era troppo impegnato con il lavoro per occuparsi di futili storielle d'amore, quindi si divertiva di tanto in tanto con donne di poco conto, non gli piaceva mettersi nei guai ma quando succedeva sganciava una mazzetta e tutto veniva magicamente dimenticato.
Guardò la donna che indossava l'abito del galà della sera prima dove l'aveva incontrata, dal taglio scontato e dal tessuto economico, lo guardava imbarazzata ma felice.
-Io devo..?- chiese timorosa indicando la porta d'ingresso.
-Oh, no. Fammi compagnia.- disse semplicemente spegnendo il sigaro ormai finito e alzandosi velocemente dal divano di pelle con eleganza.
-Andiamo a fare una passeggiata, ti compro un bel vestito, mh?- le poggio una mano sul fianco guardandola gentilmente, una cordialità vuota e di circostanza.
-Oh ma mio marito...-
-Lui non batterà ciglio, ne sono sicuro.-
Dopo poco erano tra le vie di Friedrichstraße, quartiere caratterizzato dalla presenza dei molti negozi e meta per sperperare soldi in vestiti, scarpe, borse e accessori vari.
Il Signor Schmidt di solito passeggiava li, si sentiva a suo agio quando era circondato dalle persone che correvano e con passo sostenuto sbrigavano una faccenda e l'altra, parte di un economia scalpitante e viva, come un cuore pulsante.
Amalia gongolava felice piena di pacchetti raccontandogli cose che essenzialmente non gli interessavano, cose frivole e da cortile.
L'aveva reputata diversa all'inizio, si era interessato sinceramente, ma aveva perso interesse poco dopo che aveva aperto bocca, la sua mente era imbottita e insonorizzata, doveva essere soltanto un abbellimento dell'uomo.
Friedger aveva incontrato donne in gamba, intelligenti, tutte sottovalutate ma con un grande potenziale, ma a differenza di quelle frivole non riuscivano a carpire le sue esigenze e i suoi sentimenti.
Ma dopotutto se la passava bene, era ricco e non aveva bisogno di nulla.
Guardò in alto, dando un'occhiata alle bandiere rosse dei nazisti, quando un pensiero gli balenò in testa.
-Amalia?- chiese interrompendo il fiume di parole che le usciva dalla bocca.
-Si?- chiese sorpresa lei.
-Vorresti accompagnarmi in un viaggio? Per stasera devo partire per Cracovia e ho bisogno di qualcuno che mi intrattenga.- Amelia gli sorrise felice.
-Certo! E che farai li?- chiese lei curiosa, prendendogli il braccio, non pensando più minimamente al marito.
-Ho una cena con mio fratello, il Generale Schmidt, lavora nei pressi e volevo fargli visita.-


Quella sera arrivarono nella villa del generale, che li accolse con grande vigore quando uscirono dall'auto, in divisa e in perfetto rigore.
La villa era in mezzo agli arbusti, svettava gloriosa nella sua bellezza elegante, somigliava vagamente al suo proprietario che non era bello come il fratello maggiore, ma aveva quel fascino ariano che contraddistingueva i soldati nazisti
Portava i capelli biondi tirati indietro e gli occhi verdi erano coperti da una patina malvagia, pronta a terrorizzare, senza pietà, adatti al lavoro da Generale.
I tratti erano duri, severi, la mascella definita era sporgente e il naso, dritto, svettava su due labbra sottili e piegate in un sorriso malizioso.
Il viso sembrava essere modellato dal marmo tanto era spigoloso, e il fisico era quello di un soldato: tonico, plasmato per la battaglia.
Li accolse nonostante tutto con un sorriso caloroso, ma di fretta, come se avesse qualcosa da fare di molto più interessante che stare lì a chiacchierare del più e del meno.
-Non vi dispiacerà farvi un'altra ora in macchina, no? Per adesso lasciate i bagagli alle mie cameriere, ci penseranno loro a sistemarli negli appositi armadi, noi andiamo a cena.-
Friedger aggrottò le sopracciglia contrariato, infastidito dal comportamento del fratello che dopo tutta quella strada voleva che continuassero a marcire dentro un' automobile senza neanche averli accolti e fatti riposare.
-Arthur, dove ci stai portando?- chiese prendendolo per un braccio.
-Dove lavoro io, ci sarà da divertirsi.- gli sorrise salendo nella sua auto e accennandogli di seguirlo.
Friedger non replicò, d'altronde Arthur non gliene aveva dato la possibilità e dopo un'ora si trovarono in mezzo alla foresta, dove da lontano, tra le fronde degli alberi di betulle si intravedevano delle luci e usciti dalla boscaglia si innalzarono dei plessi grigi e dall'aspetto austero.
Scesero proprio li, in una piazzetta che univa tutti gli edifici e appena Amelia mise piede fuori fece una smorfia disgustata.
-C'è una puzza...- sussurrò.

Friedger commentò anche l'odoraccio indefinito, nonostante sapesse da dove provenisse. -Odore di carne bruciata, ugh.-
Il Generale ignorò quei commenti, aprendo la porta e invitandoli ad entrare. -Andiamo nella sala da pranzo.-
La sala era semplice, un tavolo e delle sedie attorno di legno scuro, una piccola finestrella bianca con tende di lino in fondo e i muri chiazzati di muffa.
Il biondo si sedette a capotavola con un sorrisone, mentre anche il fratello e la donna si sedevano.
-Allora che mi racconti?- domandava mentre schioccava le dita nella direzione di donne magre e cadaveriche in una divisa a righe.
Ovviamente Friedger era a conoscenza dell'identità di quelle donne, ma non fece cenno ad Amelia di conoscerle, mentre lei si rivolgeva confusa verso la saletta dove le deportate erano sparite, ma avendo l'accortezza di non fare alcuna domanda.
-Nulla di chè, le mie attività lucrano come si deve, anche se avrei bisogno di un notevole rifornimento di operai.- lo guardò facendosi intendere, di certo quella non era solo una visita di cortesia.
-Ci sono altri campi, chiedi rifornimenti loro e non a tuo fratello.- rispose duro Arthur Schmidt mentre arrivava il cibo nelle mani delle ragazze, che guardavano languide il cibo senza poterlo toccare.
Un guizzo di pena mosse il cuore di Friedger che prese un pezzo di carne infilandolo nel fazzoletto e facendolo cadere per terra, subito preso da uno di loro che lo strinse al cuore come un regalo prezioso.
-E la guerra?- chiese il suddetto rivolgendosi al soldato. -Come procede?-
-Non leggi i giornali?- lo derise il fratello minore masticando la carne rumorosamente, facendo finta di non vedere la bontà del fratello. -I russi hanno fermato l'assedio a Leningrado e gli americani continuano a bombardare.- si passò la lingua sui denti.
-Ho sentito parlare di un gruppo chiamato Rosa bianca, cosa mi dici approposito?-
-Finalmente la GESTAPO li ha fermati e sono stati decapitati...- rise divertito. -Cosa pensava di fare un gruppo di cristiani? Fermare un Reich?-
-Nessuna opzione è esclusa, no?- Friedger fece portare la bottiglia di Giffard che aveva comprato in Francia, sapeva che il Generale Schmidt ne andava pazzo e gli sarebbe piaciuto, infatti appena lo vide chiese subito alle cameriere di versarlo nel suo bicchiere cristallino.
Nel farlo la povera ragazza che aveva portato il liquore fece cadere il bicchiere di Amalia che si frantumò a terra.
Tutti rimasero in silenzio, mentre la povera ragazza si inginocchiava subito a raccogliere i cocci scusandosi a mezza voce, delle grosse lacrime le scivolavano sul viso incavato e le mani le tremavano convulsamente.
Mentre cercava di raccogliere i pezzi più fini e appuntiti il piede di Arthur si poggiò sul dorso della mano della ragazza, premendolo sui cocci di vetro in modo che le penetrassero la pelle.
Un urlo squarciò il silenzio, mentre Arthur le tappava la bocca con forza. -Puttana ebrea.- sibilò schifato per poi tirarle un pugno facendole scrocchiare la mascella.
La suddetta cominciò a tossire sangue poggiando il gomito sul pavimento, ma la sua pena non era finita visto che il Generale cominciò a tirarle calci violenti sul costato e ben presto la stanza fu riempita dai gemiti di dolore e i singhiozzi trattenuti della ragazza.
Amalia era sconvolta, stava dritta con gli occhi spalancati, l'espressione terrorizzata mista allo shock mentre guardava il soldato che picchiava una povera donna per un errore stupido, mentre l'uomo d'affari aspettava che quella scena ridicola finisse al più presto col volto girato, incurante.
Quando si sedette si pulì le mani sporche di sangue con noncuranza mentre faceva cenno alle altre donne di portare via il corpo esanime della cameriera e di pulire il disordine che si era creato, cosa che venne fatta subito.
Amalia osservò il corpo della ragazza venire trascinato via dalle compagne, un sacco privo di vita che lasciava la scia del sangue, il cui odore aveva invaso tutta la stanza.
Le donne non avevano alcuna espressione sul volto emaciato, completamente insensibili.
-Siamo riusciti a contrastare gli Ucraini a Karkov.- Arthur deglutì rumorosamente l'alcolico, mentre subito si scolava un altro bicchiere e ne versava uno ad Amelia, che dalla faccia pallida sembrava che ne avesse proprio bisogno. - Il resto non so, sono poche e essenziali le informazioni che ci arrivano qui al campo.-
Si alzò prendendo la bottiglia dal collo e bevendola sorseggiando abbondantemente. -Vi... faccio fare il giro delle baracche, eh?-
-Baracche..?- chiese Amelia confusa e spaventata, afferrando il braccio dell'imprenditore in un gesto di consolazione.
-Si.. queste sono le baracche dei soldati.- singhiozzò con le guance paonazze, ormai brillo. -Lei signorina sa suonare il violino?-


Ester barcollava ritornando dal faticoso lavoro che avevano compiuto anche quel giorno.
Le brontolava la pancia, ormai le ossa delle braccia sporgevano come quelle del petto, i piedi erano graffiati e sporchi e presentava dei lividi e ferite per tutto il corpo.
Il dolore fisico rispetto a quello psicologico era di gran lunga minore.
La ragazza era stanca, stanca di continuare a vivere, di continuare a sopportare quella routine interminabile che era caratterizzata dai soprusi, dalle morti.
Quel giorno avevano scavato la fossa per i loro stessi compagni, impiccati e fucilati pubblicamente e la collana di Ester si faceva ogni giorno più pesante.
Chi aveva progettato l'attacco, la sera prima, era stato scovato e ucciso selvaggiamente, la punizione era gravata su tutti in modo imparziale, raddoppiando le ore di lavoro e di conseguenza, la fatica.
Aveva guardato il terreno arido sotto i suoi piedi per non osservare la morte di tutte le altre ragazze della sua baracca, con il cuore che si spezzava a ogni fucilata e le lacrime che si facevano abbondanti sul suo viso.
Helma non era presente, chissà dove si era cacciata, l'avevano salvata per conto di suo padre?
Era morta con le altre? Non lo sapeva.
Ester sperava si fosse salvata, nei suoi sogni aveva raggiunto Hanz ed erano andati via.
Quella mattina si era svegliata col volto premuto contro il terriccio bruno, puntinato di piccoli fiocchi bianchi, si era rialzata lentamente e mentre la prima neve di quell'anno cadeva dolcemente sulla terra, si rese conto che era circondata da corpi morti di donne.
Donne ebree, Rom e Sinti, oppositrici politiche, testimoni di Geova, emigranti, omosessuali.
Erano li, come foglie d'autunno staccatesi dall'albero, mille corpi morti, illuminati pallidamente sotto la luce dell'alba, giacevano immobili con la bocca spalancata, con le palpebre socchiuse.
Mille triangoli di colori diversi nella stessa, sudicia, bagnata e rossa, divisa di lavoro.
Tutte con le braccia alzate, rivolte verso la libertà fugace.
Ester pianse e corse nella sua baracca, prima che qualche soldato l'avesse fucilata come poi fecero con le sopravvissute.
L'unica motivazione che non la faceva buttare contro il filo spinato era il viso di Wilm, degli zii e dei familiari, che comparivano nei suoi sogni facendole ripercorrere momenti felici, dove la sua vita era migliore e la ragazza sorrideva.
Certe volte si rendeva conto di quante volte si era lamentata di idiozie, futili, aveva pianto per cose che adesso le sembravano sciocchezze, si reputava una stupida ora, eppure le mancavano quei piccoli problemi che le sembravano enormi e insormontabili perché erano dettati dall'innocenza, cosa che in quel campo era inesistente.
Quando apriva gli occhi ricominciava l'incubo.
Aveva smesso di piangere, pensava di aver finito l'acqua in corpo ma si rese conto che non era l'acqua che mancava, ma la realizzazione della sua impotenza.
Quelle lacrime non l'avrebbero riportata a casa, alla sartoria, nella sua stanza, con la gente che amava, ma avrebbe allargato il buco nel petto che si insidiava sempre più in fondo in lei, cancellandola piano piano, uccidendola dall'interno.
Si era sdraiata accanto a Adeline che aveva chiuso gli occhi, non riusciva a rincuorarla neanche lei ormai, purtroppo neanche la Francese era messa meglio di lei, ma a differenzza sua aveva delle certezze.
Le aveva raccontato della sua vita in Francia, di suo marito Jacques e di suo figlio Eugène che era riuscito a rifugiarsi con la sorella maggiore Odile nella soffitta di un amica di famiglia.
La sua unica gioia era che i suoi figli fossero sani e al sicuro e anche se lei fosse morta, sarebbe stata felice.
Anche Ester avrebbe voluto avere quella sicurezza, ma sapeva che era un sogno utopico.
Quindi viveva nel dubbio, tra il dolore e la speranza.
Strinse di nuovo il ciondolo intonando la sua preghiera silenziosa, ma ad interrompere quella quiete fù il rumore di risate sguaiate e di urla.
Tutte le ragazze si alzarono lentamente, disturbate si affacciarono alla finestra.
-E' il Generale Schmidt.- affermò in polacco una ragazza, Ester riuscì a cogliere il cognome per capire che stavano per arrivare guai.
Le ragazze di altre baracche le avevano parlato che adorava eliminare donne e uomini attraverso giochi sadici e ridicolizzando le vittime, lo faceva la sera e soprattutto da ubriaco, anche se le sue vittime preferite erano gli uomini.
Era come se riuscisse ad affermarsi e a sentirsi completo attraverso quei sopprusi, vincitore di una lotta mai combattuta,  gonfiava il suo ego con i deboli deridendo i deportati più magri e deboli.
Dedusse dalle risate che era decisamente brillo, e dalla vicinanza crescente che per quella sera la sezione maschile del campo sarebbe rimasta al sicuro.
-In fila! Forza, forza!- uscì la pistola sparando verso il cielo, mentre le deportate si sbrigavano a uscire in fila ordinatamente.
Quella sera di Febbraio si congelava, le ragazze soffrivano il freddo dentro le casacche leggere, lì dritte ad aspettare il Generale che le fissava con il viso paonazzo e gli occhi lucidi.
-Voi.. voi sapete che... tra qualche giorno ci sarà una bella cena tra tutti i generali e potenti per discutere di... cose nostre.- deglutì una sorsata di vino dalla bottiglia quasi vuota. –Visto che ieri qualcuno ha deciso che doveva essere una bella idea compiere un attentato, e quindi è stato tutto rimandato.- barcollava avanti e indietro in modo buffo, mentre al suo seguito spuntarono un uomo e una donna.
La ragazza doveva avere pressoché 25 anni, era coperta da una voluminosa pelliccia bianca e i capelli biondi erano acconciati sulla testa in onde precise con piccole forcine.
Le labbra erano laccate di rosso e gli occhi azzurri erano truccati pesantemente, dalle orecchie pendevano due orecchini di perla e si stringeva all'uomo che indossava un completo elegante nero, con cravatta azzurra e i gemelli di zircone.
Era un bell'uomo, la mascella delineata e la statura gli davano un aspetto virile, mentre le labbra sottili e gli occhi verdi nascondevano un segreto, che aspettava soltanto di essere svelato.
I suoi occhi guizzarono nella sua direzione mentre portavano un sigaro alla bocca e lei distolse subito lo sguardo.
-Quindi!- esclamò Arthur riportando l'attenzione su di lui. -Abbiamo bisogno di qualche musicista che alieti la serata. C'è qualche donna che sa suonare fra di voi?-
Ester tremò ripensando alle lezioni di piano, sentì i tasti sotto le dita e la musica arrivarle alle orecchie, i pedali sotto i piedi e la tentazione di avanzare si fece forte.
Dopo tutto quel dolore, quella pressione, quei pianti ritoccare un pianoforte sarebbe stata una gioia e una rassicurazione, un hobby che in quel momento sembrava un esigenza, un bisogno primario.
Ma si ricordò delle storie che le aveva raccontato anche Adeline e rimase ferma al suo posto, con la testa bassa e la delusione che le invadeva la gola stringendola.

Nessuno si era mosso, nessuno aveva emesso un rumore.

-Riformulo la domanda.- disse il generale, con la voce carica di fastidio: nessuno stava giocando con lui. -Chi non avanza farà morire la persona che ha accanto. Detto questo... qualcuna di voi suona?-
All'improvviso alcune ragazze avanzarono e si rese conto che anche lei aveva fatto un passo avanti, accanto a lei c'era Adeline e voleva che i suoi figli avessero ancora una madre.
Se fosse morta nessuno avrebbe pianto per lei, non le rimaneva nessuno se non una vaga speranza che qualcuno di loro fosse vivo.
Il Soldato ghignò. -Bene bene...seguitemi!- barcollò e inciampò, per poi ritornare indietro, da dove erano venuti.
Le fecero entrare nella sezione dedicata alle baracche delle SS e alla gestione del campo, un luogo più "moderno" delle rozze casupole delle deportate.
Arrivate ad un piazzale spoglio, dove al centro svettava come un obelisco un altoparlante, vennero portate in un edificio e le condussero in una grande sala adibita elegantemente con tavoli e sedie sparsi, come centro tavola per ogni tavolo svettavano grandi vasi di fiori e al lato della stanza si presentava un lungo tavolo vuoto dove avrebbero messo probabilmente il buffet.
Grandi finestre davano verso la foresta, decorate con tendaggi verdi e in fondo si presentava un piccolo palco con un pianoforte, un violino e un contrabbasso.
Salirono sul palco e Ester guardò le altre ragazze; Erano cinque compresa lei ed erano tutte intorno ai 20-30 anni, molto giovani ma ridotte come lei.
-Forza, suonatemi qualcosa. - Il generale si fece cadere su una sedia rossa dai bordi d'oro, come un re che assiste allo spettacolo dei suoi giullari, mentre l'uomo e la donna rimasero di sotto a osservare la scena, spettatori di quella commedia che presto sarebbe diventato un dramma.
La prima ragazza esitò, poi si mosse e afferrò l'archetto e il violino, posizionandosi e cominciando; Suonò una sonata di Mozart, elegante e incalzante, muoveva con abilità l'archetto sulle corde tese e se Ester avesse potuto l'avrebbe accompagnata col piano, ma dall'espressione del generale capì che era importante carpire i gusti dell'uomo.
Quando alzò la pistola Ester chiuse gli occhi, e quando li riapri vide che l'altra donna aveva preso dalle mani della ragazza morta il violino con gli occhi spalancati dal terrore.
Deglutì intonando un Vivaldi, la primavera, ma il soldato sbuffò alzando di nuovo la pistola, uccidendola a sangue freddo, sbadigliando annoiato a morte.
La terza donna lasciò il violino per terra, andando verso il violoncello, sedendosi e intonando una melodia triste e molto malinconica, non si intendeva di quello strumento e non riusciva a capire chi stesse suonando né quale canzone.
Nonostante tutto finita la melodia, che proseguì a lungo sotto lo sguardo attento del generale, egli battè le mani contento. -Brava!- esclamò sorridendole come se non avesse appena ucciso due sue compagne di stanza.
Ester abbassò lo sguardo verso i corpi delle due donne che erano distese sotto la pozza del loro stesso sangue, gli occhi spalancati da un incubo realizzato e gli arti posizionati in una posizione innaturale.
Ester pensò che alla fine erano libere, anche se avevano trovato la pace in maniera cruenta, e quasi le invidiò.
La penultima ragazza lo guardò terrorizzata. -Io.. io suono il clarinetto...- strumento non presente in quella stanza.
-Che peccato.- alzò la pistola e uccise anch'essa come un angelo della morte che con la sua falce recideva l'anima dei peccatori, poi gli occhi del mietitore di anime si posarono su di lei.
Ester si irrigidì, scavalcò i corpi morti delle sue ex compagne di stanza preoccupata e si sedette di fronte al piano.
Osservò prima il Generale, che aveva accavallato le gambe e stava li ad ingurgitare le ultime gocce di vino rimaste nella bottiglia pregiata, poi l'uomo e la donna nel sottopalco.
La donna piangeva silenziosamente, con il viso premuto sulla spalla dell'imprenditore e le mani strette sul tait di lui, che rimaneva immobile, con un espressione fredda e impenetrabile.
L'aveva sentita urlare al primo colpo di pistola, poi era rimasta silenziosa, sconvolta e turbata.
Si rese conto della sua distrazione e pensò velocemente, poteva suonare milioni di composizioni, ma aveva appurato che lo stile classico non garbava al soldato, che cosa poteva suonare allora?
Osservò il Generale che la guardava con la pistola a penzoloni in mano, l'ansia le percorse la pancia e zampettò velocemente nella spina dorsale mentre la mente correva su tutti i brani che conosceva, non trovandone uno adatto.
Abbassò lo sguardo verso lo strumento sotto le sue mani, ripetendosi a mente ciò che Wilm le aveva detto a Berlino.

Un'artista è colui che ammira l'arte, la crea e lo è lui stesso

Chiuse gli occhi e poggiò le mani sui tasti, espirando, liberando la mente, le dita si mossero da sole.
La Marcia dello Schiaccianoci uscì fuori mentre muoveva velocemente e faceva danzare le mani come non aveva mai fatto, era cosi concentrata che non notò la risata del Generale che applaudiva ammirato, una perla di sudore le scivolava sulla tempia mentre faceva marciare le mani sui tasti ricordandosi a memoria quel pezzo tanto difficile quanto meraviglioso, si era esercitata tanto per perfezionarlo e ora aveva la possibilità di mostrare la sua bravura.
Si ricordò di come l'aveva suonata al magazzino abbandonato e di come aveva seguito il consiglio di Wilm, di come aveva lasciato che la musica suonasse lei e non il contrario e si sentì inebriata dal rumore del pianoforte sotto di lei che la avvolgeva e la illuminava, era diventata un caleidoscopio di colori scintillanti che rifletteva tutto ciò che il campo le aveva tolto, e da lì rivide la speranza.
Finì la sonata e sentì gli applausi della donna e dell'uomo che la osservavano compiaciuti da sotto il palco, notò lo sguardo di solito annoiato dell'uomo col sigaro illuminato da uno scintillio furbo, di ammirazione ingannevole, qualcosa che avrebbe sfruttato a suo scopo.
-Brave, bravissime.- Il Generale Schmidt si alzò dal suo trono smagliante e prese gli avambracci delle due guardando il numero tatuato su di esso.
-Ugh... non ho tempo di segnarvi.- si passò una mano sugli occhi e poi si rivolse all'uomo con il sigaro.
-Friedger, carta e penna.- il suddetto roteò gli occhi.
-Fatti dire i loro cognomi, Arthur.-
Il biondo sbuffò e fece cenno alle due. -Cognomi, veloci.-
-Böhm.-
-Heilbrunn.- sussurrò Ester.
-Sei la figlia del dottor Heilbrunn?- chiese improvvisamente l'uomo dal basso del palco. -Alto, occhiali rotondi e baffi.-
-Si, è... era mio padre.- affermò con una nota di dolore nella voce.
-Oh... non sapevo fosse ebreo. Mi curò una brutta frattura al braccio quando ero adolescente.- commentò interessato a lei, si ricordava benissimo quell'uomo buono che lo aveva rincuorato.
Era un bravissimo dottore oltre che una buona persona e di certo non si meritava quella fine da maiali.
-Ora basta con queste chiacchiere fuori luogo, muovetevi e ritornate nelle vostre baracche.- il soldato le cacciò via in malo modo sputando per terra, mentre notava i corpi delle tre ragazze che aveva appena ucciso.
Si guardò preoccupato intorno, come se qualcuno potesse all'improvviso comparire e accusarlo, per poi gridare alle ragazze che stavano uscendo dalla sala.
-Ah! Toglietele e pulite senza farvi vedere o non sarò io a spararvi questa volta. -

Continue Reading

You'll Also Like

21.9K 567 33
𝐃𝐈𝐒𝐂𝐋𝐀𝐈𝐌𝐄𝐑: 𝐀𝐭𝐭𝐞𝐧𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐧𝐨𝐧 𝐞' 𝐛𝐚𝐬𝐚𝐭𝐚 𝐬𝐮 𝐟𝐚𝐭𝐭𝐢 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐜𝐢 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐚𝐜𝐜...
29.7K 3.1K 45
"I poeti canteranno gli eroi, consegnandoli all'Immortalità" Ecco ciò che mi hanno insegnato. E io ho consumato la vita per cercare parole con cui gl...
La gabbia d'argento By Lifia

Historical Fiction

47.8K 3.1K 57
Londra, anno 1851. Elaine, rampolla della famiglia Dietrich, riesce a unirsi in matrimonio al Conte di Lancashire; un uomo enigmatico quanto affascin...
2.7K 207 56
One shots a tema francescano che avevo già pubblicato su EFP anni fa, dedicata ai Santi che mi rubarono il cuore e lo fanno tutt'ora.