Fatum

By azurahelianthus

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#1 VOLUME DELLA SERIE CROSSED PATHS «𝑇𝑒 𝑠𝑒𝑖 π‘™π‘Ž π‘šπ‘–π‘Ž π‘›π‘œπ‘‘π‘‘π‘’ π‘ π‘’π‘›π‘§π‘Ž 𝑠𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒». Gli umani s... More

Esergo
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DeirΓ­n dΓ©
Tecum [Sequel]

32.

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By azurahelianthus


❄︎

Un giorno, la luce e l'oscurità si conobbero.
Lei si innamorò del freddo abbraccio del buio e lui del calore del sole. Si amarono, attendendo l'eclissi per potersi sfiorare. Poi lui peccò e lei lo scoprì: la desiderava solo per scaldare il gelido che portava dentro.
La luce fu costretta a sacrificarsi ogni anno per regalare all'essere umano uno spettacolo unico al mondo e l'oscurità a vivere il resto dei secoli a pentirsi dell'opportunità che aveva perso.

❄︎

Non avevo mai preso in considerazione l'idea di poter provare senso di colpa per il mio nemico.

Non è il sentimento che dovrei provare, al massimo dovrebbe essere un'emozione, intensa e di breve durata, e invece mi stava lacerando il cuore passo dopo passo.

Quei stessi passi che mi stavano portando a una cosa troppo grande, perfino per un demone, perfino per una delle donne più potenti. Ma sapevo di non essere sola e questo mi donava speranza.

Una grande guerra si combatte a piccoli colpi.

Ognuno ha il proprio scopo, il proprio compito, il proprio colpo, che poi si unirà a tanti altri piccoli colpi e insieme batteranno una cosa grande come una guerra. E quello era il motivo per cui adesso stavo varcando il confine del parco di Megiddo, dove non c'erano altro che rovine, pietre frantumante, sabbia secca e un paio di palme, l'unico scorcio di verde in mezzo a tanto grigio e malinconia.

Nell'aria si percepiva una febbricitante nebbia tutt'altro che positiva e quando la pianta del mio piede si posò sopra il terreno più arido che avessi mai visto, sapevo di aver appena confermato il destino.

Mi avvicinai lentamente alle due fazioni presenti in lontananza: il nostro gruppo, sistemato schematicamente in base alle loro abilità e alla gerarchia, e il gruppo di Baal, con la metà delle sue seicento sessantasei legioni di demoni, come i Moloch o altri del genere.

Veramente ironico come numero.

Adar, posto nelle file dietro, voltò la testa quando gli passai accanto.

Non disse nulla, con ogni traccia del suo solito divertimento svanita nel nulla, rimpiazzata da un gelido portamento. Annuì lentamente e la sua testa tornò a guardare davanti a sé.

Tornò a guardare il futuro.

Quando passai accanto ad Ade, il corpo rigido e minaccioso com'era sempre stato, non mi guardò, ma sorrise. Un sorriso molto diverso da quelli che mi aveva dedicato, quasi come se anche lui fosse nervoso. Forse anche il Dio degli inferi poteva provare paura.

«Iniziavo a credere che ci avresti abbandonato».

La mia bocca si curvò verso l'alto. «Si vede che non mi conosci bene».

Avanzai ancora, fino ad essere al fianco di Ximena, le uniche due ad essere più avanti di tutte.

Perché eravamo ciò che lui bramava, il motivo della battaglia, anche se nessuno a parte me, Erazm, Adar e Astaroth lo sapeva. Per Ximena ero al suo fianco in qualità di uno dei tre spiriti immondi, per il resto dei combattenti come sua guardia del corpo.

Azazel, fermo dietro di noi accanto ad Astaroth e mio padre, mi sorrise debolmente. Quasi a chiedermi perdono con lo sguardo, credendo che non l'avrei capito, anche se io sapevo tutto.

Sospirai e mi voltai di nuovo, fissando lo sguardo sulla persona parallela a me. Il colpevole, il crudele creatore del principe guerriero, il suo mentore quasi.

Storsi il naso e avanzai di un passo, lasciando Ximena indietro. Il mio sguardo slittò ad Erazm, in mezzo a Med e Rut, che mi fissava preoccupato anche attraverso gli occhi grandi e celesti da lupo, così uguali a quelli della sua forma umana.

Tornai ad adempiere al mio unico compito.

«Vogliamo restare a guardarci ancora per molto?».

Baal sorrise, non con la bocca, ma con lo sguardo.

«Perché no?». Inclinò la testa. «Questo luogo sarà il testimone di una carneficina e tra poco si trasformerà nel set di un bel film hollywoodiano».

Med, Erazm e Rut, posizionati attorno a Ximena, si posizionarono al mio fianco, spalle dritte, mento in alto, occhi glaciali. Eravamo tutti uguali come, sotto sotto, eravamo sempre stati. Sorrisi, un vero bel sorriso smagliante, che mi illuminò anche gli occhi.

Rut al mio fianco si avvicinò così da sussurrarmi all'orecchio. «Perché diavolo gli stai sorridendo?».

Alzai la voce, così che tutti potessero sentirmi. «Il sorriso è l'unica lingua al mondo che chiunque può capire, anche se la sua particolarità è il silenzio assoluto».

Sentii Adar ridacchiare soddisfatto, poco prima che tornasse quel silenzio carico di tensione.

Poi, la sua voce cantilenante mandò mille pezzi di ghiaccio che ci trafissero. «Effettivamente il silenzio è l'unica cosa che un traditore dovrebbe usare, specialmente se manda qualche spia nel gruppo avversario».

Rut e Med si voltarono di scatto verso di lui. «Cos'è, Baal, senza l'aiuto della spia sapevi di perdere?»

Lui si mostrò sorpreso, ma cancellò la sua espressione poco dopo. «Quell'inutile sacco di spazzatura ti ha detto tutto?».

La rabbia celata nelle sue parole era l'unica cosa che facesse capire che il suo corpo avesse un'anima.

«No». Non smisi di sorridere. «Lui ha continuato a portare rispetto a te, piuttosto che a sua moglie».

Rut aggrottò la fronte. «Ma di che cazzo parlate?».

«Già, Baal, perché non glielo dici?». Ade parlò con la sua voce gutturale. «Perché non dici la verità?».

Scossi la testa. «Perché non ha le palle, come suo figlio. Perché solo così potevano ingannarmi».

Non mi fermai, anche se il mio cuore fece "crack".

«Dantalian non è stato altro che una spia, mandato dal suo stesso padre per tradirci. Il loro piano era farmi innamorare, rapirmi e uccidermi, proprio come la nostra innocente Ximena. Così Baal avrebbe distrutto i nostri padri, componenti della triade, e sarebbe stato l'unico al fianco di Lucifero».

Rut si irrigidì ancora di più e spostò lo sguardo da me a Baal. «Dantalian ci ha traditi?». Annuii, con il cuore in preda ad un altro "crack".

«È orribile». Ximena si portò una mano alla bocca, lo sguardo ferito e la pelle pallida.

Alzai il mento e guardai Baal nel modo peggiore possibile. «Sei un senza palle che non sa adempiere alle sue guerre senza chiedere aiuto».

«Inutile ragazzina». Ringhiò. «Non provocarmi».

Non mi fermai. «Hai mai pensato che, magari, il motivo per cui Lucifero non ti ha reso parte della sua amata triade è perché sei totalmente inutile?».

«Chiudi quella bocca del cazzo!».

Avanzò di un passo, la mano che sfiorava la fascia che tratteneva i suoi pugnali, ma i Moloch al suo servizio lo trattennero.

Anche i miei avanzarono, uno dopo l'altro, avvicinandosi di più a noi.

Li fermai alzando il palmo, con il corpo rilassato che annunciava in modo indiretto "è tutto okay".

«Non credo tu sia nella posizione adeguata a darmi ordini. Non sei un cazzo di nessuno e non lo sarai mai, perfino tuo figlio è più utile e famoso di te».

Sputai acida. «Non ti vergo-». La mia voce dovette spezzarsi per il dolore improvviso.

Baal, in pochi secondi, aveva agguantato la pistola caricata con proiettili forgiati insieme all'ametista, una gemma creata per pulire l'aura e che proprio per questo motivo per noi era quasi mortale se usata in quantità eccessive, e l'aveva usata per spararmi sulla costola.

Mi portai in due istantaneamente, pur cercando di separare il dolore per prepararmi a ciò che stava per arrivare. Avevo portato Baal, con la rabbia innescata in lui, ad iniziare la guerra per mano sua e il mio primo compiuto era terminato.

Erazm iniziò a vibrare di quella rabbia che fino ad ora aveva dovuto trattenere, ringhiando e buttandosi verso uno dei Moloch al fianco di Baal. Rut seguì il suo esempio poco dopo, così come Med, e meno di cinque secondi dopo la situazione ci sfuggì di mano.

Partirono tutti l'uno contro l'altro e le due fazioni si unirono in uno scontro senza pietà, con il rumore di carni strappate, lame affondante e urli disumani. Il mio unico pensiero era Baal ed era verso di lui che stavo camminando, lentamente e con un sorriso frigido sul viso per mettergli ansia, con alle spalle lo sfondo della guerra che aveva creato con un solo gesto.

Era da solo, perché per quanto i suoi sudditi fossero stati creati appositamente per lavorare in gruppo, nulla potevano con le divinità e i re che noi avevamo dalla nostra parte.

Scosse la testa. «Sapevo che avrei dovuto ucciderti io con le mie mani».

«E perché non l'hai fatto?». Gli camminai attorno come un felino. «Forse perché non avevi le palle».

Mi risolve uno sguardo freddo. «Perché credevo che quell'inutile figlio che ho fosse in grado di rapire e uccidere una donna». Storse il naso.

«Ha ucciso per molto meno persone molto più crudeli di te, ma a quanto pare ho sottovalutato la sua possibilità di amare».

Per quanto Dantalian mi avesse tradito, sentire parlare così di lui mi infastidiva. Fin troppo. «Chi fa da sé fa per tre, Baal, impossibile che uno come te non lo sappia. Sei davvero così stupido?».

Estrasse la katana dalla sua spalla ed io bloccai il suo tentativo di attacco con la mia. «Attenta a come parli, bamboccia». Ringhiò.

Sorrisi e tornai a girargli attorno. «Baal, dov'è finita la tua pazienza?».

«Nella tomba». Una luce cattiva gli illuminò lo sguardo. «Dove finirai anche tu tra molto poco. Eppure c'è un lato positivo: andrai a far visita a tua madre».

Fermentor, ostende te.

«Non parlare di lei!». Tuonai e alzai la mano con il palmo rivolto verso di lui.

Il suo corpo fu immediatamente sbattuto a metri di distanza, con una folata di terra secca attorno tanta la forza con cui era atterrato.

Si rialzò di scatto.

Estrassi il pugnale più pericoloso di tutti per qualsiasi demone, quello forgiato con la stessa gemma dei suoi proiettili, uno di quelli che si trovava ancora nella mia costola, ma che non faceva troppo male per via del giubbotto antiproiettili che ne aveva attutito la forza.

Cominciai a correre verso di lui, con una repressa dentro che mi rendeva cieca ed era tutto ciò che riuscivo a vedere.

Estrasse anche lui uno dei suoi pugnali, mettendosi rigido in posizione di difesa, ma questo non mi impedì di posare la mano sul meraki della sirena.

Cleo, adiuva me.

Si illuminò, ma non ci badai molto, costretta a spostarmi subito a sinistra per evitare una pugnalata da Baal, che imprecò. Mi allontanai velocemente e poi mi fermai.

«Baal!». Sorrisi.

Alzò lo sguardo, esattamente come desideravo, e rimase ammaliato da ciò che stava vedendo, da ciò che Cleo gli stava facendo vedere.

Qualcosa che lui desiderava più di qualsiasi altra cosa, la donna che amava probabilmente, e questo lo portò a gelarsi sul posto per osservarmi.

Approfittai del momento e mi avvicinai lentamente, fino ad arrivare così vicino a lui da sentire il suo respiro caldo sul volto. Non persi tempo e gli trafissi lo stomaco, duro e morbido allo stesso tempo, con la lama fatta di ametista.

«Cazzo!». Si piegò in due, con le mani sullo stomaco per fermare il flusso di sangue scuro che stava fuoriuscendo dalla ferita, e si mise a rantolare di dolore.

Toccai di nuovo il meraki, perché adesso non mi serviva più, e tornai a girargli attorno, stavolta come uno squalo pronto ad attaccare il debole umano.

Sentirsi potenti era una bella sensazione, forse capivo quasi cosa lo portasse a desiderare di essere ancora più potente di ciò che era, ma non ne accettavo il modo con cui cercava di arrivarci.

«Arya, ore nove!». Urlò Rut.

Mi voltai in fretta verso il punto che mi aveva indicato e mi si fermò il respiro nel vedere un Moloch corrermi incontro con un pugnale simile al mio, i canini in bella mostra e il corpo rigido.

Imprecai e mi buttai a destra in tempo per sfuggirgli, con la schiena che strideva sul pavimento semi roccioso e un bruciore che cominciava ad insorgere nei punti maltrattati.

Per qualche secondo mi bloccai a causa del dolore e questo fu utile al Moloch, che mi si avvicinò e tento di pugnalarmi una spalla. Mi parai con il braccio, ricavandone solo un taglio profondo e grugnì di dolore.

Fermentor, ostende te.

Lo spinsi via senza neanche toccarlo e mi rialzai meno velocemente del solito.

Nel frattempo, però, Baal aveva riacquistato forza e adesso era in piedi, ad un metro scarso da me, con una rabbia feroce sul volto crudele. Erroneamente ci eravamo scambiati di posto, adesso era lui a dare le spalle al resto, e questo mi permetteva di avere una visione integra della battaglia.

Il mio sguardo si posò su Erazm, che aveva addosso uno dei Moloch intento a morderlo, mentre ne combatteva altri due cercando di strappare quanta più carne possibile. Med corse in suo aiuto, malgrado il sangue che aveva sul viso e sul collo, ma altri Moloch erano in arrivo nella loro direzione. Ximena e Rut erano schiena a schiena, combattendo con le unghie e con i denti, oltre che i pugnali, circondati da una ventina di quei stupidi sudditi del nostro nemico.

Gli altri dei se la cavavano, ma i Moloch erano veramente troppi e soprattutto si erano creati troppi gruppi, difficili da sconfiggere da soli.

Era la loro abilità combattere in gruppo, erano nati per questo, erano un passo avanti. Quella vista mi destabilizzò, con un dolore al cuore che non aveva nulla di fisico e che portava il nome senso di colpa.

Non mi accorsi in tempo del sorriso crudele di Baal, non finché delle mani mi arpionarono le braccia, altri le gambe, troppe mani, troppe braccia, troppa forza, troppo dolore in quel luogo. «Lasciatemi!».

«Bel tentativo». Baal rise. «Legatela».

Mi dimenai in tutti i modi possibili, mordendo quante più braccia altrui riuscissi a trovare, ma a nulla servì.

Riuscirono a legarmi le braccia dietro la schiena, buttando il mio stesso pugnale dietro di me, e il senso di impotenza, di sconfitta, mi colpii.

Mi ero lasciata vincere dall'amore che provavo per i miei amici.

Perché l'affetto che nutri per le persone ti fa mettere loro al primo posto.

La voce vispa di Med era ancora chiara nei miei ricordi, come se fosse qui, a sussurrarmelo nell'orecchio. Deglutii, gli occhi puntati sul terreno secco e la mente altrove.

Baal si inginocchiò a qualche metro da me. «Che c'è, Arya? Ti sei spenta? Non combatti più?».

«Va all'inferno».

Scosse la testa sorridendo e il Moloch più vicino mi assestò uno schiaffo così forte da farmi voltare la testa, mentre la guancia iniziava a scaldarsi. «Quello è dove tu sarai rinchiusa quando, tra molto poco, ti ucciderò. E lì sarai sola, come sei sempre stata d'altronde, perché nessuno ti ama e nessuno lo farà mai».

Inclinò la testa e mi osservò critico, facendo un gesto al demone al mio fianco. Ancora una volta, sotto il suo ordine, mi colpii.

Stavolta il sangue cominciò a uscirmi dal labbro e il sapore metallico mi portò a leccarmi la ferita. «Sei solo una donna, d'altronde. Non potevo aspettarmi altro da te che una perdente».

Risi, malgrado il taglio facesse male. «Il fatto che tu sia stato costretto a legarmi per potermi mettere le mani addosso senza ritrovartele mozzate, su questo terreno secco come la tua vita, significa solo una cosa-».

Mi leccai ancora una volta la ferita e sorrisi del sangue. «Io posso anche essere solo una donna, ma tu sei il solo perdente».

Con una falcata coprì la distanza tra di noi e mi agguantò i capelli in una morsa salda, così forte e dura da farmi sentire una scarica di dolore dal collo alla nuca. Mi avvicinò al suo viso e questo mi diede un senso di voltastomaco per quella vicinanza indesiderata.

«Quando ti avrò ucciso, tortura dopo tortura, costringendo Dantalian a guardarci mentre lo faccio, ti taglierò ogni singolo arto, pezzo per pezzo, fino ad avere una bella piramide su questo terreno secco come la mia vita. Poi accenderò un falò e brucerò ogni tuo pezzo fino a che di te non ne rimarrà altro che un po' di cenere che si mischierà al vento».

Mi tirò i capelli con più violenza e storsi il naso dal dolore, pur di non dargli soddisfazione. «E tutto ciò sarà condito dalle urla addolorate del tuo bel marito, che non solo proverà il tuo dolore sulla sua pelle e poi si sentirà svuotato dalla mancanza del vostro legame, ma soffrirà come un cane perché quell'idiota ti ama».

Un'altra risata germogliò nel mio petto e si riversò fuori dalle mie labbra sanguinanti. «Proprio un bel modo di dimostrare amore. Immagino gliel'abbia insegnato tu, bastardo come sei».

Storsi il naso, con una finta espressione dispiaciuta in viso. «Scusa, giusto. Tu non hai mai amato, nemmeno te stesso, o non saresti qui a cercare il potere invece che goderti la vita che ti ha reso insicuro come sei».

Alzò la mano chiusa in pugno, pronto a colpirmi.

«Toglile le mani di dosso!». Tuonò una voce gelida e profonda.

Alzai lo sguardo verso il proprietario, incontrando la mia notte senza stelle, diretto verso di noi con la sua solita camminata rigida e gelidamente arrabbiata.

Si era ripreso molto bene malgrado le ossa rotte, eppure la sua rabbia era tutta verso suo padre, che mi aveva lasciato i capelli di scatto.

Quest'ultimo si avvicinò a Dantalian. «Dove diavolo eri?».

Lo sguardo del demoniaccio saettò verso di me e poi tornò su suo padre. «Non sono cazzi tuoi».

Con il corpo massiccio ancora teso di rabbia, lo superò, diretto verso di me. Prese il pugnale alle mie spalle e si abbassò per tagliare le corde che mi stringevano i polsi, legati dietro la schiena.

«Dantalian!». Indicai con il mento il suo lato destro, ma non fece in tempo a girarsi.

Il pugnale cadde sulle mie mani, ancora legate, e questo mi procurò una ferita superficiale a cui non feci neanche caso.

Il suo corpo venne fermato da quattro Moloch, uno gli torceva le braccia all'indietro mentre un altro si occupava di tenergli il mento in alto, quasi volesse decapitarlo.

Il terzo si posizionò dietro di lui e con il piede gli colpì il retro delle ginocchia, costringendolo a stare in ginocchio sul terreno. «Toglietemi le mani di dosso o giuro su qualunque divinità che neanche all'inferno sarete al sicuro!». Tuonò.

Baal ridacchiò. «Bel tentativo, figlio mio». Cominciò a camminare davanti e indietro.

«Non dirmi che credevi davvero che ti avrei lasciato liberare quella stronza».

«Chiamala ancora una volta così e ti spezzo ogni ossa del corpo». Ringhiò, cercando di liberarsi.

Scossi la testa. «È inutile, Dantalian».

Abbassai lo sguardo. «Siamo in trappola».

Un peso massiccio si posò sul mio cuore, mentre la mia gola secca mi costringeva a respirare lentamente e a scatti.

«Guardate come sono finiti i vostri cari amici, i vostri capi!». Tuonò Baal, parlando a tutte le divinità e re presenti, che si fermarono, così come i Moloch.

«Guardate i vostri tre spiriti immondi come si sono ridotti».

Ximena era nella stessa posizione di Dantalian, così come Rut, Med e perfino Erazm, che ora era tornato nella sua forma umana e mi guardava con occhi sgranati, lucidi dal pianto. Tutti gli dei ci osservavano sorpresi da quella sottomissione non voluta, sorpresi della nostra sconfitta, come se non avessero mai considerato quella possibilità.

Baal si girò verso di me. «Guarda com'è ridotto il tuo grande amore, Arya. In ginocchio, come saresti dovuta essere tu. E sarebbe stato proprio lui a mettertici, se solo non l'avessi fermato».

Indicò l'arma, uno strano pugnale, che Dantalian teneva in bella vista tra gli altri e che spiccava a causa del suo vero colore, un viola brillante. «È una gemma di titanite infusa, armi del genere causano avvelenamento, che danneggiano gradualmente i nemici. Era pronta per te, Arya, solo per te. Nuova di zecca-».

«Arya!». Urlò Dantalian, ma bastò un occhiata minacciosa di Baal per convincere uno dei Moloch ad appoggiare la mano sulla sua bocca e zittirlo con la forza.

Baal sorrise. «Dicevo, che è stata forgiata appositamente per la tua morte. Doveva pugnalarti al cuore una sola volta e poi morderti con le sue zanne, saresti stata così debole da non poterti opporre neanche mentalmente e lui avrebbe ottenuto tutti i tuoi meravigliosi poteri».

Sospirò, inginocchiandosi accanto a me. «Mio figlio ti ha spezzato il cuore, Arya?».

Il suo tono cantilenante, mirato a prendere in giro la mia condizione sentimentale, mi fece ruggire il sangue nelle vene.

Portai lo sguardo dal terreno ai suoi occhi, pieni di cattiveria e così desiderosi di potere.

Mi chiedevo ancora, con tutte le volte in cui i miei occhi erano rimasti incollati a quelli di Dantalian, come avessi fatto a non rendermi conto di quella stessa luce malvagia in essi, perché ero sicura che ci fosse.

Perché era come suo padre.

«Non puoi spezzare qualcosa che non c'è, Baal».
Sorrise, soddisfatto di quella risposta molto poco sentimentale.

«Mi sa che adesso dovrò fare io il lavoro sporco per lui, la parte bella, l'unica che mi interessa».

Mi scostò una ciocca di capelli e mi accarezzò la guancia ancora calda con un finto dispiacere dipinto sul viso crudele. «La tua morte».

Si rialzò, andando verso Dantalian e curvandosi per prendere il pugnale stretto nella cintura nera di stoffa che teneva insieme tutte le sue armi.

Il suo corpo possente si scosse, si curvò, e la sua testa si voltò in ogni direzione, cercando di rendere impossibile a Baal ciò che desiderava fare. Utilizzai quel tempo di lotta tra padre e figlio per girare il pugnale, che il demoniaccio aveva fatto cadere, con la lama rivolta verso il basso.

Ci riuscii senza perdere molto tempo, cercando di muoverla su e giù sulla corda senza muovere il mio stesso corpo, per non allarmare uno dei Moloch, e quando fu abbastanza debole richiamai il mio potere preferito.

Ignis, ostende te.

Dalle dita calde sentii uscire qualcosa di forte e bollente, con la stretta della corda sui miei polsi che andava diminuendo velocemente, fino a sparire quasi del tutto se non fosse stato per le mie dita.

«Mettetelo insieme agli altri quattro». Sputò acido Baal e mi resi conto solo adesso del sangue che ora fuoriusciva dal sopracciglio di Dantalian, oltre che dallo zigomo.

Eppure i suoi occhi erano rivolti solo a me, come quelli di Rut, Med e gli altri. Li sentivo parlare, ma non riuscivo a sentire quello che dicevano, forse troppo lontani da me, anche se riuscivo perfino a vedere le lacrime solcare il volto di mio fratello o la rabbia deturpare il viso del mio compagno di sfogo preferito.

Quando tornai ad abbassare il mio sguardo, rivolgendolo ancora una volta al terreno secco, pieno di frammenti di sassi e sangue, anche il mio cuore si abbassò.

Come se fosse sceso di qualche piano, adesso me lo ritrovavo nello stomaco, a vibrare come le mie viscere, scosse da un emozione nuova, un ansia imparagonabile.

Quando il freddo pungente si fece sentire improvvisamente e le nuvole si scurirono così tanto da rendere il luogo ancora più cupo, alzai il viso verso il cielo.

Un piccolo fiocco di neve mi si posò sul naso, insieme ad un altro sulla guancia e altri due sulle labbra.

In pochi minuti, forse addirittura solo uno, i miei capelli furono riempiti da piccoli fiocchi di neve, o come li chiamavo io, piccoli frammenti di felicità.

Niente nella vita mi rendeva più felice della neve, perché malgrado fosse così fredda era sempre uno spettacolo così unico e raro, anche nelle città dove nevicava ogni giorno.

La neve era sempre uno spettacolo d'arte e come essa era spesso incompresa, ma rimaneva arte. Forse la amavo così tanto perché mi ci ritrovavo e questo mi fece riflettere. Malgrado tutto sorrisi, perché ora avevo capito.

Avevo perso la mia muta.

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