Fatum

By azurahelianthus

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#1 VOLUME DELLA SERIE CROSSED PATHS «𝑇𝑒 𝑠𝑒𝑖 π‘™π‘Ž π‘šπ‘–π‘Ž π‘›π‘œπ‘‘π‘‘π‘’ π‘ π‘’π‘›π‘§π‘Ž 𝑠𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒». Gli umani s... More

Esergo
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DeirΓ­n dΓ©
Tecum [Sequel]

30.

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By azurahelianthus

«Ehilà, forestiero». Mormorai, appoggiandomi al balcone di vetro che affacciava sulla città. Da qui non era difficile vedere il Megiddo.

Un sorriso poco felice gli curvò le labbra. «Ehilà, metà demone».

Ridacchiai del suo insulto e lo spinsi con l'anca. Mi voltai per vedere i suoi occhi blu cobalto, adesso così pieni di qualcosa che non gli apparteneva. «Che succede, Rutenis?».

Riportò lo sguardo sulla città, su quel poco che c'era attorno all'hotel. Le labbra gli tornarono curvate all'ingiù e le mani strinsero con forza il vetro. «Vuoi veramente saperlo?».

«Certo. Siamo amici, Rut, parlarne può aiutare. Magari scopri che stiamo vivendo le stesse emozioni».

Storse il naso, come se dirlo gli pungesse le corde vocali. «Ho paura di morire».

«Non sei l'unico». Mi morsi le labbra. «Perché lo dici come se te ne vergognassi?».

Il suo sguardo diventò vitreo, il suo corpo era lì con me, ma la sua mente era altrove. «È stupido che io abbia paura di morire, perché sono già morto una volta. Non puoi avere paura di qualcosa che ti è già accaduto, no?».

Scossi la testa. «Non è così, Rut. A volte è proprio perché l'hai già vissuto, sai quanto fa male e quanto è difficile, che hai paura di riviverlo. Forse è più stupido averne di qualcosa di cui hai sentito parlare, ma che non hai mai provato».

«Non ci avevo mai pensato». Respirò lentamente. «Ho pensato a tante cose in questi giorni, ma mai a vedere la situazione da questo punto di vista».

Spostai lo sguardo sul Megiddo, quell'insieme di rovine che avrebbe rovinato la vita di molte creature e che ne avrebbe segnate altrettante. «Che hai pensato?».

«Che più che aver paura di morire, ho paura di non vivere più». Inspirò.

«Ho paura di non rivedere mai più il sorriso di Ximena, ho paura di non fare più a botte con Med, ho paura di non giocare più con il lupacchiotto alla PlayStation e vederlo urlare di rabbia ogni volta che perde, ho paura di non bere più la cioccolata calda che mi prepara sempre Ximena, anche se non ne sento il gusto e potrei anche bere acqua, ma anche solo il fatto che la prepara lei per me ha gusto. Lei ha dato un nuovo gusto a tutto e io ho paura di tornare a non sentire niente».

Inspirò, con le spalle che gli tremavano leggermente e con la nuca bassa, in una posizione sconfitta. «Ho paura di non scherzare più con te, ho paura di non dare più fastidio a te e Ximena insieme a Dantalian, ho paura di non ballare e cantare più con voi sotto qualsiasi cielo».

Annuii. «Non sono mai sicura di niente nella mia vita, ma sono sicura che abbiamo tutti le tue stesse e identiche paure. Perché anche se siamo demoni, dei, streghe o Anubis, abbiamo una cosa che in realtà ci accomuna con gli esseri umani e ci rende umani».

«Il cuore». Mormorò sorridendo debolmente.

Giocai con le unghie, sbattendole fra di loro per creare un rumore che mi calmava. «Anche io ho molta paura. Credo derivi dal fatto che sento di avere ancora molto da fare».

Si voltò verso di me. «Cosa ti manca?». Deglutì. «Da fare nella vita, intendo».

Alzai lo sguardo al cielo, pieno di nuvole scure e grandi. Non c'era neanche uno spazio libero da esse, neanche un accenno di azzurro.

«Mi piacerebbe visitare tanti altri posti. Mi piacerebbe vedere quelle bellissime mongolfiere in Cappadocia, mi piacerebbe tornare in Sicilia, visitare il resto dell'Italia, mi piacerebbe godermi di più i tramonti e osservare ancora una volta le stelle. Mi piacerebbe giocare una volta ancora con la neve, fare colazione con mio padre, cantare John Mayer con Erazm e Med, aiutare ancora Ximena. Mi piacerebbe stare sempre a fianco di Nike, tenerla sempre tra le mie braccia e non lasciarla mai più».

Rut annuì e quando parlò la sua voce era rauca di tristezza. «Ti prometto che quando usciremo da quel cazzo di posto, faremo tutto questo e molto di più. Perché questa non è la fine, è solo uno dei tanti inizi che la vita ci riserva».

Mi morsi l'interno della guancia. «Posso chiederti una cosa?».

«Certo».

Le mie corde vocali erano tempestate di aghi che miravano a farle tremare, così come la mia voce, e le mie mani non riuscivano a fermarsi. «Se non dovessi farcela, per qualunque motivo, vorrei dirti delle cose che gradirei fossero fatte».

Scosse la testa freneticamente. «Arya-».

«Rut».

Gli accarezzai la spalla con affetto fraterno. «Lo sai anche tu. Non farmelo dire».

Si morse le labbra, trattenendo le lacrime che tanto non sarebbero uscite comunque. «Dimmi».

Annuii, sorridendo tristemente. «Vorrei che Nike rimanesse con Dantalian, perché lei lo ama e tra tutti è quello che so che ha bisogno di qualcosa di diverso dalla solitudine. Non voglio rimanga solo. Vorrei che le chiavi della mia casa andassero ad Erazm, perché lui le merita più di tutte. Vorrei che la moto se la prendesse Ximena, perché so che sarebbe davvero figa a guidarla. E poi vorrei che la mia tazza la prendessi tu, quella di Jack-».

Gli diedi una spinta ironica. «Vi somigliate molto secondo me».

Rise, ma senza alcuna traccia di felicità. «Lo prendo come un complimento».

Alzai gli occhi al cielo. «A Med vorrei andasse la mia casa sul lago, è l'unico che potrà apprezzarla nel modo in cui merita. In quella casa ci avrei voluto trasferire la mia famiglia un giorno, mio marito e dei figli adottivi, ma-».

Lasciai la frase in sospeso, come a dire "non so se potrò" e lo vidi stringere la sua mascella con forza.

Deglutii rumorosamente. «Per ultimo, ma non per importanza, non voglio nessun tipo di funerale».

Voltò la testa verso di me. «Cosa?».

Annuii. «Mi hai sentito».

Mi posizionai davanti a lui, con la faccia seria e gli occhi imploranti. «Non voglio nessun funerale, Rut, non mi piacciono le cose tristi. Voglio essere ricordata con un perenne sorriso sul volto e allora troverò la mia pace. Mi piacerebbe essere rilasciata in mare, che le mie ceneri e la mia essenza si unisca a qualcosa di grande come l'oceano, dove potrò essere eterna e bella. Dove vi basterà guardarlo per parlarmi e non dover cercare una lapide in marmo di una città precisa di uno stato qualsiasi».

Suo malgrado, lo si vedeva dal corpo quanto fosse tirato, annuì. «Lo farò».

«Promettilo».

Ringhiò. «Arya-».

«Promettilo!».

Sì portò le mani sul viso. «Lo prometto! Te lo prometto». Mi prese il viso fra le mani e il suo sguardo addolorato mi trafisse. «Ma tu prometti che lotterai fino all'ultimo».

Inspirai. «Lo prometto».

«Fino all'ultimo, Arya». Gli tremò la voce dall'emozione.

Chiusi gli occhi. «Fino all'ultimo».

Ci stringemmo in un piccolo abbraccio, ma grande di sentimenti condivisi, e cercammo di tornare al meglio delle nostre forze, almeno apparenti.

Una volta usciti da quella camera, eravamo di nuovo quei soliti demoni occupati a stuzzicarsi e spingersi fino all'esasperazione, i soliti Rut e Arya.

Quelli che di loro nascondevano tanto e che solo l'un l'altro sapevano.

Andammo verso il ristorante dell'hotel per cenare, l'ultima cena prima della battaglia. L'ultima cena in molti sensi forse.

«Finalmente!». Erazm ci fulminò. «Credevo di poter morire di fame».

Rut ghignò. «Potevi trasformarti e andare a cercarti da mangiare da solo, come un vero lupo sa fare, se avevi così tanta fame».

«Non cominciate!». Risi e mi sedetti accanto a Dantalian, il mio posto fisso, anche se mi spezzava il cuore.

Era straziante essere seduta a fianco della persona che più significava nella mia vita, il sapore più buono, l'odore più dolce, il bacio più morbido, ma sapere di essere, per lui, qualcosa di insipido.

Quest'ultimo, come se si fosse preso di invidia, si avvicinò per leccarmi dietro l'orecchio perché lui, il gran bastardo che era, sapeva molto bene quanto mi facesse accapponare la pelle.

Lo spinsi e con gli occhi lo fulminai così tanto da renderlo cenere senza usare Ignis. «Smettila anche tu».

«Perché?». Assunse una faccia innocente e mi posò la mano sulla gamba nuda, salendo fin troppo su, dove la gonna nascondeva la mia lingerie.

Gli schiaffeggiai la mano possente e cercai di spostarla. «Finiscila!».

Si avvicinò al mio orecchio e ci soffiò del fiato caldo. «Lo sai anche tu, in fondo al tuo cuore, che non mi fermerò finché non sarai mia. Solo mia». Quando si tirò indietro, il suo sorrisetto sornione non fece altro che mandarmi in bestia.

Non per quello che aveva detto, che forse fino a qualche settimana prima mi avrebbe fatto attorcigliare le viscere, ma per il suo modo di mentire così bene da non essermi mai resa conto che stesse fingendo.

Che fosse tutta una farsa.

Presi il menù del ristorante e scelsi in pochi secondi, ma restai comunque a guardarlo per evitare altri gesti dall'idiota al mio fianco, finché non mi persi nei miei stessi pensieri.

Prima di sapere il suo vero piano, mi era facile vederlo nel modo in cui avevo sempre creduto fosse, duro solo per nascondere la paura, cattivo solo per non farsi attaccare, malizioso solo per non far vedere la sua parte romantica. E invece quello che credevo fosse realtà, era solo una speranza celata dentro di me.

Adesso, per poter vedere il mio demoniaccio al posto del vero Dantalian, non mi rimaneva altro che chiudere gli occhi.

Se chiudevo gli occhi riuscivo quasi a sentirle, quelle battute maliziose che mi faceva, l'odore del caffè che mi preparava ogni mattina, il rumore della carta dei cioccolatini che scartava per imboccarmi e infastidirmi, la delicatezza delle sue dita fra i miei capelli mentre mi scostava le ciocche corte e ribelli dagli occhi. Ci riuscivo quasi, perché poi li aprivo e tutto tornava alla realtà: il mio demoniaccio era solo una proiezione.

Non era mai esistito.

«Cosa posso portarvi?». Il cameriere si avvicinò.

Diedi un ultima occhiata al menù e glielo porsi. «C'è una bistecca al sangue con salsa di lamponi?».

«Sì, è disponibile». Mi sorrise.

Annuii e sorrisi anch'io. «Perfetto, grazie».

Non sentii gli ordini degli altri, neanche in quello di Dantalian, perché una consapevolezza mi aveva appena stravolto.

Quella era l'ultima notte, la nostra ultima notte.

L'indomani allo stesso orario di ora il nostro destino si sarebbe già concluso, questo significava che era probabilmente la nostra ultima cena insieme, l'ultimo brindisi insieme, le ultime ore insieme.

La paura della morte non mi aveva mai sfiorato, forse perché in qualche modo se non vivi davvero non puoi capire quanto la vita possa essere bella.

Poi lo capisci, grazie a delle persone che diventano essenziali per te, e la paura di non vivere più quelle cose, la paura che tu possa chiudere gli occhi per sempre e non sapere cosa ti aspetta, ti gela da dentro.

Eppure mi sforzavo di mantenere il controllo, mi sforzavo di non pensarci, o sarebbe stato tutto ciò che vedevo, tutto ciò che potevo sentire, e non avrei più badato a nulla. Curioso come il destino, la madre della vita, ti tolga qualcosa nel momento in cui inizi ad apprezzarlo.

Spostai lo sguardo sul coltello che Dantalian stava ripetutamente sbattendo sul tavolo. Presi un grosso respiro prima di parlare, assicurandomi che la mia voce non tremasse. «Sei nervoso?».

Volto lentamente la testa verso di me, i suoi occhi non erano mai stati così spenti come quella sera, e la cosa spegneva anche i miei.

Ero così stupida da volere ancora colui che mi aveva venduta. «Direi di sì, tu no?».

«No-». Sorrisi, nascondendo qualsiasi emozione, proprio come lui mi aveva insegnato. «Vinceremo, è la certezza più grande che abbia mai avuto nella mia vita».

Annuì. «È che ho un brutto presentimento».

Prese la mia mano fra la sua e la strinse forte, sbattendo il piede per terra così come aveva sbattuto le posate. 

"Anche io", avrei voluto rispondere, "l'ho sempre avuto ed era sotto il mio naso".

«Andrà bene».

«Come fai ad esserne così sicura?». Scosse la testa confuso.

Alzai le spalle indifferente. «Una volta una persona mi ha detto che solo credendo di farcela possiamo farcela davvero».

Citai le sue stesse parole con un sorriso, per lui sincero, dentro di me amaro. «Se non è la speranza ciò che ci resta, cos'altro possiamo avere dalla nostra parte?».

Mi guardò per un tempo infinito, non spostò lo sguardo neanche quando il cameriere gli posò davanti il piatto che aveva ordinato.

Io invece mi voltai, tagliando la carne morbida con le posate e iniziando a mangiare, malgrado avessi un buco allo stomaco che non poteva essere riempito con il cibo.

Spostai lo sguardo su Rut, che mangiava il suo piatto di pesce con rabbia, storcendo il naso di tanto in tanto.

Era sempre stato bravo a mentire per Ximena, anche quando lei ormai sapeva, ma oggi tutti sembravamo aver perso le nostre abilità. Eravamo corpi senza anima, pieni di paure e angosce.

Med si schiarì la voce e alzò il calice riempito di champagne. «So che non è il momento migliore, non c'è nulla da festeggiare, ma-». Inspirò, guardandoci uno ad uno. «Se non lo facciamo, potremmo non poterlo fare più».

«Hai ragione». Erazm, al suo fianco, annuì lentamente.
Riuscivo a vedere da qui la sua mano posata sulla gamba di Med, in una stretta confortevole, come a volergli ricordare di non essere solo.

Presi il mio calice, pieno di vino rosso, e lo alzai leggermente. «Alla vittoria». Voltai lo sguardo verso quello che era mio marito e lui ricambiò.

Con la mano sinistra strinse la mia e con l'altra alzò il suo calice. «Alla vittoria».

«Alla vittoria!». Sbattemmo i nostri calici di vetro l'un l'altro, alzando la voce e sorridendo, malgrado il peso al cuore che condividevamo.

Rut e io ci guardammo per un solo momento, un solo secondo che valeva quanto mille altri, annuendo alle cose che solo noi sapevamo, alle cose che ci eravamo confidati poco prima.

Ximena ammiccò forse per la prima volta. «Gli faremo il culo».

Rut strabuzzò gli occhi e masticò lentamente.

«Credo mi piaccia questa tua versione. Molto sexy».

«Ximena una di noi». Risi, sbattendo il calice contro il suo, e lei sorrise.

Dantalian, che portava un sorrisetto sul volto, tornò a mangiare il suo pesce in crosta di agrumi. «Alla fine, siamo tutti molto simili, più di quello che crediamo».

«Non in tutto». Erazm storse il naso e prese un sorso del suo champagne per non dire altro.

Cercai di smorzare la tensione. «Allora Rut, hai guardato Prison Break?».

Annuì con enfasi. «Non vedo l'ora esca la quarta stagione!». Parlò a bocca piena. «È geniale, cazzo».

«L'hai già finita?». Strillai. «Ma non l'hai iniziata la settimana scorsa?».

Alzò le spalle come se niente fosse. «Con chi credi di star parlando? Se inizio qualcosa mi piace finirla in tempi brevi». Prese un sorso di vino bianco. «La guardavo la notte pur di finirla».

Alzai gli occhi al cielo. «Preferisci Lincoln o Michael? Magari T-bag». Sorrisi.

«Preferisco Sucre, sempre leale ai suoi amici e alla sua famiglia». Storse il naso. «C'è qualcuno a cui piace T-bag?».

Dantalian alzò la mano e io lo osservai scioccata.

«Che c'è?». Alzò le spalle. «Amo la sua ironia, non gli mancava neanche quando aveva una mano mozzata».

Med storse il naso, ma sorridendo. «Sei proprio il principe guerriero crudele di cui tutti parlano eh».

Se solo sapessi, Med, quanto sia davvero crudele.

Spostai lo sguardo su Rut, che scuoteva la testa con sorpresa. «Sei un cazzo di psicopatico, amico!».

Erazm si appoggiò allo schienale, ormai sazio. «A me piace Sara. Insomma, cazzo, non faceva parte di quel mondo ma si è sempre sacrificata e si è adattata. È diventata forte da sola».

Annuii alle sue parole. «Io amo la genialità di Michael di trovare sempre un modo per fottere tutti e mi è piaciuto molto anche Mahone. Il suo cambiamento è stato-».

Cercai la parola giusta. «Esemplare».

«Mahone ha avuto la sua redenzione». Dantalian concordò. «Gretchen invece è stata una bastarda».

Sospirai, giocando con le unghie. «È stato crudele ciò che ha fatto a Sara. Era innocente». Fissai i miei occhi sui suoi, quasi a mandargli un messaggio indiretto.

«Mi è dispiaciuto molto per la morte di Bellick. All'inizio lo odiavo, ma vedere come si è sacrificato è stato-». Ximena ebbe un fremito. «Mi ha fatto venire i brividi».

Rut annuì lentamente. «I sacrifici ci fanno sentire così umani e al tempo stesso potenti».

Dantalian storse il naso. «Non mi piacciono i sacrifici». Mi venne quasi da ridere.

«È più forte una persona che si sacrifica, regalando la sua morte per regalare la vita agli altri, che chi si mette a combattere fino all'ultimo». Med fissò il tavolo con sguardo vitreo.

Erazm gli accarezzò la base del collo. «Non mi piacciono questi discorsi del cazzo. Parliamo di altro, qualsiasi altra cosa ma non questa».

Pensai ad una delle frasi di John Lennon che avevo letto in un libro poco giorni prima, che mi si era insidiata nella mente in modo permanente, e mi sussurrava le sue parole dritto nelle orecchie, con la sua voce gelida e la sua presa ferrea:

Ci sono due forze motrici fondamentali, la paura e l'amore. Quando abbiamo paura, ci ritraiamo indietro dalla vita. Quando siamo innamorati, ci apriamo a tutto ciò che la vita ha da offrire con passione, entusiasmo, e l'accettazione.

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