Fatum

azurahelianthus tarafฤฑndan

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#1 VOLUME DELLA SERIE CROSSED PATHS ยซ๐‘‡๐‘ข ๐‘ ๐‘’๐‘– ๐‘™๐‘Ž ๐‘š๐‘–๐‘Ž ๐‘›๐‘œ๐‘ก๐‘ก๐‘’ ๐‘ ๐‘’๐‘›๐‘ง๐‘Ž ๐‘ ๐‘ก๐‘’๐‘™๐‘™๐‘’ยป. Gli umani s... Daha Fazla

Esergo
1.
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34.
35.
Novembre
Dicembre
Gennaio
Febbraio
Marzo
Aprile
Maggio
Giugno
Luglio
Agosto
Settembre
Ottobre
Deirรญn dรฉ
Tecum [Sequel]

14.

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azurahelianthus tarafฤฑndan


Da quando avevo scoperto la realtà su Rutenis, quando il mio sguardo cadeva su di lui, il mio cuore si stringeva in automatico. Non avevo detto nulla ad Erazm, pur continuando a studiare i comportamenti di entrambi, Rut e Med, per capire chi dei due fosse la spia.

Oggettivamente poteva esserlo anche con una storia così brutta alle spalle, perché non è il dolore a renderci brave persone, ma la voglia di non perderci in esso, eppure soggettivamente sentivo, dentro di me, che non poteva essere lui. Tuttavia, la mia totale attenzione era stata richiamata da un evento più grave, che aveva innervosito tutto noi durante la mattinata: l'arrivo di una busta sospetta a mio nome.

«Che vogliamo fare, continuare a fissarla nella speranza che si trasformi in una strillettera?». Rut non si fermò dall'accompagnare la frase con uno sbuffo.

La presi fra le mani, sfiorando la carta verde. «Non sarebbe male». Mentre la aprivo speravo solo che Astaroth non avesse cambiato il design delle sue lettere, rosse e nere, e che quindi provenisse da altre persone.

Mi schiarii la voce prima di leggere. «Arya Buras, egregia figlia di Sekhmet e Beelzebub, ho il piacere di convocarti nella disabitata Ochate, nella città di Burgos, in Spagna, per comunicarti degli avvisi importanti. Ti aspetto, Lorkhan».

«Lorkhan?». Ximena si mostrò confusa, spostando lo sguardo sulla bocca spalancata di Med, gli occhi schifati di Rut e la sorpresa di Erazm.

«Lorkhan?!». Tuonò Dantalian, strappandomi di mano la lettera. «Ma che diavolo-».

Erazm si voltò verso Ximena. «Lorkhan è un mutante, in grado di trasformarsi in qualsiasi animale, ed infatti è il re degli animali mitologici».

Lei aprì la bocca per chiedere qualcosa, ma lui sorrise e alzò il palmo della mano. «Sì, in pratica è il mio re».

«Perché solo tu?». Rut storse il naso, come se ci vedesse qualcosa di male in quell'invito.

Alzai le spalle. «Sono la più simpatica».

Tutti mi fecero il dito medio a turno e fu strano anche per me sentirmi ridere malgrado il momento delicato, eppure mi era venuto naturale.

«Okay...». Dantalian sbatté la lettera sul tavolo. «Io vengo con te».

«Ha invitato solo Arya, ti sei lavato le orecchie questa mattina?». Erazm alzò gli occhi al cielo.

Lui lo fulminò. «Sai il cazzo che me ne frega?».

Sbuffai. «Lo sai che Lorkhan ha un carattere complicato, non gli piacciono i giochi. Si arrabbierà e tu rischierai di morire».

Mi osservò come se nulla fosse. «Ripeto: sai il cazzo che me ne frega?».

Scosse la testa. «Tu non ci vai da sola, in un altro stato, con il rischio che possa farti del male o essere dalla parte del nostro nemico».

Mi portai le mani alle tempie, perché già sapevo che discutere con lui era inutile, si sarebbe attaccato alle ali dell'aereo pur di venire. «Nel frattempo Med, cerca dei biglietti per la Spagna per favore».

Lui annuì, sorridendomi con compassione. Poco prima di uscire dalla porta si rigirò. «Perché ha scelto Ochate?».

Dantalian annuì con enfasi. «Esatto! Perché Ochate?».

«Cos'è Ochate?». Ximena si schiarì la voce.

«Una cittadina ormai disabitata in Spagna». Rut storse il naso un'altra volta.

«C'è stata qualche guerra?».

Rut la osservò come si osserva un mentecatto. O forse uno stupido. «Non conosci la maledizione di Ochate?». Lei scosse la testa e lui strabuzzò gli occhi. «Mio diavolo, ma dove vivi, ragazzina. Fatti un po' di cultura, diamine».

Lo spinsi con un colpo di fianchi e mi apprestai a spiegarle. «Ochate oggi è nota a molti come una città maledetta. La leggenda narra che questa città sia il luogo di numerosi eventi paranormali dopo aver attraversato tre tragedie».

Dantalian annuì. «La prima fu l'epidemia di vaiolo del 1860, dove solo 12 persone sopravvissero nella stessa località».

Med storse il naso. «Solo anni dopo la popolazione si riprese, ma subito furono preda di un'epidemia di tifo mortale. Finalmente, e dopo essersi ripreso, un'epidemia di colera finì per distruggere gli ultimi abitanti».

Ximena rabbrividì. «Ma non è una leggenda?». Io annuii. «E le leggende non si chiamano così proprio perché sono basate su pura fantasia?».

Scossi la testa. «Ximena, alla base di ogni leggenda si nasconde sempre un po' di verità». Purtroppo.

«Ciò che ha dato origine alla leggenda della maledizione di Ochate è che, per coincidenza, nessuna delle città e dei villaggi vicini aveva attraversato queste stesse tragedie». Erazm sorrise, entusiasmato dal tipo di argomento che amava, ovvero le maledizioni e qualsiasi cosa fosse inquietante.

Beccai Med osservarlo più del dovuto con uno sguardo criptico e da una parte sorrisi, ma dall'altra la paura che lo stesse facendo perché lui era la spia, mi colpì in pieno. Avrebbe potuto fare del male a mio fratello, ma non glielo avrei mai permesso prima di passare sul mio cadavere.

Avrei ammazzato con le mie mani chiunque avrebbe tentato di sfiorarlo in un modo che non fosse con amore, perché lui non meritava del male.

Quel pensiero mi accompagnò tutto il tempo, mentre Med mi porgeva i biglietti, mentre preparavo un borsone con dentro delle armi, mentre mi vestivo nel modo più carino ma comodo per combattere, con Rut alla guida, diretto all'aeroporto, e anche mentre li salutavamo con la mano, in fila per l'imbarco e i controlli di sicurezza.

Dantalian fece il suo solito gioco di persuasione, usando il potere di coercizione, e nessuno notò il doppiofondo del borsone, in cui erano nascosti pugnali, fasce per proteggerci la pelle, pistole, tirapugni e altro. La maggior parte appartenevano a lui, che non aveva altro modo se non lo scontro corpo a corpo per difendersi, mentre io usavo solo due o tre pugnali di emergenza, perché per altro lavoravo con Ignis e Fermentor.

Anemoi, invece, non lo usavo mai, perché era troppo potente e forte per poter essere liberato. Se mai lo avessi usato, allora significava solo una cosa: un punto di non ritorno. Il motivo per cui eravamo partiti così in fretta e furia? Le fottute trentaquattro ore di volo, con i tre meravigliosi scali in aggiunta, che avremmo dovuto affrontare per arrivare a Burgos da Tijuana.

Dantalian si buttò sul sedile, dalla parte del finestrino, con poca delicatezza. «Il nostro primo viaggio da soli, proprio come moglie e marito». Mi osservò con ironica tenerezza.

Gli mostrai il mio miglior sorriso acido. «Più che luna di miele sarà una luna di veleno».

Si attorcigliò una ciocca dei miei capelli tra le dita e tirò leggermente, costringendomi ad avvicinarmi a lui. «Mi piacciono i tuoi capelli».

Gli schiaffeggiai la mano. «Non toccarmi». Lo fulminai con lo sguardo. «E poi non eri quello che mi doveva trattare male? È ciò che hai detto mi pare».

Sospirò chiudendo gli occhi e quando li riaprì mi mandarono mille lampi di rabbia. Si appoggiò con la schiena al sedile e la sua nuca ci sbatté contro. «Non ci riesco». Borbottò.

«A fare cosa?».

Sbuffò infastidito. «Niente, lascia stare».

Voltò la testa verso il finestrino e smise di calcolarmi, ma era un bene probabilmente. In un certo senso, ero sempre stata abituata ad essere calcolata poco, non ero a conoscenza di una possibile vita con tante persone attorno, con molti amici, con esperienze d'amore o anche solo con una famiglia alle spalle.

Ero sempre stata da sola, ma nella mia solitudine avevo il mio Erazm, solo io e lui, solo lui e me. Con gli anni mi ero abituata ad non essere quel tipo di persona.

La persona che faceva piacere avere attorno, la persona che ti tornava in mente a caso una mattina di un giorno qualsiasi, la persona di cui sentivi la fredda mancanza quando non era presente o la persona che ti andava di sentire spesso durante il giorno, solo per ricordarti quanto tu sia fortunato ad averla. Quel tipo di persona che ti stravolgeva la vita, la visione di alcune cose, il modo di fare, e che anche quando se ne andava la sua impronta restava in te, come un marchio che ti aveva cambiato a vita, ma nel modo più dolce e gentile possibile. Quel tipo di persona che amavi dal primo momento, perché non potevi proprio fare altro, che ti entrava in testa e non riuscivi più a mandarla via, che avresti ricordato anche dopo anni e avresti sorriso al suo ricordo. Quel tipo di persona a cui non avresti mai voluto fare anche solo un accenno di male, perché deturpare un cuore puro come il suo sarebbe stato il peggiore peccato possibile. Quel tipo di persona a cui le lacrime non stavano bene addosso a quel particolare viso, il cui rosso degli occhi sull'orlo del pianto non erano adeguati a rovinare una bellezza eterea come la sua, e ti impegnavi per non farla mai soffrire, per non permettere a nessuno di farlo. Ecco, io non ero e non sarei mai stata quella.

Sarei sempre stata tutto il contrario di ciò che avevo elencato e purtroppo, anche se cercavo di ignorarlo, lo sapevo bene.

Alzai lo sguardo verso la signorina che stava portando da bere o da mangiare. «Desidera qualcosa?».

«No, grazie mille». Voltai la testa verso Dantalian, ma era appoggiato con la testa sul finestrino, alcune ciocche di capelli neri e ribelli gli sfioravano le sopracciglia, la lieve barba gli donava un aspetto più adulto e le labbra incespicate mi facevano pensare che non stesse vivendo un buon sonno.

«Non credo che lui desideri qualcosa, se non lei». Sorrise con professionalità e dolcezza, ma non capii il riferimento. Con la testa indicò un punto sopra il mio ginocchio.

Abbassai la testa e la mia bocca formò una "O". La grande mano di Dantalian, abbronzata e con delle vene in rilievo, quasi fosse scolpita da uno scultore, era poggiata sul mio ginocchio e il calore della sua pelle sprigionava anche attraverso i miei jeans.

La sua presa era salda malgrado lo stato dormiente, le sue dita mi accarezzavano lentamente come in trance e mi chiesi come avessi fatto a non notarlo prima di quel momento. Mi spuntò un sorriso imbarazzato sulle labbra.

«Già». Ridacchiai.

«Siete sposati?». Ci guardò con ammirazione. Se solo sapesse la verità.

Mi ritrovai ad annuire. «Da poco».

Sorrise ancora. «Buona luna di miele allora». Si dileguò nelle altre file e io mi sentii profondamente sbagliata.

Mi sembrò che tutto quello fosse sbagliato, che mentire fosse oltraggioso, che avevo fatto la scelta più sbagliata e mi sentii in gabbia.

In gabbia perché mi rendevo conto soltanto adesso che non sarebbe mai finita tra di noi anche dopo la battaglia, anche dopo l'ultimo spargimento di sangue, l'ultimo morto. E non sarebbe finita tra molti anni, o addirittura secoli, quando mi sarei innamorata davvero di qualcuno e avrei dovuto spiegare di essere già sposata, di avere un marito ma che non amavo, di avere qualcuno che sarebbe stato legato a me per l'eternità. Avrei sempre tenuto quella sensazione di non essere sola, di essere collegata a qualcuno, quasi come se avessi due cuori invece che uno solo.

Quella porta alla sinistra della mia mente, nel corridoio delle mie sensazioni, dei miei ricordi, delle mie emozioni, ci sarebbe sempre stata. Quella dannata porta.

Quella nera, che se chiudevo gli occhi potevo quasi, in un certo senso, sfiorarla e sentirne il ferro freddo sotto i polpastrelli. Chiusa, perché lui non doveva e non poteva entrare nella mia mente, ma a ben poco serviva perché ci collegava comunque, ci faceva sentire uniti e in simbiosi. E poi, aldilà della porta, sapevo di trovare un ponte.

Un ponte che rispecchiava il nostro legame, se fra di noi c'erano odio e problemi, esso sarebbe stato traballante e vecchio, se invece ci saremmo amati e saremmo andati d'accordo, allora sarebbe stato sicuro e forte. Indistruttibile.

Lui, il ponte, avrebbe riconosciuto i nostri veri sentimenti e si sarebbe modificato di conseguenza, perché il suo scopo era collegarci in un modo unico e inumano. E anche se fosse stato traballante e vecchio, ci sarebbe sempre stato, ci avrebbe sempre collegato. E questo mi distruggeva. Mi sentivo obbligata, non mi sentivo libera e lo detestavo.

«Tutto bene?». La voce assonnata di Dantalian mi strappò via dai miei pensieri. Annuii, senza dire una parola.

Sospirò. «Hai paura?».

«Io non ho mai paura».

Sbuffò incredulo. «Neanche di morire?».

Alzai le spalle indifferente. «Dobbiamo tutti finire lì prima o poi».

Appoggiò la nuca sul sedile. «Io non ho paura di morire, ma ho paura del troppo tardi. Ho paura che se tengo a qualcuno, vederlo soffrire mi spezzerebbe. Ho paura di restare da solo. Ho paura...».

Spostò lo sguardo su di me. «Ho paura anche di te».

Una serietà così non l'avevo mai vista in lui.

«Lo dicono in molti». Ironizzai.

Sorrise. «Paura specialmente di non arrivare mai a infilare la testa tra quelle cos-».

Lo schiaffeggiai. «Dantalian!». Lo ammonii con lo sguardo e parve convincersi che il silenzio fosse la soluzione migliore per lui in quel momento.

«Guardi un film con me?».

Lo osservai critica. «No. Mi faresti guardare un film porno».

Rise, buttando indietro la testa e portandosi le mani sulla pancia. «Non sarebbe una cattiva idea, ma ti giuro che intendo un film normale. Potremmo guardare Fast & Furious 4».

Scossi la testa. «Non mi va di guardare un film con te, Dantalian».

«Perché?».

Sospirai. «Perché non è il momento. E poi è una cosa troppo intima da fare con uno come te».

Il suo sguardo si riempì di rabbia, dorata e fusa.

«Uno come me?». Annuii. «E com'è uno come me?».

Mi irrigidii. «Uno che ha accettato di sposarsi con una persona solo per un incarico, solo per potere, pur sapendo che l'unico modo per spezzare il legame è la morte».

«Come se tu non avessi fatto lo stesso». Sibilò.

«Io non avevo scelta!».

Rise con amarezza. «Sei Arya, non una donna qualunque. Una metà dea e metà demone che farebbe diventare le gambe molli di paura anche ad uno della triade, sei potente, sei furba e intelligente. Mi vuoi davvero far credere che se avessi voluto, non avresti mandato a fanculo Azazel e saresti scappata per tutta la vita?».

Voltai la testa per non guardare in faccia la realtà, senza mai rispondere ad una domanda la cui risposta era forse ovvia.

Mi costava molto ammettere che non aveva tutti i torti, ma era così: avrei potuto fare qualcosa tanto quanto poteva farlo lui, ma nessuno dei due aveva fatto niente. Attorno a noi scorgevo solo il buio di una gelida scelta che ci avrebbe portato alla fine, la questione importante era quale tipo di fine fosse.

La fine aveva molteplici significati, sia belli che brutti. Mettere fine a qualcosa di bello era una fine triste, ma mettere fine a qualcosa che ti aveva logorato dentro, dalle ossa fino ai muscoli, dal cuore al cervello, era rinascita. Ci sono certi finali che sono necessari per ripartire.

A volte serviva una fine, seppur crudele, per poter rinascere. Per potersi togliere quello strato di pelle in più che non ci permetteva di muoverci adeguatamente, sfilarlo via come i serpenti facevano la muta, e risplendere. La mia muta era ancora lì e solo io sapevo quanto avrei voluto tirarla via, ma non era ancora il suo tempo. Solo questione di tempo, avrei dovuto ripetermi come un mantra. Solo questione di tempo.

La ragazza che era passata prima si avvicinò di nuovo, portando qualcosa da mangiare per cena. Nel vedere Dantalian sveglio mi fece un sorrisetto e poi sparì com'era arrivata.

«Perché ti sorrideva?». La sua voce uscì attutita dal cibo che aveva subito infilato in bocca.

Ci avevano portato del due gamberi, del merluzzo gratinato, un tortino di pesce che non riconoscevo e un altro piatto con una mousse strana, decorato sempre con due gamberetti. Un bicchiere di vino rosso e del pane.

Mangiai per prima il merluzzo con le posate portate da loro. «Niente che ti interessi».

Iniziò a tagliare il gambero. «C'entra con te?».

Annuii. «Allora mi interessa». Confermò.

Sbuffai. «Senza questo incarico le nostre vite non si sarebbero mai incrociate perché siamo troppo, e dico davvero troppo, diversi».

«Può darsi». Un lampo di un emozione strana gli illuminò lo sguardo, sostituito subito da una finta innocenza e tenerezza. «Ma io ho il cuore buono, Arya, mi affeziono subito alla gente. Quindi adesso non posso vivere senza di te». Aveva volutamente cambiato il tono della voce in uno stridulo.

Masticai cercando di non sorridere. «Dubito che tu abbia un cuore».

«Saresti sorpresa di trovarlo se solo cercassi». Prese un sorso di vino. «E lo sarei anch'io. È una cosa che ho scoperto di recente, sai l'anatomia».

Alzai le spalle. «Un cuore non è un cuore solo se batte, ma anche se prova qualcosa. Se non si stringe di fronte alla tenerezza, se non ti pesa a causa della tristezza, se non ti aumenta il battito con la persona giusta, allora è solo un ammasso di tessuto muscolare».

«E il tuo?». Si voltò. «Il tuo è un tessuto muscolare o un cuore?».

Abbassai lo sguardo sul piatto, persa nei meandri della mia mente. «Non ho mai saputo cosa fosse».

«Hai mai amato, Arya?».

Mi schiarii la voce in imbarazzo. «Erazm è l'unico tipo di amore che conosco. Neanche mio padre mi sento di amare, non sento nulla quando penso alle persone che tengo. Ma so di amare Erazm perché al sol pensiero che possa stare male mi viene il voltastomaco».

Sorrise debolmente, come se fosse in una penosa sofferenza. «Avete un bellissimo rapporto. Come vi siete conosciuti?».

«L'ho salvato». Sorrisi al ricordo. «Era nella sua forma umana ed era un adolescente, non poteva, non ancora almeno, trasformarsi se non durante la notte. È stato circondato da un gruppo di Gheburim che gli avevano spezzato il 70% delle ossa del corpo e non riusciva più a difendersi. Quando l'ho visto in quello stato mi è esploso un fuoco dentro, perché non sopporto l'idea del prendersela con uno quando si è in gruppo, è da deboli: sai che vincerai. Li ho uccisi uno ad uno come loro volevano uccidere lui e quando ho finito l'ho portato con me, l'ho sorvegliato per giorni interi durante la guarigione».

Finì il suo vino rosso, mentre il mio era ancora intatto. «E come siete arrivati a questo rapporto?».

«Mi ha giurato fedeltà e protezione fino alla morte». Presi anch'io un sorso di vino.

Alzò un sopracciglio. «E come sai che lo farà davvero? Avete fatto un patto di sangue?».

«Non tutto gira intorno alla costrizione, Dantalian». Risi. «Se non ti fidi di qualcuno, se hai bisogno di un patto per tenerlo al tuo fianco, allora è meglio lasciarlo andare. L'amore è spontaneo come l'azione dei girasoli di girarsi sempre alla ricerca del sole. Non sono obbligati».

«Ma ne hanno bisogno».

Sospirai. «Anche noi abbiamo bisogno delle persone a cui teniamo. L'amore è l'unica cosa che ci fa credere che il mondo sia un posto migliore di quello che è veramente».

Mi osservò per un tempo che parve infinito. «Non hai paura che possa tradirti?».

«Se avessi paura non lo amerei. Quando ami sei sicuro e io amo Erazm di un amore che sarà anche più duraturo di un amante, perché è mio fratello». Sorrisi.

Non parlò per più di dieci minuti, un silenzio così pesante da risultare imbarazzante, mentre io finivo la cena e sorseggiavo il vino rosso, lui guardava fisso un punto vuoto.

Non potevo vedere l'interno del suo cervello, ma sapevo che gli ingranaggi gli si stessero muovendo a velocità. Chissà cosa pensava, cosa sentiva adesso o a quale ricordo si stesse aggrappando.

Poi, improvvisamente, la difesa mentale si abbassò di colpo e mi fece camminare sul ponte traballante e arrugginito che ci collegava. Mi chiusi la mia porta alle spalle, perché non volevo che entrasse nella mia sfera emotiva, e camminai dove lui voleva che andassi.

Era lui a guidarmi in quel momento.

Mi fece fermare davanti la sua porta, nera e di ferro come la mia, la aprì e un vento gelido mi sfiorò il viso, mentre mi tirava letteralmente in faccia un pensiero.

Immagina essere amato così tanto da qualcuno. Io posso solo immaginarlo, perché non sono mai stato amato da nessuno.

La sua voce nei miei pensieri era così rauca, triste e colpevole, colpevole di essere ciò che era, come se questo lo esonerasse dal ricevere amore.

Annaspai quando mi buttò fuori e ritornai seduta sul sedile, scombussolata e triste. Sentivo le sue emozioni come se fossero le mie. «Dantalian-».

Alzò la mano, dicendomi indirettamente di non dire altro.

Annuii, capendo la sua voglia di silenzio, di perdersi nei suoi pensieri, e non potei fare altro che chiudere gli occhi e appoggiare la nuca al sedile, ma non prima di aver chiamato l'hostess per far portare via i piatti.

Esistevano certe cose dentro di noi che non erano fatte per essere condivise. Che dovevano restare lì, in qualche angolo del nostro corpo, nel silenzio più totale di un dolore glaciale che ci spezzava il cuore. Il silenzio a volte curava l'anima dalle ferite delle parole dette. Ecco perché lo lasciavo nel silenzio, per curarsi e perché non potevo dire nulla di più di ciò che già stavo dicendo con gli occhi.

Niketas mi aveva parlato anche di lui, di quanto fosse stato sorpreso di vedere il principe guerriero, come era soprannominato all'inferno, sposarsi e di conseguenza legarsi a qualcuno. Era conosciuto per essere una persona crudele e spietata, che avrebbe fatto di tutto per raggiungere qualsivoglia scopo aveva in mente, passando anche per le torture se solo fosse stato necessario.

Era un cattivo del tipo più crudele, aveva detto, ed io, per reggere il gioco del nostro matrimonio, avevo risposto che anche i più cattivi erano dotati di un morbido cuore. Bastava saperlo maneggiare con più cautela, come se fosse una bomba a mano.

L'idea di dover essere fedele a Dantalian per colpa dell'accordo mi faceva sentire ancora più in trappola, ma non potevo fare altro.

In privato potevamo odiarci, ma in pubblico no.

In pubblico dovevamo amarci solo come due attori di un film sapevano fare. O forse solo come due nemici potevano fare.

Okumaya devam et

Bunlarฤฑ da BeฤŸeneceksin

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ยซ๐’๐š๐ข ๐ฎ๐ง๐š ๐œ๐จ๐ฌ๐š? ๐Œ๐ข ๐Ÿ๐š๐ข ๐ฌ๐œ๐ก๐ข๐Ÿ๐จ. ๐๐จ๐ง ๐ญ๐ข ๐ฉ๐ž๐ซ๐๐จ๐ง๐ž๐ซ๐จฬ€ ๐ฆ๐š๐ข, ๐ƒ๐ฒ๐ฅ๐š๐ง. ๐๐ž๐ซ ๐ฆ๐ž ๐ฌ๐ž๐ข ๐ฆ๐จ๐ซ๐ญ๐จ ๐ž ๐ฉ๐ฎ๐จ๐ข ๐ฆ๐š...
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