Fatum

By azurahelianthus

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#1 VOLUME DELLA SERIE CROSSED PATHS «𝑇𝑒 𝑠𝑒𝑖 π‘™π‘Ž π‘šπ‘–π‘Ž π‘›π‘œπ‘‘π‘‘π‘’ π‘ π‘’π‘›π‘§π‘Ž 𝑠𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒». Gli umani s... More

Esergo
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Ottobre
DeirΓ­n dΓ©
Tecum [Sequel]

9.

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By azurahelianthus

«Smettila». Sussurrai. «Così non la finiremo mai questa conversazione».

Dantalian mi scoccò un occhiataccia. «Di fare cosa?».

«Di guardarlo male!». Osservai Cola, occupato a tornare in riva per rimanere con la coda a mollo, e le sue spalle abbronzante che si flettevano mentre si piegava sui gomiti per stendersi a pancia in giù.

Poi sospirò. «Cosa volete sapere?».

Deglutii, pregando che lui sapesse qualcosa in più di Astarte. «Vorremmo sapere qualcosa in più sulle donas de fuera».

Annuì pensieroso. «Erano una via di mezzo tra delle fate e delle streghe, i loro capelli si trasformavano in bianco, rosso o nero dopo aver attivato il loro potere, all'incirca durante la maggiore età, e di norma utilizzavano solo vestiti di quella gamma di colori. Si facevano riconoscere così. Si sono palesate circa nel XVI e il XVII secolo-».

«Lo sappiamo questo». Dantalian parlò con tono gelido. «Ci serve sapere qualcosa in più sulle loro capacità, sui loro poteri».

Ci guardò entrambi con circospezione. «Perché?».

«Crediamo che una nostra cara amica sia una di loro». Sospirai. «La dobbiamo aiutare a difendersi, ma non sarà possibile se non capiremo la base del suo potere».

Sembrò convincersi per il momento. «Se è così, se è davvero una donas de fuera, vi converrà usare le armi più potenti che avete perché piegare il suo potere, controllarlo, sarà molto complesso».

«Parli di quella presenza che può evocare chiamata Aydon?».

Annuì. «Non è una presenza che evoca, fa parte di lei. Se lei fa parte degli Ayodons, sarà una creatura potente e pericolosa per tutti. Aydon è una nube tossica, agisce prosciugando la sua vittima dall'interno finché è così disidratata che non ne rimane altro che cenere, non sembra neanche appartenere a questo mondo questo tipo di potere. Il fatto è che nessuno può scamparne, neanche voi demoni di alto rango, e non sono sicuro che possano salvarsi gli immortali».

La gola mi era diventata improvvisamente secca. «È una cosa che può imparare a controllare?».

«Tesoro...».

Tuonai indispettita. «Lo può controllare?».

Sospirò e annuì. «Sì, se avrà un motivo valido. E sarà bene per voi che l'abbia». Mosse un po' la coda e gli schizzi di acqua mi finirono sul viso. «Come fata possiede poteri sconfinati e il fatto che ci rientri anche un po' di stregoneria nelle donas de fuera non abbassa la loro pericolosità. Sanno cambiare aspetto quando e come vogliono, trasformandosi in animali o in una pianta, possono diventare molto grandi ed anche molto piccole, trasformare gli uomini in animali od oggetti di qualsiasi forma o genere e possono apparire in qualsiasi luogo desiderano, se imparano a farlo sanno anche fermare il tempo e, ultima cosa ma non per importanza...».

Sorrise. «Possono predire il futuro. Il nome fata deriva dall'altro nome latino delle Parche, che è Fatae, ovvero coloro che presiedono al fato, o fatum, come si usa dire da voi demoni».

Dantalian strabuzzò gli occhi ironicamente. «Wow, formidabile».

«In quanto strega...». Lasciò cadere la frase teatralmente. «Se non impara ad utilizzare la magia che può evocare, sarà come se non lo fosse».

Mi schiarii la voce. «È possibile che lei, in quanto strega, abbiamo un potere simile al mio?».

Alzò un sopracciglio. «Il tuo sarebbe? Scusami, magari sei famosa nel mondo terreno e infernale, ma io abito in mezzo ai fondali marini e ne so poco e niente».

Stranamente scoppiai a ridere per il suo umorismo velato. «Uno dei miei poteri è Fermentor».

«La telecinesi». Annuì compiaciuto, prima di vedere lo sguardo confuso di Dantalian, che forse si chiedeva come mai lo sapesse senza che io l'avessi specificato. «Fermentor viene dal latino fermenter, che significa fermentare, quindi crescere in un certo senso. È un potere che cresce dentro, o ci nasci o non ci nasci, perché non si piegherà mai a sottomettersi all'interno di un corpo che non apprezza».

Dantalian storse il naso in risposta, mentre io mi sentivo sprofondare sempre di più. «Come possiamo addestrarla se è così pericolosa? Cosa dobbiamo fare?». Era più una domanda rivolta a me stessa e al demoniaccio che a Cola.

Alzò le spalle. «Datele un motivo per obbedire. Strappatele qualcosa a cui tiene e minacciatela di farle del male se non obbedirà».

«Non siamo dei mostri». Ringhiai. «Non possiamo farlo».

«È l'unico modo, tesoro. La paura è l'unica cosa che ti permette di avere potere su qualcuno».

Dantalian osservò la mia frustrazione. «Non vogliamo fargli paura. Suo padre ci ucciderà».

Cola sorrise macabro. «Nessuno ha mai detto che dovrà saperlo».

Mi raddrizzai, celando le mie emozioni dietro una faccia inespressiva, e annuii. «La conversazione per noi finisce qui. Puoi tornare a...». Storsi il naso. «Casa».

«Tutto ha un prezzo al mondo, miei cari». Sorrise nuovamente.

Dantalian ringhiò come un lupo furioso. «Che cosa vuoi?».

«So che l'Armageddon sta arrivando. Lo sappiamo tutti». Cominciò ad indietreggiare verso l'oceano e il suo sguardo non si abbassò mai. «Io voglio essere protetto. Quindi starò dalla vostra parte».

«No».

«Sì».

«Ho detto no».

Sbuffai. «Dantalian».

«Enne o». Ringhiò.

Cola cantilenò. «Non avete molta scelta».

«Hai problemi di comprendonio?».

«Dantalian!». Sibilai.

Si voltò verso di me con furia. «No, Arya!».

Cola annuì. «Sì».

«No».

«Sí».

«No».

«Sí».

«No!»

«Sai anche tu che sarà un sì».

«Sai anche tu che ti spacco la faccia?».

«Dantalian!». Tuonai. «Basta! Tutti e due!».

Il loro sguardo sorpreso si posò su di me e io chiusi le mani in due pugni, irrigidendomi sul posto. «Cola farà parte della nostra squadra nella battaglia, anche se non trovo come possa fare visto che abita nei fondali-».

Mi osservò come se fossi stupida. «Non parteciperò alla battaglia. Semplicemente nel caso la vinceste, voi direte che io ero dalla vostra parte e questo mi farà pendere dalla parte del bene».

«Ecco perché non volevo!». Urlò furioso Dantalian. «Mentre noi rischieremo di perdere la vita, lui non farà niente, e nel caso vincessimo la battaglia lui si prenderebbe meriti che non ha!».

Cola canticchiò una canzone, per niente impaurito dalla sua furia. «Vi ho salvato la vita avvisandovi di cosa possa essere in grado di fare questa vostra amica». Parlò come se sapesse del nostro incarico. «Mi sembra giusto che poi voi salviate me».

Alzai le mani, stufa di tutta quella conversazione, stufa della rabbia di Dantalian, stufa dell'incarico e stufa di quei problemi. «Perfetto, Cola. Se dovessimo vincere, tu farai parte di noi. Discorso chiuso».

«Cosa?». Tuonò Dantalian. «Non puoi farlo davvero!».

Lo osservai gelida. «Posso eccome. E ora basta, andiamo».

Cola annuì. «Grazie, Arya. Arrivederci miei amici».

Si tuffò sott'acqua e sparì in fretta dalla nostra vista.

Dantalian, invece, mi fissò con odio. Un odio puro, luccicante e gelido, che non avevo mai visto nel suo sguardo prima d'ora e questo mi portò a fare l'unica cosa possibile: il mio sguardo diventò il suo riflesso e lo odiai a mia volta. «Non hai idea di ciò che hai appena fatto».

«Tranquillo. Sono sicura che ci sarai sempre tu a ricordarmelo, è l'unica cosa che sai fare». Ringhiai.

Non aspettai la sua risposta, non feci altro che non fosse sbattere i piedi sulla calda sabbia granulosa con furia per tornare verso l'auto, con il tramonto alle spalle, oltre che un uomo furioso e sibilante. Per fortuna arrivai prima di lui e mi sedetti nuovamente al lato del guidatore, lui invece fu costretto al lato del passeggero, e questo lo fece visibilmente infuriare di più.

«Merda». Ringhiai, sbattendo la fronte sul volante più volte con disperazione.

Mi osservò confuso, ma ancora arrabbiato. «Che succede?».

«Ho dimenticato la borsa e le scarpe in spiaggia». Piagnucolai frustrata. «Nella furia mi sono-».

Non mi lasciò finire, slittando fuori dalla macchina e sbattendo la portiera dietro di sé con un tonfo più forte che mai.

Lo osservai camminare a passo deciso verso il punto in cui eravamo prima, prendere la mia borsa e le mie scarpe piegandosi verso il basso, cosa che gli fece drizzare i muscoli possenti della schiena, e rialzarsi con la stessa furia gelida. Era così tanto infuriato da sembrare calmo.

Tornò indietro a velocità, stringendo il manico della borsa con così forza da fargli sbiancare le nocche, con lo sguardo fisso su di me. I nostri occhi erano attratti come due magneti, non riuscivo a staccare lo sguardo dalla sua oscurità. I suoi occhi erano la sfumatura più chiara che io avessi mai visto, i più gelidi del mondo, i più potenti, eppure in essi non riuscivo a non vederci altro che una notte. Una notte senza stelle.

Venne ad aprirmi la portiera, facendomi scendere mentre lo fissavo con occhi giudiziosi, e non ero per niente pronta a vederlo inginocchiare quando lo fece. Prese la scarpa da ginnastica bianca, infilandola nel mio piede con delicatezza, pur tenendo i suoi tratti infuriati, e fece lo stesso con l'altra, legò anche i lacci e si rialzò.

Mi passò la borsa, ma tenendo lo sguardo distante e freddo. «Ora possiamo andare?». Ringhiò.

Annuii. «Sì, possiamo». Rafforzai il gesto, come se avessi bisogno di mantenere potere, non volendomi mostrare debole. Girò intorno alla macchina, annuendo impercettibilmente, mentre anche io prendevo posto, di nuovo, nel sedile del guidatore.

Prese la borsa dalle mie ginocchia per metterla nelle sue, come a liberarmi del peso o del fastidio di tenerla, e acceso il motore, che emise un rombo a mio parere eccitante. Quello mi mandò brividi entusiasti per tutto il corpo, con l'adrenalina che faceva il suo corso per arrivare al mio cuore, e accelerai per immettermi in autostrada.

Nel frattempo Dantalian aveva azionato Google maps con Palermo come destinazione e l'unico rumore da quel momento in poi fu la voce femminile della donna robotica del navigatore, che mi suggeriva dove andare.

Quando tornammo a casa era già sera e vederli tutti lì, sul divano, mezzi addormentati e sfiniti dalla giornata passata in quella famosa riserva dello Zingaro, mi si strinse il cuore a dover dare le notizie che dovevamo dare.

Med si drizzò per primo. «Com'è andata?».

«Il fatto che abbiamo bagnato i sedili della bellissima Porsche è la cosa più bella che sia successa». Il demoniaccio si versò del Whisky nel bicchiere di vetro e ne prese un sorso veloce. «Immaginate».

Rutenis fischiò teatralmente. «Guai in vista. Raccontateci tutto».

«Probabilmente Ximena è una donas de fuera».

Parlai di lei come se lei non ci fosse, perché lei non era effettivamente presente. Andava a dormire presto per colpa di Rutenis, che la buttava giù dal letto circa alle otto di ogni mattina, puntuale come un orologio svizzero.

Erazm aggrottò la fronte, creando piccoli solchi sulla pelle. «E sarebbe?».

«È una creatura a metà tra una fata, una strega, se imparerà ad usare la magia, e una mutante-». Diedi a tutti e tre il tempo di assimilare la notizia e poi continuai. «Può trasformarsi in un gatto e questo le fa amare il latte, proprio come sospettavamo».

Dantalian fissò la faccia di Rutenis, che sembrava voler dire "e allora?". «La cosa peggiore arriva tra poco, Rut». Tracannò l'intero contenuto del bicchiere e si asciugò la bocca con il palmo delle mani.

Sospirai, posandomi le dita sulle tempie. «Tra queste donas de fuera si era creato un altro gruppo, che aveva preso il nome "sette fate". I componenti di questo gruppo venivano chiamati dagli altri Ayodons perché in grado di evocare un entità presente in loro: Aydon».

Med storse il naso. «Non sembra una buona cosa. Cos'è un Aydon?».

«È quella presenza che ho visto quando ho usato il potere dei figli dei primogeniti di Satana per vedere la sua essenza, ne sono sicura». Sentii il penetrante sguardo di Dantalian su di me. «È una nube tossica che prosciuga la sua vittima dall'interno finché non diventa cenere. Il problema è che è così potente che né noi demoni di alto rango né gli altri tipi di creature ne sono esenti, siamo tutti a rischio di morte con gli Ayodons».

Rut ci guardò più volte, spostando lo sguardo da uno all'altro, e poi scoppiò a ridere sguaiatamente, le mani sulla pancia e la testa buttata all'indietro.

«Volete farmi credere-». Si fermò per prendere fiato. «Che quello scricciolo tenero e innocente possa ucciderci tutti senza distinzioni, anche voi due-».

Rise ancora una volta prima di finire. «Che siete i figli dei primogeniti di Satana?».

Sbuffai. «Rutenis, non è uno scherzo dannazione».

«Smettila, Arya!». Continuò a ridere sguaiatamente, alzandosi anche per venire nella mia direzione, e questo mi innervosii.

Chiusi le mani in due pugni ben stretti. «Rutenis, smettila di ridere». Tuonai. «Non è uno scherzo!».

«Lo scherzo mi piace quando dura poco, Arya». Sorrise in maniera inquietante.

Il suo sguardo sorpreso mi fece capire che i miei occhi avessero preso il loro colore naturale, il viola, e mi sentì invadere da una rabbia che stuzzicò Ignis, ma gli ordinai di stare buono. «Non smette perché non è un-fottuto-scherzo».

Mi agguantò dal gomito tirandomi verso di lui con forza e i suoi occhi si tinsero di rosso, sibilando con i suoi canini appuntiti in bella vista. «Che cazzo stai dicendo?».

Fu spinto indietro con così tanta forza da finire quasi sopra Med, eppure le mie mani erano rimaste al loro posto e Fermentor era addormentato dentro di me. Era stata la possente forza di Dantalian, che ora lo guardava attraverso i suoi occhi dorati, scintillanti di rabbia focosa, e il suo respiro corto ci faceva intendere quanto fosse furioso.

«Toccala un'altra volta e ti ammazzo».

Pensai a quanto questo cambio di piani, questa nuova pericolosità di Ximena, potesse nuocere alla mia presumibile spia. A quanto lo avrebbe fatto incazzare sapere di dover perdere più tempo, per colpa del nostro compito di addestrarla, prima dell'avvenirsi della battaglia. Osservai Med, che continuava solo a tenere la fronte accigliata, Erazm, che si era alzato in piedi per fulminare Rutenis e per venire poi ad accarezzarmi il gomito maltrattato, e quest'ultimo, che adesso fissava Dantalian con rabbia cieca.

Poi, non so quale forza gli fece capire di aver sbagliato, ma lo capì, e il suo sguardo tornò limpido, del solito blu cobalto, e le nuvole rabbiose gli sparirono dagli occhi. «Scusa, Arya. Ho esagerato».

Annuii. «Non preoccuparti, siamo tutti un po' stre-».

Un urlo agghiacciante proveniente dal piano dove erano situate le camere da letto mi interruppe.

Ci voltammo tutti a vedere e il primo a correre su per le scale fu proprio Rut, seguito da Erazm, Med, me e Dantalian.

La porta della camera di Ximena era spalancata e al suo interno c'era Rutenis seduto sopra un demone Devrak, intento a combattere contro di lui per non farsi mordere, mentre lei era sul letto, rannicchiata in posizione fetale, tremante come una foglia.

I Drevak non avevano affatto i denti, ma al loro posto spine nere velenose, taglienti più del vetro e molto pericolose. Il veleno al loro interno era incredibilmente doloroso e per curarlo bisognava essere trattati da uno stregone, ergo era meglio combattere al massimo delle forze per evitare di essere morsi. Io e Dantalian corremmo ad aiutarlo il più in fretta possibile, ma il Devrak riuscì comunque a liberarsi dalla presa di Rut e, con i piedi posato sul suo petto, lo lanciò sul muro di fronte a noi, cadendo sopra un mobile e fracassando molti oggetti, con il vetro che si conficcava in più parti del suo corpo. Sibilò di dolore, ma poco dopo era di nuovo in piedi come se nulla fosse, stringendo la mascella per resistere al duro colpo.

Il Devrak si voltò giusto in tempo per puntare Dantalian e scagliarsi contro di lui, attirato dal lieve rumore che aveva creato il ferro del pugnale sul ferro della sua cintura e dalla puzza che noi altri demoni emanavamo per quelli della sua specie. Erano una specie cieca e seguivano le tracce con l'olfatto, sentendo l'odore marcio di qualsiasi altro demone, come se fosse spazzatura.

Saltò addosso a Dantalian, che forse si dimenticò di quanto fossero incredibilmente veloci, e iniziarono un combattimento corpo a corpo con pugni, spinte e brutali tentativi di morsi da parte del Devrak. Mi piazzai alle sue spalle, saltandogli addosso da dietro per circondargli la vita con le gambe e il collo con le braccia, tirandolo all'indietro con la maggiore forza che riuscivo a richiamare. Volevo dare libero campo a Dantalian di decapitarlo, ma non andò per niente come desideravamo.

Rutenis, che si era avvicinato per fermargli le braccia sul petto così da non poter difendersi, fu costretto a lasciarlo andare di botto quando il demone tentò di mordermi, motivo per cui lasciai la presa sul suo collo all'istante, e si spostò per tentare di azzannare lui, e questo gli fece guadagnare un attacco: mi fece cadere sul pavimento, atterrando sul mio sedere, e spinse nuovamente Rutenis, ma stavolta fuori dalla porta, facendolo volare con violenza giù dalle maledette scale.

«Rutenis!». Strillò Ximena e malgrado fosse quasi traumatizzata, corse fuori per andare ad aiutarlo.

Quel suo urlo ci costò tutto, perché tutti ci girammo a guardarla per un solo secondo. E un secondo fu abbastanza per il Devrak, che si voltò verso di me con la sua velocità inumana e mi azzannò la spalla, senza la minima idea di lasciarmi andare.

Un urlo addolorato fuoriuscì dalla mia gola, mentre tentavo di dimenarmi per cercare di staccare quelle spine dolorose dalla mia pelle incandescente, che bruciava come se ci fosse stato appiccato un fuoco sopra, e lo stesso urlo uscì dalle labbra di Dantalian.

Si portò immediatamente una mano sulla spalla, spaesato da quel dolore, e poi il suo ricadde su di me solo dopo aver collegato di nuovo il suo cervello. «Arya!». Tuonò e piantò il pugnale sul tatuaggio nel collo del Devrak, che era in realtà il suo etere, il motivo per cui rimaneva in vita.

Il motivo per cui non erano soliti dare le spalle a nessuno: per paura.

Non riuscii a vedere molto che fine fece il suo corpo perché la mia vista si annebbiò e non ero sicura che fosse per il dolore, tanto quanto per il veleno che mi stava entrando in circolo. Caddi a terra, con le ginocchia sul pavimento, improvvisamente incapace di tenermi in piedi.

Sentii il profumo di Erazm, la pioggia bagnata mista all'odore di alberi, circondarmi e la sua mano calda premere nel punto della mia spalla in cui si stavano presentando delle venature nere sulla pelle. «Arya, porca troia, resta sveglia!».

Sentii Dantalian imprecare per il dolore, ma continuare ad accarezzarmi i capelli. «Resisti, Arya».

«Che dobbiamo fare?!». Urlò Med, ma la sua voce sembrava lontana anni luce da me, con il sudore che iniziava a imperlarmi la fronte, il corpo e ogni centimetro di pelle bruciante.

Lo stesso corpo che mi sembrava star fluttuando nello spazio, dove la gravità non esisteva.

Dantalian non smise di accarezzarmi i capelli e quel gesto mi fece sentire più rilassata. «Prima di tutto ci serve uno stregone per guarirla, ma continuerà a soffrire finché non guarirà. È un circolo senza fine, ma io posso aiutarla». Cominciavo a sentire tutto a rallentatore, un po' come nei film.

Erazm ringhiò, furioso del mio dolore. «Come?».

«Sono in grado di influenzare la mente. Posso farle avere delle allucinazioni e , malgrado il suo corpo continuerà a soffrire, la sua mente sarà libera». Mi sentì dire "no" in un lieve sussurro, perché io non volevo che lui influenzasse un bel niente, non volevo che entrasse nella mia mentre in nessun modo.

Tuttavia, forse dopo qualche gesto d'accordo di Erazm e Med, si avvicinò al mio orecchio e il suo fiato caldo mi scaldò la guancia imperlata di sudore freddo. «Lasciami entrare, Arya».

Scossi la testa e tossii prima di poter formulare una sola parola. «No».

Lo sentii sorridere malgrado tutto, con gli zigomi che gli si alzavano e sfioravano i miei, mentre le sue morbide labbra lasciavano piccoli baci suadenti sulla mia mascella. «Arya, è per il tuo bene».

Debole com'ero, non fui in grado di resistere alla sua voce sensuale, la stessa che aveva usato all'accademia per far allontanare le guardie. Stava usando il suo schifoso potere su di me e io non potevo fare nulla per resistergli. «Fammi entrare».

Degli artigli, seppur delicati, sembravano affondare sulla mia mente, mentre il muro che tenevo sempre su in maniera meticolosa si andava ad abbassare gradualmente, costretta da un potere che purtroppo non ero in grado di affrontare. Le mie palpebre si fecero pesanti e dovetti chiudere gli occhi, mentre le orecchie mi ronzavano in modo fastidioso. Il muro cadde del tutto e la sua presenza gelida, estranea, mi fece rabbrividire e sudare di più.

Lo sentii muoversi tra le stanze della mia psiche, una per ogni mia categoria diversa, una porta per ogni ricordo, sentimento, paure, eppure lui le evitò e andò dritto verso un punto cieco, buio e spento. Un punto nuovo, dove non c'era mai stato nulla, e si fermò. Ci lasciò un qualcosa, una piccola scatola nera ancora chiusa, e mi obbligò ad aprirla.

Dentro c'era un allucinazione che mi destabilizzò e improvvisamente non ero più in quella stanza, bloccata sul pavimento, con delle striature velenose sul corpo.

Ero ad osservare le stelle, durante una notte fresca, seduta sul tetto di una delle tante case che io ed Erazm avevamo dovuto affittare nei diversi incarichi della nostra vita. Lui era proprio lì, al mio fianco, ingurgitando una cioccolata con dei Marshmellow bruciati sopra, io avevo la stessa tazza, ma rossa, mentre la sua era verde menta. Facemmo scontrare fra di loro due bastoncini di zucchero natalizi e poi ridemmo.

Ridemmo fino alle lacrime, fino a tenerci la pancia, fino a piegarci sul tetto duro e freddo di quella casa. E io mi piegai a quel ricordo, lasciando andare il dolore.

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