Fatum

By azurahelianthus

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#1 VOLUME DELLA SERIE CROSSED PATHS «𝑇𝑒 𝑠𝑒𝑖 π‘™π‘Ž π‘šπ‘–π‘Ž π‘›π‘œπ‘‘π‘‘π‘’ π‘ π‘’π‘›π‘§π‘Ž 𝑠𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒». Gli umani s... More

Esergo
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Luglio
Agosto
Settembre
Ottobre
DeirΓ­n dΓ©
Tecum [Sequel]

6.

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By azurahelianthus

Altra partenza, altro viaggio infernale.

Per mia sfortuna, stavolta ero capitata in mezzo a Rutenis e a Dantalian, che non avevano fatto altro che darmi fastidio con le loro gomitate, i pezzetti di cibo che si tiravano a vicenda, i calci che si davano l'un l'altro e che, essendo tra di loro, prendevano anche me o i loro divertenti modi di sfidarsi, a suon di rutti, insulti più brutti nella nostra lingua demoniaca, chi era in grado di mangiare più veloce e altre stupidate che mi avevano fatto venire voglia di aprire il dannato finestrino per buttarmi tra le nuvole e sperare di sfracellarmi al suolo come dei cracker.

«Sei arrabbiata, amore mio?». Il demoniaccio superò Erazm per accostarsi al mio fianco, mentre la sua valigia piena di armi e pochi vestiti, come quella di tutti, slittava sopra il pavimento dell'aeroporto.

Per fortuna aveva usato il potere di coercizione sulle guardie e nessuno si era accorto di niente ai controlli di sicurezza. Ogni tanto sapeva essere utile.

«Sì». Mi fermai e sorrisi. «La tua presenza è più urticante di una pànace di Mantegazza».

Fece un sorrisetto divertito e mi prese di sorpresa, spingendomi con la schiena al muro. «Perlomeno mi sorridi, è già qualcosa».

Sbuffai. «Non sorrido di certo a te».

«No?». Sfiorò il mio fianco, lasciato nudo dallo spazio presente tra i pantaloncini e il top che avevo indossato, con le nocche. Brividi di piacere mi fecero tremare le viscere.

Assottigliai lo sguardo. «Anche solo il tuo nome mi fa togliere il sorriso dalla faccia».

«E a quanto pare-». Ammiccò, andando a strofinare il suo naso sul mio collo, fino a fermarsi con le labbra sul mio orecchio. «Anche di accendere qualcosa che si trova più in basso, secondo il mio naso speciale».

Ringhiai. «Fattelo aggiustare, evidentemente ha perso le sue abilità». Lo spinsi via, riprendendo la mia camminata verso l'uscita dell'aeroporto.

Quando superai le porte dell'entrata principale, ma anche dell'uscita, il caldo afoso mi si appiccicò alla pelle come una carezza fin troppo calorosa. Mi legai i capelli in una coda, ignorando il sorriso divertito del demoniaccio che mi era passato di fronte, e camminai verso la macchina che avevamo affittato per non so quanto tempo. Si era occupato Med di ogni cosa, direi anche per fortuna, perché nessuno di noi altri sarebbe stato in grado.

Rutenis si fermò alla mia sinistra, con le mani sui fianchi e degli occhiali da sole neri sugli occhi, quasi uguali ai miei. «Direi benvenuti a Palermo, ma non è un viaggio di piacere».

«Lo sarà quando passeremo dal centro città e andremo a mangiare il pesce fritto. Ho letto su internet i cibi locali che non possiamo perderci». Erazm si leccò le labbra, già affamato, e io sospirai.

Palermo, capoluogo della Sicilia, una città piena di colori, sole, odore di salsedine, buon cibo e persone spettacolarmente simpatiche, da quello che si diceva. Avevamo deciso di atterrare qui perché la casa affittata da Med era tra le campagne di Palermo, che era una città completa di tutto e da lì non ci sarebbe stato difficile spostarci verso le due città che ci interessavano di più, Messina ed Erice.

Fu, come sempre, Rutenis a guidare e ci fermammo in una villetta che si estendeva al centro di un grande, ma più piccolo di quello che aveva acquistato Azazel, giardino privato.

Era gialla, con delle pietre sui muri e delle scale di legno scuro all'esterno, che portavano alla terrazza. All'interno, dopo che Med si prese cura di usare la chiave per aprire la porta d'ingresso, era molto simile alle case vacanza italiane di cui avevo sentito molto parlare. C'era una tv a schermo piatto sopra un mobile di legno, un divano a forma di L di fronte e una scala simile a quella esterna, ma di ferro, che portava al piano superiore. La porta, già aperta, alla destra del divano portava ad una cucina in muratura moderna, sempre scura, ed era abbastanza capiente.

C'era un'ulteriore porta a vetro che conduceva all'esterno, nel giardino, dove era presente una parte di pavimento uguale all'interno della casa e sopra ad esso il tavolo da pranzo, un paio di sedie del medesimo colore e nessun tipo di tetto. Avevo sentito che in Sicilia era rara la pioggia durante l'estate, probabilmente per questo.

«Volete vedere il pezzo forte della casa?». Mad sorrise.

Annuimmo e lo seguimmo fino alla fine del giardino, dove c'era uno strano arco fatto con dei cespugli e fiori intrecciati, che divideva il giardino verde brillante da un pavimento fatto di marmo liscio.

Erazm fischiò. «Sapevo che non avresti mai preso una villa senza piscina!».

Effettivamente una piscina in muratura, a forma ovale, era posta al centro ed era grande abbastanza da lasciare solo qualche centimetro di pavimento disponibile. Una doccia da esterni alla mia destra e delle sdraio di plastica bianca, chiuse e poggiate alle siepi attorno alla piscina, erano le uniche cose presenti oltre essa. La doccia era sicuramente per lavarsi i piedi dai fili d'erba o dal cloro della piscina, mentre le sdraio dovevamo metterle in giardino per poter prendere il sole.

«Potrei anche considerarla una vacanza». Sorrisi, ma poi fulminai Dantalian, che mi stava schizzando con l'acqua, mentre era piegato sulle ginocchia per tenere le mani ammollo. «Se solo non ci fossi tu».

Ammiccò. «Io sono la parte migliore di una vacanza, flechazo».

«Okay, piccioncini a parte». Rutenis sorrise. «Ho una fame bestia. Vado a preparare qualcosa».

Erazm storse il naso. «Perché devi preparare qualcosa di nettamente americano, quando siamo nello stato che possiede il cibo migliore del mondo?».

Lui assottigliò lo sguardo. «E cosa vuoi che faccia? Che prenda la macchina e vada in città per trovare qualcosa da mangiare di siciliano?».

«Quanti anni hai, Rutenis? Sembri un vecchio». Alzò lo sguardo al cielo. «Esistono i rider, la consegna a domicilio, sai quella bellissima cosa chiamata "21 esimo secolo" e non "medioevo"?». 

Ximena, che non aveva ancora proferito parola, sorrise. «Sì, ordiniamo d'asporto!».

«Rider?». Rutenis si mostrò confuso.

Alzai gli occhi al cielo, scuotendo la testa. «I rider sono persone che ti portano qualunque cibo desideri a casa, da qualsiasi ristorante disponibile qui in zona».

Erazm tirò fuori il cellulare, smanettando un po', e Rut lo seguì ancora confuso, ma interessato, con al fianco Med e Ximena che conversavano tranquillamente.

Mi voltai verso Dantalian, che adesso aveva la schiena rivolta verso di me, piegato per guardare l'acqua celeste della piscina. Risentii la sua voce in mente, con quel suo tono saccente e fastidioso.

Anche di accendere qualcosa che si trova più in basso.

Un ghigno malefico si posò sulle mie labbra, decidendo di mettere in atto una dolce piccola vendetta, e lo spinsi in acqua con tutta la forza che potevo mettere nelle mie mani, posate sulla sua schiena. Il suo corpo si sbilanciò in avanti, con le braccia che tentavano di riprendere l'equilibrio, e l'acqua schizzò quando lui ci finì dentro.

Risalì immediatamente in superficie, con la maglia bianca quasi trasparente che si era incollata ai suoi muscoli di pietra, i capelli resi più scuri di quanto già non fossero poiché fradici e delle piccole gocce di acqua rendevano lucenti le sue ciglia, brillanti come il suo sguardo. I suoi occhi passarono dal blu, il colore che gli aveva donato vepo, al suo vero colore: oro fuso, caldo e dorato come il sole che ci stava scaldando la pelle in quel momento.

«Ho fatto una piega perfetta ai capelli stamattina e tu...». Ringhiò.

Risi, pensando che le voci sul suo conto, su quanto fosse maniacale con i suoi capelli, fossero vere. Mi avvicinai leggermente al bordo, restando in allerta.

«Non sai quanto mi dispiace, ma ho una frittura di calamari che mi aspetta in cucina tra poco. Sai, le priorità». Grazie al mio udito avevo potuto sentire cosa stessero ordinando gli altri e il mio stomaco già brontolava.

Ghignò. «Prima di friggere, devi impanare il pesce. Ma prima di farlo, devi lavarlo».

«E quindi?».

Mi osservò con innocenza da sotto le ciglia scure e bagnate. «Quindi devi lavarti prima».

Non capii in tempo cosa volesse fare, pur irrigidendomi sul posto, mentre un flusso di acqua della piscina prendeva la forma di una corda. Si legò al mio braccio e, ruotandomi, mi tirò via con sé fino a cadere di schiena dentro all'acqua, che mi strinse in un abbraccio inquietante e gelido. Attorno a me percepivo solo quel celeste limpido, senza neanche vedere le gambe di Dantalian, e quel piccolo tornado di flusso creato da lui non accennava a lasciarmi risalire in superficie.

Quando mi stancai di giocare, perché i polmoni mi iniziavano a bruciare in cerca di ossigeno, che mi era vitale immersa sott'acqua, mi toccai il meraki del delfino tatuato sul braccio che quel piccolo tornado stava ancora stringendo, bloccandomi lì.

Zeus, adiuva me.

Il tatuaggio vivente si illuminò, come a dire "ti ho sentito" e i miei polmoni si liberarono in fretta, come se qualcuno avesse appena spalancato un portone e l'acqua fosse semplicemente scivolata via. Quando aprii di nuovo i miei occhi feci in tempo a vedere vepo sparire com'era arrivato e la mano grossa di Dantalian afferrarmi per lo stesso braccio, tirandomi in superficie.

«Piaciuta l'attrazione turistica?».

Mi passai la mano sulla faccia per togliere le restanti gocce di acqua. «Piaciuta?». Ringhiai. «Che cosa diavolo ti è saltato in mente?».

Sorrise. «Credevo avessi bisogno di una lavata».

«Sai di cosa hai bisogno tu, Dantalian Zolotas?».

I suoi occhi lampeggiarono di sorpresa nel sentirsi chiamare con il nome che utilizzava da umano, per poi scurirsi di calorosa curiosità. «No, Arya Buras».

Si avvicinò fino a sfiorarmi le labbra con le sue e non mi diede più via di scampo sotto il suo sguardo. «E credo che possa dirmelo tu».

Chiusi gli occhi, sussurrando. «Hai bisogno di-».

Quando li riaprii sapevo che fossero del loro colore veritiero, viola invece che verdi umani, perché avevo fatto prevalere in me la parte demoniaca. «Di un pugno che possa ripararti il naso e magari anche il cervello!».

Tirai indietro il braccio senza dargli il modo di capire, strinsi la mano in un pugno e la scagliai contro il naso del demone fin troppo vicino a me, che emise uno scricchiolino inquietante, proprio come le mie nocche.

La sua testa si riversò all'indietro, con le sue mani che correvano al setto nasale ormai storto, nel vano tentativo di alleviare l'improvviso dolore. «Bovis stercus!».

Sentirlo imprecare in latino mi donava una particolare soddisfazione in più, mentre il suo sguardo luccicava di rabbia cieca e il suo respiro si faceva pesante.

«Stercorem pro cerebro habeas?!». Hai la merda al posto del cervello?

Sbuffai. «Disse quello che stava per farmi morire sott'acqua, deficientis».

«Perite!». Ringhiò, continuando a tenersi il naso tappato per non far scolare il sangue, nuotando verso gli scalini di marmo della piscina. Vaffanculo.

Scossi la testa e poggiai le mani sul cornicione, tirandomi su con agilità. Mi allontanai a passo deciso e furioso, passando sotto l'arco di fiori, e dirigendomi verso casa. «Hircus». Borbottai a voce bassa.

«Che hai detto?!». Tuonò da lontano.

Gli feci il dito medio senza girarmi. «Potes meos suaviari clunes!». Baciami il sedere.

«Con piacere!». Non serviva girarmi per sapere che stesse sorridendo malgrado tutto.

Entrai in casa, con il rumore del basso tacco che seguiva i miei passi, ed entrai dalla porta di vetro che divideva la cucina dalla "sala pranzo" esterna. Seduti, o per meglio dire distesi in malo modo, sul bel divano ad L, c'erano tutti e quattro, occupati a vedersi qualche serie televisiva sulla tv.

«Che guardate?». Mi sedetti sul bracciolo, accanto ad Erazm, che mi circondò la vita con il braccio.

Sorrise. «Stiamo facendo guardare Lucifer a Rutenis».

«Non è per niente aggiornato su queste cose moderne!». Sbuffò Ximena. «Mi chiedo dove abbia vissuto fino ad ora».

Rutenis sibilò a bassa voce, ma fui in grado di sentirlo. «A marcire all'inferno finché tuo padre non mi ha dato questo merda di incarico».

La storia di Rutenis, in qualche modo contorto, mi interessava. Dietro ai suoi comportamenti scorbutici secondo me c'era di più, un grande motivo per cui lui adesso fosse così, in più non aveva mai parlato dei suoi genitori o di come fosse arrivato ad essere un Gheburim. Non aveva mai parlato di nulla che rientrasse nella vita antecedente all'incarico di Azazel al contrario di tutti noi, come se in realtà non ci fosse mai stato nulla, ma non comprendevo come fosse possibile. Non aveva mai neanche detto la sua età.

«Che avete ordinato?». Sospirai e mi piegai fino a posare la schiena sul divano.

Med sorrise. «Pane con panelle e crocchè, che non so bene cosa siano, pizza sfincione che è fatta con il sugo, acciughe, cipolla e caciocavallo, un formaggio italiano molto salato a quanto ho capito, e delle stigghiola, che è un tipo di carne che non credo tu voglia sapere, ma dicono sia essenziale mangiarle se si viene qui. Io ed Erazm abbiamo anche cercato come mai si chiamano in questo modo così strambo e abbiamo scoperto che deriva da un piatto greco, il Kokoretsi, ed è di origine molto antica!».

Nel suo tono c'era un entusiasmo palpabile. «Questo viaggio ci regalerà molta cultura secondo me».

Annuii. «Per voi sì, io e Dantalian un po' meno».

«Perché?». Ximena si mostrò confusa.

Sospirai. «Perché mentre voi andrete in spiaggia, nei locali a mangiare cose tipiche, a godervi tutto ciò che di più bello la Sicilia possa regalarvi, noi dovremmo usarla unicamente per lavoro. Ci occuperemo noi di scoprire di più sulla tua natura, viaggiare in così tanti ci rallenterebbe».

Si mostrò dispiaciuta e iniziò a mordersi la pelle delle unghie. «Mi dispiace di tutto questo casino che ho combinato».

«Non è colpa tua». Spostai lo sguardo su Erazm, che la guardava accigliato.

Lo pensavo davvero, che non fosse colpa sua. In molti avevano l'unica colpa di essere nati sono una discendenza sbagliata, con l'obbligo di scappare e nascondersi da chi li perseguitava per fama di potere. A volte mi chiedevo se la vita degli umani non fosse solo una prova, un test per vedere quanta cattiveria potesse esistere dentro il corpo di qualcuno, per cercare, un giorno, di azzerarla totalmente e vivere in un mondo di sola pace. E magari noi appartenenti all'inferno eravamo un po' come dei baby-sitter. 

Rutenis, che si era già preso una birra dal frigo che avevamo riempito meno di trenta minuti fa, tornò a sedersi sul divano con poca delicatezza e stappò la parte di plastica del tappo della birra tuborg con i denti. Un vero signore. «Comunque la prima metà turistica sarà il Teatro Massimo».

Ximena alzò un sopracciglio. «Che ha di speciale?».

«È l'edificio lirico più importante d'Italia». Storsi il naso al pensiero che, sicuramente, la lirica non era il motivo del suo interesse.

Med si voltò verso di lui. «E da quando ti interessa la lirica, fratello».

Lui sorrise. «Non mi interessa infatti».

Prese il telefono e ci mostrò una foto del teatro. «Ho fatto come mi ha insegnato Ximena, ad usare google, e ho certo misteri e leggende su questa città. È così che ho trovato quella sul Teatro Massimo, che si trova nella parte centrale della città di Palermo».

Sospirai teatralmente, per rimanere in tema. «Forza, raccontacela». Era quello che voleva sentirsi dire.

Ghignò felice. «Per realizzare questo imponente edificio lirico, fu necessario abbattere quattro chiese, due monasteri e una delle porte storiche della città. Durante quest'opera di demolizione, pare che la tomba di una suora sia stata profanata, mettendo bruscamente fine al suo eterno riposo e si pensa fosse la prima Madre Superiora del convento. La sua ira si sarebbe dunque scagliata sul teatro, i cui lavori di costruzione si sono protratti per 23 anni ed è rimasto chiuso per altri 23 per restauri. Per placare l'ira della suora, venne realizzata un'iscrizione sul frontale del teatro: Vano delle scene è il delitto. Si dice che chi non crede alla leggenda inciampi su un particolare gradino del teatro, detto appunto il gradino della suora, e c'è anche chi afferma di averne scorto l'ombra sul palcoscenico, dietro le quinte e nei sotterranei».

Ximena strabuzzò gli occhi. «E tu vuoi andarci?!».

«Sono un demone, bellezza, credi che il fantasma di una donna che veste esattamente come una zebra possa spaventarmi?». Sbuffò. «Saranno tutte balle, mio malgrado. Ma voglio andarci e voi verrete con me».

«Non ci penso neanche!». Ximena incrociò le braccia al petto.

Rutenis, di tutta risposta, sorrise fino a mostrare i canini poco incoraggianti. «E dove credi sarebbe il divertimento sennò?».

Med fece sorrisetto e diede un pizzicotto sul fianco della semi umana, ormai semi demone. «Andiamo, sarà divertente. Ti proteggo io».

«Tranquilla, Xi». Erazm ammiccò. «Mal che dovesse andare offriamo Rutenis come pegno per il rito satanico, tanto è il suo ambiente».

Rutenis gli fece il dito medio. «Es stultior asino». Sei più scemo di un asino.

«Va bene va bene». Risi. «E poi, c'è altro che volete visitare?».

Ximena alzò le mani felice. «La Riserva Naturale dello Zingaro!».

«È una spiaggia?».

Annuì. «Ma non è solo una, sono sette spiagge chiamate le sette calette e sono distribuite lungo i sette chilometri di costa della Riserva dello Zingaro. Sì possono raggiungere soltanto a piedi o in barca nel caso della Cala del Varo. Ed è proprio questa che voglio visitare!».

Rutenis sbuffò. «Ovviamente quella più costosa e lontana».

Lei lo fulminò con lo sguardo. «Ho i miei soldi e non ho bisogno del vostro aiuto, posso cavarmela da sola nello stesso modo che ho usato per diciotto anni».

Sbuffò ancora, ma il ritorno di Dantalian interruppe la conversazione e tutti lo osservarono, visto i suoi vestiti ancora bagnati. Nessuno aveva notato i miei anc-

«Perché diavolo siete bagnati tutti e due? E perché noto solo adesso che lo sia anche Arya!». Rutenis mi cacciò con la mano. «Via dal divano cazzo!».

Mi alzai, alzando anche gli occhi al soffitto, e dedicai un occhiataccia al demoniaccio. «Chiedilo a lui e alla sua voglia di giocare».

Il suo sguardo scintillò. «Mi andava di far vedere ad Arya quanto fosse ghiacciata l'acqua».

«E quindi l'hai tirata in piscina con te?». Med lo osservò confuso.

Dantalian annuì. «In realtà è stato Vepo a giocare con lei».

Lo sguardo di Erazm cadde sul tatuaggio del delfino. «Per questo Zeus è ancora brillante? Hai chiesto il suo aiuto?».

«Certo!». Gesticolai. «Vepo mi ha tenuta giù per troppo».

In pochi secondi Erazm finì di fronte al viso di Dantalian, con il respiro pesante e gli occhi celesti brillanti come non mai. «Mi va bene che giochiate e vi divertiate, ma attento a quello che fai, Dantalian».

Si voltò per avere la piena visione di tutti. «Che sia chiaro, io non mi fido di nessuno di voi, malgrado io scherzi con tutti, ho anche un occhio di riguardo per tutti. E se qualcuno si azzarda a fare del male ad Arya ne pagherà con il doppio della sofferenza impartita».

Med annuì. «Lo capisco, ed è la stessa cosa per me e Rutenis. Siamo come fratelli».

I suoi occhi grigi, di una tonalità di azzurro particolare rispetto a quelli di Erazm, scagliavano mille febbricitanti fiamme di rabbia minacciosa, mai vista prima nel suo sguardo.

Dantalian al mio fianco si irrigidì. «Perché mai dovrei farle del male?». Ringhiò. «Lo sai che grazie al Divide Et Impera il suo dolore è il mio».

Annuii, concordando con le sue parole e sapendo che lui era l'unico di cui potevo fidarmi, oltre che di Erazm. D'altronde lo aveva detto anche Azazel, il motivo per cui ci eravamo sposati.

Nessuno proferì parola finché il rider non venne a consegnarci il pranzo e mangiammo gustando quei nuovi sapori che non avevano niente di simile a ciò che conoscevamo, un esplosione di gusti forti e saporiti.

Parlammo un po' dei nostri preferiti del momento: Erazm, amante della carne, si era innamorato delle stigghiola, che gli si scioglievano in bocca lasciando un gusto di limone, Rutenis delle crocchè, grazie al sapore di patate e la freschezza del prezzemolo, Ximena e Dantalian dello sfincione, che continuavano a parlare di quanto fosse buono il salato che rimaneva in bocca, grazie al calciocavallo e alle acciughe, anche dopo aver finito il boccone, mentre io e Med ci eravamo ingozzati delle restanti panelle. Quella buona morbidezza, mista ad un gusto che non si poteva neanche spiegare, per nulla simile alle patate o altro del genere, era qualcosa di singolare. Avevamo cercato la ricetta, per sapere di cosa fossero fatte, e la farina di ceci era l'ultima delle nostre possibilità, anche se effettivamente sapevano di questo.

Rutenis si tirò all'indietro, poggiando la schiena sulla sedia di legno, e si portò le mani sullo stomaco, seppur piatto come prima di aver mangiato. I suoi capelli neri gli sfioravano le sopracciglia, aprendosi a tendina. «Se già prima ero convinto, adesso lo sono di più. L'Italia è il regno dei cieli terreno».

Erazm annuì. «Per fortuna non siamo umani o dovremmo tornare a casa, fra qualche giorno, a forma di palla e rotolando».

Dantalian assunse un sorrisetto e si stirò il corpo, allungando le braccia sopra la testa e i suoi muscoli, visto il petto nudo, si tirarono insieme a loro. «Dobbiamo andare, Arya. Mia madre ci aspetta».

Strabuzzai gli occhi. «Le hai già detto che saremmo andati?».

«Devo ricordarti che, anche se è mia madre, è una divinità e devo avvisarla in tempo prima di andare da lei? Inoltre ha i suoi impegni, devo prenotarla».

Sbuffai. «Potevamo fare una seduta invece che presentarci lì fisicamente».

Ximena aggrottò la fronte. «Una seduta?».

Annuii. «Ci sono due modi per incontrare una divinità, di qualsiasi regno: richiamare la sua presenza, che si paleserà in una specie di nuvola piena di luce davanti a te e poi sarà come un corpo normale, una videochiamata d'altri tempi per così dire-».

La risatina di Rutenis mi interruppe. «Oppure, richiamare comunque la sua presenza, ma farsi trasportare nell'altra dimensione, quella dei sogni. Finisci in una stanza bianca, totalmente astratta, ed è come se vedessi attraverso del fumo bianco. Non riesci a focalizzare bene perché la loro luce è troppo forte, nel caso delle divinità dell'Olimpo o simili. Nel caso di un Dio dell'inferno, come tuo padre per esempio, vieni trasportata all'inferno, nel suo ufficio personale e puoi vedere senza problemi».

Si morse il labbro. «Quindi devo chiedere una specie di appuntamento anche se è mio padre? Non vale nulla il fatto che siamo imparentati, a parte la discendenza?».

«No, Ximena». La guardai affranta. «Dobbiamo comunque dargli del lei, essere educati e vederli solo quando sono liberi. Per noi non cambia il modo di essere trattati rispetto alle loro legioni di demoni».

Lei annuì, prendendo il suo piatto dal tavolo, e sparendo in cucina. Med la seguì poco dopo, prendendo il suo piatto e usandolo come scusa per andare a rincuorarla. Per noi che ci eravamo nati non era poi così difficile, se nasci e cresci con la mancanza di qualcosa poi ti abitui e ti sembra quasi normale. Non puoi dire di non sentirne la mancanza, anche se è strano sentirla da qualcosa che non hai mai provato, ma alla fine ti abitui.

La forza sta nell'abituarsi alle cose che non possiamo cambiare.

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