Fatum

By azurahelianthus

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#1 VOLUME DELLA SERIE CROSSED PATHS «𝑇𝑒 𝑠𝑒𝑖 π‘™π‘Ž π‘šπ‘–π‘Ž π‘›π‘œπ‘‘π‘‘π‘’ π‘ π‘’π‘›π‘§π‘Ž 𝑠𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒». Gli umani s... More

Esergo
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Dicembre
Gennaio
Febbraio
Marzo
Aprile
Maggio
Giugno
Luglio
Agosto
Settembre
Ottobre
DeirΓ­n dΓ©
Tecum [Sequel]

1.

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By azurahelianthus

Non c'era mai stata tutta questa affluenza di demoni e altre creature infernali in giro per Tijuana come oggi.

Il fatto che rientrassi nella classifica grazie, per così dire, alla mia natura, non mi importava poi così tanto. Non mi sentivo come loro, dei miserabili che non facevano altro che confermare il cliché su noi demoni, dove tutti ci credevano crudeli, bugiardi, bisognosi di potere. Crudele lo ero certamente, ma solo con chi meritava una punizione. Ogni demone possedeva un minimo di libero arbitrio: essere un bastardo che godeva del dolore e dell'angoscia di chiunque o essere un bastardo che gode solo del dolore dei peccatori. Mi rendevo conto che la logica comune non era sbagliata, per essere reputato una creatura crudele in ogni caso tanto valeva fare solo il male, ma io non c'ero mai riuscita.

Forse per il dono, che avrei preferito non avere, che ogni figlio di uno dei sette primogeniti di Satana possedeva dalla nascita: bastava unire il nostro sguardo con gli occhi di qualsiasi altra creatura infernale per poterne vedere l'essenza. In pratica vivevamo circa 15 secondi della loro vita tramite i loro occhi, un po' come un trailer, ed era molto utile. Almeno per me, che mi interessava fare del male solo a chi il male lo aveva già fatto.

Sospirai e girai l'angolo per entrare nel quartiere di Avenida Revolución, come sempre piena di gente più di qualsiasi altro quartiere. La maggior parte dei turisti con tempo limitato fa di Avenida Revolución, essendo una zona centrale, il primo approdo, alcuni perché conoscono già il famoso luogo e altri seguono semplicemente la calca del resto della gente. Le creature infernali invece sceglievano questo posto per il caos che si trovava ad ogni ora del giorno e della notte, così era facile che nessun umano si rendesse conto di ciò che veramente succedeva tra una bancarella e l'altra. Patti con il diavolo, prosciugamenti di corpi umani, sesso, successo e soldi in cambio della propria anima e altre mille cose diverse, ma tutte allo stesso modo terribili.

Mi sentivo osservata, da umani e non, ma ci ero abituata. Con i miei meravigliosi capelli neri dalle punte viola, le braccia coperte dai tatuaggi e il tubino di pelle nera che mi fasciava il corpo alla perfezione non potevo passare inosservata e farlo non era neanche la mia intenzione. Non mi dispiaceva essere guardata, o peggio, temuta.

A parte il cibo delle bancarelle, per circa otto isolati non si trovava traccia di bar, ristoranti o negozi di souvenir, c'era solo Cesare, l'icona reale. Tijuana è la culla dell'insalata Caesar, inventata nel 1924 all'Hotel Caesar in questo quartiere dal ristoratore immigrato italiano Cesare Cardini, e quella era la mia meta. Non avevo bisogno di nutrirmi di cibo umano, ma a differenza di qualsiasi altro demone sentivo molto più gusto nel mangiarlo a causa della mia natura, almeno per metà, di dea.

Entrai senza neanche prenotare e mi trovai da sola un posto dove sedermi, respirando a pieni polmoni per sapere se fossi l'unica creatura al suo interno. C'erano un paio di demoni incubi e anche un paio di donne succubi, in attesa di trovare le loro vittime adeguate e seguirli fino a casa, per poi avventarsi su di loro come le api con il miele sostanzialmente.

Tornai a guardare il cameriere, che sembrava ammaliato dalla mia bellezza, e sorrisi, ordinando un insalata Caesar. Avevo proprio voglia di una delle sue insalate, con lattuga romana, il parmigiano grattugiato, i crostini, l'uovo e la salsa. Dannazione che buona, ne sentivo già il gusto in bocca.

Un calore improvviso mi accarezzò la schiena e un odore aspro mi fece storcere il naso con sdegno, prima di vedere un possente demone sedersi di fronte a me con totale incuranza, ma anzi sorridendo.

Era alto, almeno un metro e novanta, e aveva un fisico realmente possente, le spalle grosse poco meno di un armadio e la vita snella, sicuramente dura come la pietra. Indossava vestiti adeguati all'età che indossava, un classico ventitreenne o giù di lì, con una polo blu senza colletto e un jeans più che normale. Il colore della sua maglia gli enfatizzava gli occhi, faticavo a credere che non fosse una cosa voluta, e la pelle olivastra era diversa dal solito, non aveva la comune tonalità calda, ma piuttosto una scura sfumatura che, ad un umano qualsiasi, avrebbe potuto incutere timore.

Il visetto sbarbato lo aiutava a renderlo più giovane di quello che sicuramente era, morbidamente incorniciato da una folta massa di capelli mossi, neri e lucidi come le ali dei corvi. Sul davanti erano tenuti leggermente lunghi, con i ciuffi di una media lunghezza che gli sfioravano le sopracciglia e, da ciò che riuscivo a vedere, dietro li portava corti fino alla bassa nuca. Le labbra erano sottili e piegate in un sorrisetto snervante.

«Allora, ti va anche di parlare o continui a mangiarmi con gli occhi?». La sua voce era come si poteva ben immaginare, profonda e allegra. Quasi genuina, se non avessi sentito l'odore della sua vera natura.

Sospirai, incrociando le braccia e sedendomi più comoda. «Preferirei mangiarmeli gli occhi, piuttosto che continuare ad averti davanti».

Per un secondo un lampo di sorpresa gli illuminò il viso, che poi fu sostituito dal divertimento. «Come sei aggressiva, micetta».

Il cameriere mi posò il piatto di insalata davanti, girandosi per chiedere al demone se volesse ordinare qualcosa, ma lui scosse la testa. Una volta andato via, tornò a rivolgersi a me. «Non mi fai assaggiare, micetta?».

Presi la forchetta in più che mi avevano dato e lo punzecchiai con forza sulla mano, sapendo di fargli poco più di un semplice solletico. «A saperlo ci avrei messo del cianuro in quantità elevate». Presi un boccone e sorrisi acidamente. «Ma non sarebbe servito ad ingannarti, visto che voi demoni non sentite così tanto il gusto del cibo umano».

Mi osservò sorpreso. «Cosa sei? Una discendente?».

I discendenti venivano chiamati anche ibridi, figli nati da un concepimento tra un demone e un umano. In pratica erano troppo poco per completare la transizione totale in demone, ma abbastanza da non poter avere solo caratteristiche umane. Il che, nulla da togliere a loro, per me era quasi un insulto.

Lo fulminai con lo sguardo e stavolta gli infilzai la forchetta fino a sentire la durezza delle ossa delle sue dita. «Ibrido ci sarai tu, demoniaccio».

Ammiccò, per nulla dolorante. «Allora mostrami che sei qualcosa in più».

Sbuffai, prendendo un crostino dall'insalata, e dentro di me, vicino al mio etere, punzecchiai con molta delicatezza Ignis, il potere del fuoco. Una piccola fiamma uscì dal mio indice e abbrustolì il pezzo di pane, mentre lo passavo al demone di fronte a me con finto affetto. «Per te». Sorrisi. «Non volevi mica assaggiare?».

Un sorriso smagliante gli allargò la bocca, mentre masticava e inghiottiva il pezzo di cibo. Mi osservò sorridendo per un altro po' prima di parlare. «Posso sapere il tuo nome, creatura meravigliosa?».

Storsi il naso. «Fammi pensare». Masticai con calma un altro paio di forchettate di insalata. «No».

Ridacchiò, senza scoraggiarsi un minimo, e posò le grandi mani sul tavolo. «Io mi chiamo Dantalian».

Sbuffai. «Pensa quanto cazzo me ne può fregare».

Scosse la testa sempre sorridendo. Avrei voluto così tanto graffiargli via quel sorriso dalla faccia, ma così tanto che mi prudevano le mani dalla voglia, soprattutto quando si sporse verso di me con il corpo e gli dei soli sapevano perché.

I suoi occhi cambiarono dall'azzurro al giallo oro. «Per favore, il tuo nome, dolcezza». La sua voce era diventata sensuale. Forse credeva davvero di impressionarmi.

Alzai un sopracciglio, dubbiosa delle sue qualità. «Credi che chiedermelo in questo modo aumenti la mia voglia di dirtelo?».

Aggrottò la fronte sdegnato. «Aspetta un secondo, come-».

Il telefono di entrambi squillò allo stesso momento, vibrando sopra il legno del tavolo, e agguantai il mio per rispondere, mentre lui seguiva il mio esempio.

Assottigliai lo sguardo, fulminandolo, e lui sorrise dicendo la stessa cosa. «Pronto?».

La voce dall'altra parte del telefono era limpida. «Sono Azazel».

Mi irrigidii. «Che vuoi?».

Dantalian storse il naso. «Già, che vuoi?». Gli diedi un calcio. «Ehi! Sento ciò che dice, la chiamata è la stessa per entrambi. È una chiamata di gruppo».

Sbuffai semplicemente.

«Smettetela, ragazzini. Ad ogni modo non è questo il modo di parlarne, venite sul retro».

Imprecai a bassa voce, pur sapendo che Azazel potesse sentirmi lo stesso con il suo udito elevato, più di qualsiasi altro demone, di alto rango o meno.

Era anche ovvio, essendo uno degli angeli caduti che avevano ceduto al potere di Lucifero e lo avevano seguito nel piano che aveva dato origine a tutto. Lui, Astaroth e Belzebù sono le mani con cui Satana si muove, con il compito di governare l'inferno al suo fianco, e di continuare a eseguire ciò di cui ognuno di loro era responsabile. Azazel è il dio della giustizia e della vendetta, maestro di arti nere e protettore dei viaggiatori. Astaroth seduce attraverso la pigrizia, vanità e le filosofie razionalistiche, può rendere gli uomini invisibili, guidarli a tesori nascosti e rispondere ad ogni domanda. Belzebù invece non mi era ancora propriamente chiaro, ma il pensiero comune lo attribuiva a due peccati capitali, orgoglio e ghiottoneria.

Tuttavia, Lucifero, Belzebù e Astaroth erano considerati come una sorta di triade, con Lucifero come imperatore, Belzebù come principe e Astaroth come granduca. Azazel era molto potente, ma mai come la triade. Sospirando, fui costretta a lasciare a metà l'insalata, lasciando una banconota sotto ad essa per pagarne il conto, con il demone al mio fianco che mi guardava in modo indecifrabile.

Mi irritava. «Che diavolo ti prende?».

Sbuffò. «In tutti i miei anni di vita non ho mai visto un demone pagare il conto neanche quando finiva tutto ciò che c'era sul piatto».

Superai una coppia intenta a succhiarsi via l'anima com un bacio e mi chiesi se lui fosse stato ancora consenziente dopo aver saputo quale creatura avesse davanti. «Non uso il potere di coercizione».

Mi aprì la porta d'emergenza per farmi passare, zittendo l'allarme con un solo sguardo. «Sei buona».

Risi, una risata amara e finta tanto quanto la sua frase. «Non lo sono affatto. È che, a differenza vostra, ho le palle di scegliere da che parte stare anche se il risultato finale non cambierà».

Mi osservò ancora con quell'espressione indecifrabile, celando totalmente i suoi pensieri, prima che un lampo di luce ci richiamasse. Non l'aveva fatto veramente, ma sapevamo che era il modo di Azazel per dirci precisamente dove fosse. La luce era arrivata dall'alto dell'edificio, quindi presi le scale per arrivare al tetto il più in fretta possibile, immaginando che non ci avesse chiamato per qualcosa di positivo, mentre quell'idiota continuava a starmi alle calcagna.

Azazel si girò solo quando posammo le piante dei piedi sul tetto. Era indubbiamente bello, come qualsiasi creatura maligna nella sua forma umana, ed aveva un aspetto più gentile rispetto alle creature della triade, forse per via della sua natura. In fin dei conti ciò che faceva era giusto, in un senso contorto: giustiziava chi aveva fatto del male. Lo avevo visto poche volte nella mia vita, a qualche festa infernale, sì esistono anche laggiù le feste, o durante qualche missione, al suo solito posto a fianco della triade. Era raro vederlo sulla terra e quando lo si vedeva non portava nulla di buono.

Mi schiarii la gola. «In cosa possiamo esserti utili?».

«Ciao anche a voi, ragazzi». Azazel sorrise e incrociò le braccia dietro la schiena. «Ho un compito per voi».

Dantalian si irrigidì. «Spero niente di grave».

Azazel storse il naso, facendo un verso contraddittorio. «In realtà lo è abbastanza».

Sospirai. «Muoviti a parlare allora». Dantalian al mio fianco mi spinse leggermente, come per dirmi di smetterla di fare la maleducata. Non gli feci il dito medio per rispetto ad Azazel, anche se ero certa che si sarebbe divertito.

«Da dove cominciare». Azazel cominciò a fare avanti e indietro in modo estenuante. «Vi ho convocati per occuparsi della salvaguardia di mia figlia Ximena. Sì, ho un'altra figlia che da poco ha compiuto circa vent'anni-».

Dantalian aprì la bocca, ma lui non gli diede il tempo di parlare. «No, non vi dirò chi è la madre, non ha importanza. Ciò che più importa è che è inconscia della realtà del mondo infernale, perché ho lasciato che vivesse una vita il più normale e umana possibile proprio per paura che questo giorno potesse arrivare. Purtroppo, però, è stata individuata da alcuni demoni poco importanti, quando volevano in realtà nutrirsene. Pur essendo bloccata nella forma umana, pur non essendo facile sentire il suo odore, loro l'hanno trovata».

Aggrottai la fronte. «Loro chi?».

Scosse la testa affranto. «Non so ancora sotto quale principe o granduca siamo stati mandati, ma so per certo che non è stato un ritrovamento casuale».

Dantalian sembrò ragionare. «Effettivamente è a vent'anni che gli ibridi sviluppano le nostre capacità, è troppo ordinaria per essere una casualità». Non aveva tutti i torti.

Azazel chiuse i pugni di scatto. «Lei-non-è-un-ibrido».

«Okay!». Alzai le mani in segno di resa. «Allora cos'è?».

«Non vi serve saperlo!». Tuonò. «Vi basta sapere che metà di lei è un demone come voi».

«No che non ci basta, Azazel». Il demone al mio fianco sbuffò. «La base di ogni demone è la stessa, ma per la maggior parte siamo tutti diversi. Non abbiamo tutti gli stessi poteri».

Azazel era indifferente. «Da domani dovrete proteggerla, informarla e addestrarla, anche a costo della vostra vita».

Io e il demone ci guardammo, prima di scoppiare a ridere a crepapelle, e al Dio della giustizia davanti a noi non fece molto piacere. «Davvero una bella battuta».

«Sei fuori di testa se pensi che ci prenderemo volontariamente un compito del genere».

Sul viso della creatura infernale davanti a noi si depose un ghigno. Ahi ahi. «Non ho mai detto che voi abbiate scelta».

Dantalian si avvicinò minacciosamente. «Non so di che cazzo parli ma non mi piace».

«Arya mi deve un favore». Una delle mie sopracciglia saettò verso l'alto, dubbiosa di ciò che stava insinuando. Io non avevo debiti. Con nessuno.

«Ringrazia tuo padre per il debito, tesoro. Durante la guerra per l'inferno e durante la rivolta di Memnoch mi sono schierato dalla sua parte rischiando di morire in modo atroce. Eppure l'ho fatto-».

«Lo hai fatto perché sapevi che lui era troppo potente!». Alzai le mani al cielo. «Non perché avevi scelta».

Alzò le spalle. «L'ho fatto comunque e tuo padre mi ha detto che un giorno si sarebbe sdebitato. Anche Astaroth l'ha detto, sai che può rispondere a qualsiasi domanda e a vedere nel futuro. Tutto ciò che sta succedendo ora è già stato scritto, non puoi cambiarlo».

«È assurdo». Mi portai le mani al viso sospirando. «Che cazzo».

Dantalian sembrò risvegliarsi da un coma profondo. «E io che c'entro?».

«Tu non hai nessun debito con me, quindi sei libero di scelta». Sospirò teatralmente. «Ma ti offro una ricompensa che sono sicuro non vorrai rifiutare. La offro ad entrambi».

Lo guardai in cagnesco. «Non hai detto che sono obbligata?».

Annuì. «Ciò non significa che sono un bastardo che non ti pagherà per il tuo lavoro».

Il demone al mio fianco iniziò a tremare spazientito. «Parla».

«In cambio della protezione di mia figlia...». Si avvicinò, senza più traccia di ghigni o divertimento, cominciando a girarci intorno. «Vi offro la libertà di rimanere nel mondo terreno per sempre. Nessuno di voi due dovrà più tornare negli Inferi per pareggiare l'equilibrio».

Inspirai di scatto. L'equilibrio era l'unica cosa che il nostro lavoro ci faceva temere.

Dopo un mese nel mondo terreno eravamo costretti a scendere al piano inferiore per pareggiare la nostra assenza, dove un demone di rango minore ci sostituiva nel compito di punire le anime. Non era una vacanza, non era per niente piacevole, con il caldo ustionante delle temperature infernali, il fumo nero delle pelli bruciate, le urla addolorate dei peccatori torturarti dai demoni.

Passavamo due giorni lì per riparare l'equilibrio, a torturare le anime, ma nel mondo terreno il tempo si quadruplicava. Senza parlare del fatto che, anche all'inferno, niente veniva dato per niente: come punizione per il tempo mancato, il nostro corpo era in grado di sentire lo stesso dolore che infliggevamo alle anime dannate, ma noi non potevamo morire.

Sembrò passare in eternità prima che il demoniaccio si prese la briga di rispondere. «Accetto».

Strabuzzai gli occhi. «Ti è dato di volta il cervello?».

Azazel sorrise. «Perfetto, miei cari ragazzi!». Ci mise le mani accaldate sulle spalle.

«Ricapitolando, sapere che poteri ha ereditato da sua madre non sarà necessario. Tenete gli occhi aperti su ogni demone e se saprò qualcosa sul mandante dei piccoli stronzi vi farò sapere, per ora occupatevi solo di lei e del suo addestramento. Dovrà essere perfetta come voi due».

Ammiccai, felice del complimento. «Dove la troveremo?».

«È qui giù, nel furgone nero, insieme a due miei assistenti».

Dantalian annuì. «Quando non sarà con noi, dove abiterà?».

«Le ho preso una casa a due piani fuori città e dove sarà lei, oltre voi due, ci saranno sempre altri tre dei miei assistenti come guardie del corpo». Sospirò. «Mi raccomando, non potete fidarvi di nessuno che non sia uno di voi due».

Deglutii. Bella merda. «Bene, allora possiamo and-».

«Che coglione che sono!». Dantalian lo osservò divertito, mentre Azazel imprecava. «Ho un'altra cosa per voi».

Alzai gli occhi al cielo. «Spero non un'altra figlia». I due demoni trattennero una risata a stento.

«Niente del genere». Scacciò le mie preoccupazioni con un gesto della mano e si avvicinò di molto a noi, facendo comparire un pugnale nel palmo della mano. «Vi devo unire con un Divide Et Impera».

«Cosa?!». Urlai. «Non se ne parla».

Dantalian sbuffò. «Abbiamo appena giurato di proteggere un umana a costo della vita e ti preoccupi di una cosa simile?».

«Il Divide Et Impera non è uno scherzo, cazzo. È un legame unico che comprende tutti i punti, fisico e mentale, e di norma è una procedura sentimentale!». Ero sdegnata. «E l'unico modo di annullarlo è-».

«La morte di uno dei due». Ringhiò. «Credi che non lo sappia? Ma ormai può solo andare peggio, quindi».

«Io direi che è una cosa utile». Azazel alzò l'indice.

«Uno, avrete una connessione mentale totalmente al sicuro di qualsiasi altra creatura, anche da un Dio infernale come me».

Alzò il medio. «Due, a livello fisico riuscirete sempre a sentire dove si trova l'altro, senza contare che, se uno dei due è in pericolo, l'altro lo sentirà».

Alzò anche l'anulare. «Tre, non c'è un punto tre, ma era fastidioso fermarsi al due. Però posso permettermi di dire che, secondo il mio umile parere, sarebbe una cosa geniale. Vi renderà più potenti di quanto già non siete, non è un prezzo che vale la pena pagare?».

Storsi il naso. Tutta questa storia mi puzzava, ma non avevo scelta. "Divide Et Impera" era una frase latina, più simile ad un motto o un proverbio.

Divide Et Impera diceva semplicemente che è più facile gestire le cose quando sono divise in parti più piccole. È più facile conquistare un nemico più piccolo, è più facile risolvere un problema se lo si divide in problemi più semplici, e allo stesso modo i demoni applicavano questa legge per nominare quello che per gli umani era un matrimonio, un legame in onore dell'amore e dell'unione delle anime: è più facile gestire una vita eterna se al nostro fianco c'è qualcuno con cui condividerla, con cui dividere il peso di gioie e dolori.

E a quanto pare la persona con cui ero costretta a dividere il peso, era esso stesso il peso. «Okay».

Dantalian sbuffò. Ancora un'altra volta e gli avrei cavato gli occhi. «Sia lodato l'inferno».

Il Dio della giustizia fece apparire un calice d'oro, ornato con preziose pietre bianche e ghirigori. Per me era una novità, non avevo mai visto né ovviamente provato il Divide Et Impera.

Con il pugnale che era spuntato poco prima tra le dita, rivolse il palmo di Dantalian verso l'alto e premette la lama fino a creare un lungo squarcio di pelle, da dove iniziò a fuoriuscire del sangue scarlatto. Quel demoniaccio strinse il pugno cercando di farne uscire di più, prima che la ferita si richiudesse in pochi minuti, e lo lasciò cadere all'interno del calice.

Azazel fece la stessa cosa su di me e provai solo una lieve fitta, più simile ad un pizzicotto che ad un taglio, mentre stringevo il pugno con forza per far uscire abbastanza sangue da riempire la maggior parte del calice. Quando il mio sangue scuro, quasi bordeaux, incontrò quello di Dantalian, rosso scarlatto, il liquido cominciò a bollire fino a diventare più solido e molto meno liquido.

Azazel mi porse il bicchiere ammiccando e io lo presi, portandomelo alla bocca con incertezza. «No». Mi fermai. «Devi fare bere lui e poi lui farà bere te».

Sbuffai, borbottando qualcosa come "che cazzo di stronzate" e portai il calice alle sue labbra, permettendogli di bere. Quando finì la metà del liquido si pulì le labbra con la lingua e distolsi lo sguardo, provando una lieve eccitazione.

Azazel sorrise divertito e si rivolse a Dantalian. «È il tuo turno».

Mi prese il calice dalle mani e con delicatezza me lo portò alle labbra, costringendomi a inclinare la testa all'indietro per potere bere. Che Satana mi aiuti.

Feci scivolare il sangue nella mia gola, gustandone il sapore dolce e la consistenza un po' diversa dal normale, finché non sentii un calore esplodermi nell'intero corpo. Dalla gola si propagò allo stomaco, passando poi per le gambe, e un lieve mal di testa mi fece aggrottare la fronte. Era come se le mie cellule stessero facendo spazio a qualcosa di nuovo.

Azazel batté le mani, una specie di applauso. «Adesso-».

Una pergamena apparve nel suo palmo, di un colore giallo sporco e parecchio rovinata. Riconobbi la firma di Lucifero alla fine del foglio, mischiata all'evidente stato di vecchiaia della pergamena, e tutto ciò che mi fece contrarre lo stomaco dall'ansia.

«Dovete recitare queste parole, fermandovi prima dell'ultima frase. Quella la dovrete dire insieme, allo stesso momento, e sarà il sigillo del patto».
Mi sentii rabbrividire involontariamente, mentre Dantalian sembrava totalmente incurante.

Si avvicinò alla pergamena per leggere e mi trascinò al suo fianco. «Semper Amemus, semper fidelis, semper et in aeternum. Animae duae, animus unus, serva me, servabo te. Ubi tu Gaius ego Gaia».

Lo sguardo del Dio infernale e del demone si spostarono su di me. Mi inumidii le labbra, incerta di ciò che stavo facendo, pur sapendo di non avere scelta. «Semper Amemus, semper fidelis, semper et in aeternum. Animae duae, animus unus, serva me, servabo te. Ubi tu Gaius ego Gaia».

Amiamoci per sempre, per sempre fedeli, sempre e in eterno. Due vite, un'anima sola: salva me e io salverò te. Dovunque tu sarai, io sarò.

Questo era ciò che avevamo detto in latino e la consapevolezza fu come un macigno.

Azazel ci incoraggiò con la testa, ricordandoci di dover ancora dire l'ultima frase. Il sigillo, quello che effettivamente ci avrebbe legato finché l'unica cosa che poteva farlo non ci avrebbe separati: la morte. Da quel momento sarei diventata sua e lui mio e mai più saremmo potuti essere di qualcun altro. Mai più.

Dantalian si girò verso di me, finalmente mostrando qualche emozione. Ansia, incertezza e una lieve malinconia. Mi fece piacere sapere di non essere la sola. «Ab imo pectore, tecum».

Inspirai di scatto, abbassando lo sguardo. «Ab imo pectore, tecum».

Dal profondo del mio cuore, con te.

«Bene, adesso vi lascio ai convenevoli da sposati». Azazel assunse un sorriso smagliante calcando la parola "sposati" e avrei tanto voluto tirargli un pugno.

Salì sul cornicione del tetto pronto a lanciarsi in aria, ma prima si girò nuovamente verso di noi, con fare divertito. «Felici Hunger Games e possa la fortuna essere sempre a vostro favore!».

Poi rise un'ultima volta e si trasformò nella sua vera forma, in volo verso Satana solo sapeva dove. Letteralmente.

Mi irrigidii visibilmente prima di tirare un pugno al demone al mio fianco.

«Ahi!». Sibilò massaggiandomi la zona. «Che ho fatto?».

Gli mostrai il dito medio. «Ti odio!».

Andai verso la porta di ferro che portava alle scale, così da poter tornare in strada, ma lui mi superò e andò per primo, nuocendo gravemente ai miei nervi. Scese velocemente le scale borbottando cose del tipo "mi sono legato ad una psicopatica aggressiva" e questo mi convinse ad avvicinarmi mentalmente ad Ignis per bruciargli il culo, poco prima di sentire un odore familiare: terra bagnata e pioggia.

Ci misi qualche secondo a collegare il cervello ai neuroni spazzati via dal processo infernale di pochi secondi prima, ma riuscii comunque in tempo a scavare dentro la mia mente e a tirare quel filo viola che, con mio dispiacere, mi legava indissolubilmente al demoniaccio. Dantalian si fermò di scatto sulla soglia della porta, come se la sua bambola voodo fosse finita nelle mani di qualcuno, e mi guardò di traverso.

Lo superai spingendolo di lato giusto in tempo per vedere un lupo nero ringhiare contro di me e poi, quando capì che ero io quella che aveva davanti e non Dantalian, mi si strusciò contro con affetto. Gli accarezzai la testa, sentendolo tremare e ringhiare positivamente. Dentro di sé stava ridacchiando per via del solletico delle mie carezze.

Con la coda dell'occhio vidi il demoniaccio avanzare cauto verso il lupo, alzando un pugnale di puro argento. «Che diavolo fai?!».

Tirai il filo viola e lo lasciai andare con forza, vedendo il demoniaccio venire sbalzato qualche metro più indietro. «Che problemi hai?».

«Io?». Tuonò. «Siamo legati da meno di cinque minuti e già ne stai abusando fin troppo!».

Lo fulminai. «Non è colpa mia se non stai attento ai dettagli».

«Quali dettagli?». Alzò le mani esasperato. «Hai un fottuto lupo che ti potrebbe sbranare che ti si sta strusciando su una gamba».

«Lui è Erazm, idiota». Mi osservava ancora più confuso e sbuffai. Era davvero stupido. «È mio».

«Tuo?». Sembrava schifato.

«Sì, appartiene a me. È il mio migliore amico e il mio protettore da quando sono nata».

«Bene, davvero perfetto». Imprecò. «Non usi il potere di coercizione, ti esce fuoco dalle dita, hai un Anubis come guardia del corpo e non riesco ad usare i miei poteri su di te. C'è altro?».

Ci pensai su. «Mmh, credo di no». Poi mi concentrai su un altro dettaglio. «Che diavolo significa che non riesci ad usare i tuoi poteri su di me?».

La sua espressione tornò indecifrabile. «Lascia stare».

Un auto sgommò all'interno del vicolo con poca delicatezza ed entrambi ci irrigidimmo, piantando i piedi sull'asfalto bagnato dalla pioggia precedente e portando entrambi le mani verso le nostre armi, io alla coscia e lui al fianco destro.

Dall'auto scese un Harab, chiamati anche i corvi della morte e non c'era bisogno di specificare perché, seguito da un Reshaim, uno della categoria dei malvagi. Inspirai profondamente, concentrandomi più sull'odore delle creature davanti a noi isolando il resto, e la puzza di muffa mi fece storcere il naso, costringendomi a smettere di respirare come un normale umano. Non era solo un Reshaim, ma anche uno dei peggiori: un Gheburim, un violento.

«Ma che bella sorpresa». Dantalian sfoderò un sorriso smagliante, ma lasciando fuoriuscire i suoi denti naturai, appuntiti come dei canini. «Aladdin senza tappeto volante e Gollum senza il suo tesoro».

«Ma che diavolo?». Lo guardai divertita.

Alzò le spalle. «Harab mi ricorda un qualcosa di arabo e Gheburim ha qualcosa che mi fa pensare a Gollum».

Il demone Harab ridacchiò. «Nella sua forma naturale assomiglia effettivamente a Gollum».

Il Gherubim sbuffò impaziente. «Che cazzo è un Gollum?».

All'inferno sicuramente non prendeva internet.

Sorrisi. «Gollum è un personaggio del Signore Degli Anelli».

«Giochini del cazzo a parte». Di natura i Gheburim erano poco pazienti e molto permalosi. «Il lupo del cazzo viene con noi? Perché non ho intenzione di-».

Mi scontrai in fretta contro il suo petto, usufruendo di una velocità poco umana e fulminandolo con lo sguardo. Venom, chiamai all'interno della mia mente, e il serpente sul braccio iniziò a strisciare verso il mio collo, lasciandomi la possibilità di usufruire dei suoi poteri.

Mostrai i canini improvvisamente più lunghi del normale. «Attento a come parli». Ringhiai. «Il suo nome è Erazm e da questo momento in poi dovrete portargli rispetto tanto quanto lo portate a me o non mi dispiacerà appendervi al tetto per le budella come dei salami poco prelibati».

Dantalian fischiò. «Non vi conviene mettervi contro la mia signora».

Tornai al mio posto, ovvero al suo fianco, ma non prima di dargli un calcio sulla parte posteriore delle ginocchia, costringendolo a cadere in ginocchio. Mi scoccò un occhiata divertita e si rialzò.

Il demone Herab ridacchiò. «Che dite, andiamo?».

«A fare?». Lo guardai dubbiosa e poi compresi. «Voi due siete i demoni che Azazel ha incaricato per sua figlia, vero?».

Lui annuì e Dantalian sgranò gli occhi. «E non potevate dirlo prima invece di fare tutta questa scena? Ero già pronto ad ordinare ad Arya di incenerirvi il culo».

Assottigliai lo sguardo. «Tu non mi ordini proprio niente».

Rimisi il pugnale nella striscia di stoffa attorno alla coscia, ben nascosta dalla gonna, e rilassai la posizione. Lo lasciai passare per primo, per andare verso l'auto dei due demoni. Ignis, mi concentrai mentalmente e lanciai una piccola porzione di fuoco sulla parte posteriore dei jeans del demoniaccio che era appena diventato "mio marito".

«Ehi!». Si girò di scatto. «Mi hai appena bruciato il culo?».

Ritirai la fiamma dal mio dito e ci soffiai sopra, fingendo fosse una pistola. Anche il Gheburim si unì alla risata fragorosa dell'altro demone, mentre io e Erazm li seguivamo all'interno dell'abitacolo.

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