Walk Forever By My Side - Att...

By miryel

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I suoi occhi sono impegnati a guardare altro. Le sue dita sono intente a slacciare ogni singola cintura della... More

1. Die a Little
2. God save me, but don't drown me out
3. Ci vediamo qui
4. Just go back to your sandwich
6. E Fu Sera e Fu Mattina

5. Boring by the Sea

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By miryel


5. 𝐁𝐨𝐫𝐢𝐧𝐠 𝐛𝐲 𝐭𝐡𝐞 𝐒𝐞𝐚

«ˢᵘᶜʰ ᵃ ʰᵃʳˢʰ ᵗᵒʷⁿ, ʸᵉᵗ ˢᵒ ᵉᵃˢⁱˡʸ ⁱᵗ'ˢ ⁿᵉᵛᵉʳ ᵇᵉᵉⁿ ᵐᵘᶜʰ ⁱⁿ ᶠʳᵒⁿᵗ ᵒᶠ ᵐᵉ
 ᵏᵉᵉᵖ ᵠᵘⁱᵉᵗ, ᵏᵉᵉᵖ ᵠᵘⁱᵉᵗ, ᵏᵉᵉᵖ ᵠᵘⁱᵉᵗ
ˡᵉᵗ'ˢ ᶜᵒⁿˢⁱᵈᵉʳ ᵃ ᶜʰᵃⁿᵍᵉ ᵒᶠ ˢᶜᵉⁿᵉʳʸ ⁱᵗ'ˢ ᵍᵉᵗᵗⁱⁿᵍ ᵇᵒʳⁱⁿᵍ ᵇʸ ᵗʰᵉ ˢᵉᵃ
ᵖⁱᶜᵗᵘʳᵉˢ, ᵖⁱᶜᵗᵘʳᵉˢ, ᵖⁱᶜᵗᵘʳᵉˢ.»
ᵇˡᵒᵒᵈ ʳᵉᵈ ˢʰᵒᵉˢ - ⁱᵗ'ˢ ᵍᵉᵗᵗⁱⁿᵍ ᵇᵒʳⁱⁿᵍ ᵇʸ ᵗʰᵉ ˢᵉᵃ


  Alla fine, a guardarlo bene, il mare non è nulla di che.

  Forse, a parlarne e riparlarne, Armin ha alzato troppo le sue aspettative e, malgrado di fronte a lui si estenda un telo celeste che riflette i raggi del sole che dovrebbe smuovere qualcosa in lui, Jean, dentro di sé, non prova nient'altro che un vuoto. Avrebbe voluto anche solo avvertirla debolmente, quell'emozione dentro che pare aver investito tutti quanti. Sembrano recipienti colmi di colori e sensazioni diverse. Almeno loro sembrano provare qualcosa.

  Lui no.

  Sente solo un'innegabile e distruttiva apatia; ci combatte ogni giorno, cerca di valicare quell'ostacolo, di combatterlo, ogni tanto vince lui e dimentica il buio, ma non è sempre così semplice. In verità non lo è mai stato.

  Vivere. Vivere non è semplice. Non lo sarà mai, specie ora che l'esistenza non è più circoscritta dentro quelle mura e basta. Al di fuori c'è altro, oltre il mare, eppure non è appetibile come avrebbe dovuto essere. È solo terribilmente spaventoso.

  Fa così paura che gli sale un brivido lungo la spina dorsale, al centro della schiena. Sale fino al collo, gli vibra la nuca e poi sente un freddo pungente in mezzo alla fronte. È come una spina – o un coltello tagliente.

  I suoi occhi ammirano lo spettacolo di un'immensa distesa d'acqua che quasi stentava a credere potesse esistere e, l'unico pensiero che gli passa per la testa, è quello che non avrebbe mai voluto conoscere quella nuova realtà da solo.

  Si sono promessi il mondo intero, a volte l'uno sulle labbra dell'altro, affogando insieme in sguardi complici, in sorrisi rassicuranti e, a volte, negli stessi sogni irrealizzabili.

 «Vedremo il mare, un giorno: ne sono certo. Armin ne parla così tanto che alla fine mi ha messo addosso una curiosità incalcolabile.»

  Jean ha riso sulle sulle sue lentiggini, quella volta, mentre erano protetti dal mondo intero, infilati sotto ad una coperta di stelle e un pavimento d'erba umida. «Non crederci troppo, Marco. Probabilmente non esiste niente del genere.»

  «Sarebbe bello, se fosse vero.»

  «Dipende dai punti di vista. Per te che cosa significherebbe scoprire che è reale?»

  «Libertà. Vorrebbe dire che, se ci trovassimo di fronte al mare, non saremmo più prigionieri di queste mura.»

  «Sentirsi prigionieri delle mura è modo di vedere le cose. Ci proteggono dai giganti, in fin dei conti.»

  «E ci tagliano fuori dal mondo esterno.»

  «Non c'è niente, là fuori.» Ha controbattuto, ostico come sempre, con quel perenne finto distacco da ogni cosa.

  Marco non si è scomposto, nemmeno quella volta. Si è messo su un fianco, ha accorciato le distanze e gli ha distrattamente tolto una ciocca di capelli da davanti al viso. Jean si è voltato verso di lui e ha trovato un sorriso ad accoglierlo.

  «C'è il mare. Lo vedremo insieme. Mi basta questo.»

  Jean lo ha poi stretto forte. Ha infilato la testa nell'incavo della sua spalla, col solo intento di nascondere la devastazione certamente gli si leggeva in faccia. Marco gli ha sfiorato i capelli e ha sospirato carezzevolmente; lentamente, poi, gli ha lasciato un bacio sulla testa, con la stessa delicatezza di un angelo – e lo stesso intento distruttivo di un mostro.

  Marco lo distruggeva. Continua a farlo tutt'ora, con la sua assenza. Poi, peggio, non ha mai visto il mare. E, no, non lo vedrà mai.

  Jean, di fronte a quel panorama privo di barriere, tenta di condividere, indirettamente, con lui quello che vede, immaginando stupidamente che Marco sia lì, vicino a lui, con una mano a coprirsi gli occhi dal sole e un sorriso che racconta cosa significa realizzare un sogno.

  Jean stringe nel pugno l'aria fresca della costa; lo alza sul cuore, che dona al vento. Non ha mai creduto in una vita al di fuori della morte, non pensa che chi se n'è andato lo stia osservando e ha sempre sperato che Marco non lo abbia mai guardato, da lassù, perché non ha fatto altro che dimostrarsi una persona mostruosa, opinabile, spaventosa e spaventata. Una nullità che nasconde, dietro a un'arroganza goffa, l'inadeguatezza che lo accompagna da quando è rimasto da solo.

  Ricaccia indietro la rabbia, colmo del senso di colpa che non lo abbandona mai ma che, oggi, è più forte persino di quelle onde che si infrangono sulle rocce. Il rumore del mare è quasi assordante, fa da sfondo a pensieri confusi e distruttivi che non riesce a ricacciare nell'altro oscuro della sua anima.

  Non gli importa del mare, non gli importa di ciò che sarà da adesso in poi. Non gli interessa che Armin abbia coronato il suo sogno e stia sorridendo. Non gli importa se, quel momento di stallo prima di abbandonare casa forse per sempre, dovrebbe viverlo con un poco di spensieratezza, dimenticando solo per un istante quanto le cose sono cambiate e quanto ancora muteranno.

  Non gli importa di niente e di nessuno, men che meno di se stesso. Forse non gli è mai importato. Vorrebbe solo chiudersi in una stanza buia, tapparsi le orecchie e non sentire più quel suono roboante che gli ricorda che, nonostante tutto, è vivo ma, quella sopravvivenza, gli è costata un caro prezzo.

  Chiude gli occhi e non esiste più il domani. Esiste il qui, e ora – e il sogno irrealizzabile di qualcuno che gli pesa addosso come se, alla fine, fosse solo colpa sua.

  «Jean?»

  Sente una fitta dietro la schiena. Apre gli occhi di scatto e li sente bruciare; due linee di lacrime gli bagnano le guance e, la prima sensazione che sente dentro al cuore, è il terrore. Il battito cardiaco sembra il suono di un tamburo; come se fosse in guerra, scandisce il tempo e i passi verso un'inesorabile fine.

  Solo che la fine non esiste, non è contemplata. Non adesso che è tornato alla realtà e, tutto ciò che vede, girandosi a guardare alla sua sinistra – verso quella voce che lo ha chiamato – è il viso preoccupato di Marco.

  «Stai bene?»

  «S-sì, io... io sto bene, che accidenti di domanda è?», chiede, retorico. Si prende la testa tra una mano e, usando il dorso dell'altra, si asciuga gli occhi. Tira su col naso. Ha addosso la sensazione di aver pianto nel sonno ma, la verità, è che spera non sia successo davvero.

  «Non lo so, mugugnavi parole incomprensibili e sembrava ti stessi sentendo male. Mi hai fatto prendere un colpo», ammette Marco, sinceramente preoccupato, continuando a guardarlo con un certo sospetto – sì, come se Jean stesse mentendo. Lo sta facendo, in parte, perché in realtà non ha davvero idea di cosa gli sia successo, sebbene sappia dentro di sé che, quel sonno agitato, è di certo colpa del sogno assurdo che stava facendo.

  «Quanto ho dormito?», chiede e Marco alza il polso per controllare l'orologio.

  «Forse un paio d'ore, o qualcosa di più.»

  A me sembra passata una vita.

  «Dio, deve essere colpa di questi sedili. Sono quasi sei ore che siamo seduti e questo pullman non ha fatto ancora un'accidenti di sosta nemmeno per pisciare», si lamenta, mentre immagini che non appartengono a quella vita gli scorrono di fronte in maniera sempre più nitida, sempre più dolorosa. Quel sogno sembra aver occupato molto più di due ore, nelle sua testa; ed è stato tutto così realistico che ha quasi paura a rimettersi a dormire.

  «La tua delicatezza continua a stupirmi ogni giorno di più», ironizza Marco, che intanto ha tirato fuori il cellulare dalla tasca e controlla qualche notifica giusto per passare il tempo. «Dai, mancano solo due ore e saremo arrivati a destinazione. Cioè... al porto per prendere il traghetto.»

  «Berlino, Calais. Nove ore di pullman. Sai quanto ci avremmo messo prendendo un aereo diretto per Londra, invece di fare tutto questo giro inutile?»

  «Meno di due ore. Lo so perché non hai fatto che ripetermelo in questi giorni, come se avessi deciso io di viaggiare in modo meno pratico.»

  «Ehi, non ti sto incolpando! Anche se, come rappresentante di classe, avresti potuto convincere il professor Shadis a ponderare sulla scelta migliore», sbuffa, incrociando le braccia al petto.

  Marco ride leggermente, con quel fare da ormai ti conosco come le mie tasche che, in un certo senso lo infastidisce e, allo stesso tempo, quasi lo tranquillizza. In questo momento come in nessun altro. È felice di averlo accanto, molto più di altre volte. È vivo, salvo, sorridente e è accanto a lui, come se non potesse fare altrimenti.

  Non glielo dirà mai, ma gli è grato per averlo sempre capito. E amato.

  «Ehi, guarda! Guarda, Jean!» Marco si appiccica al finestrino, quasi lo sovrasta e indica un punto indefinito sul vetro. Jean ci mette qualche secondo a capire che deve semplicemente voltarsi e ammirare ciò che l'altro vuole che veda.

  Qualcosa che Marco non ha mai visto prima e che, a quanto pare, gli ha acceso qualcosa nel cuore.

  Il mare.

  «Oddio, stai reagendo come Armin quando c'ha fatto vedere le foto della spiaggia di Wannsee. Con Jaeger dietro di lui che pareva stesse assistendo ad un funerale, per quanto era impassibile. Per non parlare di Mikasa...»

  «Guarda e taci! È la prima volta che lo vedo e non mi interessa se tu vai in vacanza ogni anno al mare e la cosa non ti entusiasma più.»

  «Okay, okay! Goditi il tuo momento!», gli risponde, spazientito, e trattiene un sorriso intenerito, quando vede quello genuino che si allunga sul viso lentigginoso di Marco. Sembra un bambino; sembra la purezza incarnata.

  Gli batte il cuore a quel pensiero e allora decide che, quel panorama, cercherà di vederlo dalla sua prospettiva. Con un poco di amore e delicatezza, riservate a qualcosa che, alla fine, l'anima un po' la smuove.

  Marco, con gli occhi puntellati di stelle, fa sembrare qualsiasi cosa come se fosse il dono più prezioso al mondo.

  Alla fine, a guardarlo bene, il mare non è nulla di che.

𝐅𝐢𝐧𝐞

Note autore:

Enniente, dopo giorni di puro vuoto, alla fine ho tirato fuori questa shot che, devo dirlo, avevo in mente da un po'... torniamo dunque all'idea di una seconda vita insieme, una seconda possibilità.

Sì, perché quei due DEVONO stare insieme e se non è l'universo di AoT, allora sarà altrove ♥

Grazie a chi ha letto, a chi deciderà di lasciare un commento e a chi continua a credere in me, specie quando io smetto di credere in me stessa ♥

La vostra amichevole Miryel di quartiere. 

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