Urbana

By uncannish

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Sono degli outsider da manuale, i Neftali's Heart. Nati durante le prime settimane estive del '91 in un'isola... More

𝑻𝑯𝑬 𝑹𝑰𝑺𝑬 𝑨𝑵𝑫 𝑭𝑨𝑳𝑳 𝑶𝑭...
Prologo
Un nuovo mezzo artistico
Il popolo del sottosuolo
La teoria degli alieni
Scena madre
Neftali's Heart
Lester + John
Chitarra, basso e batteria
Il giorno libero di Simon Becker
Outsider tra gli outsider
Le ragazze
Appuntamento fisso
Il fantasma amichevole
Incroci
Un posto sicuro
Ricominciare

Terreno fertile per la distruzione

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By uncannish

Jason sistema la visiera del cappellino da baseball, mentre tiene il conto di tutti i ragazzini sui monopattini che riesce a scorgere.

Uno, due... tre. Ed eccone un altro.

Da quella volta che Simon gliel'ha fatto notare è impossibile non accorgersi di tutti i bambini che circolano da quelle parti.

«Non so se è una buona idea,» dice, poi, rivolto a Valerie. Lei alza le spalle.

«Non mi stupisce che la pensi così,» esclama l'altra con un sorrisetto.

«Già,» risponde vago Jason. Si guarda attorno e tutto ciò che vede è la distesa di cemento dove fino a poco tempo prima faceva pratica con Adrienne per scrivere canzoni.

L'idea di suonare in quel parcheggio abbandonato è stata, ovviamente, di John. Il piano principale, a sua detta, è suonare finché qualcuno non li caccia.

Qualche giorno prima, Adrienne se n'era uscita con l'idea di registrarli con il Sony CCD trovato tra le cose di suo fratello, in modo da testare il camcorder per futuri progetti. Insomma, non c'è molto da fare per fronteggiare Adrienne, soprattutto se poi John ci mette il pensiero e vuole accontentarla a tutti i costi: è così che si sono ritrovati lì a fare da cavia. Il parcheggio era stato scelto in quanto location suggestiva, ma anche come unico luogo in cui avrebbero effettivamente attirato qualche nuovo ascoltatore.

Valerie prorompe in una risata stridula nell'osservare John fare avanti a indietro dall'auto parcheggiata poco più avanti per sistemare la propria batteria.

«Non capisco perché è sempre il batterista a sgobbare,» esclama lui, affaticato, mentre si avvicina ai due, ma Jason, troppo preso dai suoi dubbi, si accorge effettivamente della presenza dell'amico solo quando gli schiocca due dita davanti.

«Datti una mossa, Pratt! Sei tu quello giovane tra i due!»

Poi, sempre più furioso, come un padre a cui è stata spenta la TV a tradimento durante la partita di football, si volta a indicare Valerie.

«Anche tu, ragazzina, non credere che sarò io a portarti qui il basso. Il tuo essere donna non ti salverà.»

Con un sospiro collettivo i due decidono che è effettivamente arrivato il momento di sgobbare anche per loro, quindi si avviano insieme all'auto.

«Oggi non sei in ansia per suonare?» domanda Val, mentre aprono la portiera e prendono chitarra e basso, al sicuro nelle rispettive custodie.

Jason, di tutta risposta, alza le spalle. Indossa la tracolla della custodia e poi si avvicina al bagagliaio, dove hanno posizionato gli amplificatori, un microfono con tanto di asta raccattata chissà dove e un piccolo generatore che John si è fatto prestare da Dex.

«Credo che la terapia d'urto a casa vostra abbia funzionato,» ribatte lui. «Non è che non me la stia facendo addosso in questo momento, ma almeno non rischio di scappare via.»

Valerie accenna un sorriso: «Se ci pensi, vedremo quasi le stesse facce,» osserva. Poi s'illumina: «Chissà se ci sarà anche Dex. Dobbiamo continuare il discorso dell'altra volta, mi sembrava molto interessato all'anatomia dei Grigi, ne abbiamo parlato per così tanto tempo!»

Jason non è sicuro che Dex stesse davvero ascoltando i suoi discorsi, ma forse si sbaglia. Magari il frontman degli Energy Drinks e Val hanno in comune un'inusuale passione per gli alieni.

«In ogni caso, ormai ci sono troppo dentro per aver paura di suonare in pubblico.»

«Basta fingere finché non avrai più paura per davvero,» osserva Valerie. «E poi, l'unica paura che ha senso qui è la paura di essere presi a botte da qualche fan dell'heavy metal,» continua, indicando con un cenno del capo un paio di skater con i capelli lunghi fino alle spalle e i jeans pieni di catene.

Jason rabbrividisce, e senza aggiungere niente i due raggiungono John e iniziano a sistemare l'equipaggiamento. Mentre collega la chitarra all'amplificatore, Jason vede un skater passeggiare, fermandosi poi in mezzo alla strada per salutare un amico. I due iniziano a parlare animatamente, e lo skate che il tizio portava sotto al braccio gli cade a terra. Lui non sembra nemmeno accorgersene, e continua a parlare incurante mentre il suo skate, come animato da una forza sovrannaturale, si avvia per il parcheggio, e i ragazzini che se lo trovano davanti finiscono a terra uno dietro l'altro nel tentativo di evitarlo.

«John,» esclama quindi Jason, voltandosi verso l'amico, che sta sistemando i bulloni del rullante, «non so a quanto servirà suonare qui. È come casa di Simon ma con più incidenti.»

L'altro si porta le mani sui fianchi, stranito; si volta e si guarda intorno; ci sono un paio di ragazzini più piccoli che osservano la scena, incuriositi. Tutti gli altri proseguono per la propria strada, disinteressati.

«Hai ragione, nemmeno io li sopporto quei bambocci.»

Valerie si aggiunge: «E Adrienne non è nemmeno qui.»

«Non è una perdita di tempo, fidatevi,» esclama John, nervoso. «Adie arriverà presto, tanto dobbiamo ancora sistemare tutto.»

«Vorrei suonare al Beryl,» sbuffa Jason.

«Stasera potremmo appostarci davanti all'entrata finché non ci fanno suonare,» propone all'improvviso Valerie.

In mezzo a quei discorsi sempre più sconclusionati, John posa le bacchette sulla grancassa e fa un lungo sospiro, a occhi chiusi, per calmarsi. Poi si alza in piedi e, aggirata la batteria, si posiziona in mezzo agli altri due e porta le mani sulle loro teste.

«Lo conoscete Daniel Johnston? Le avete sentite le sue canzoni?»

«Qualcuna,» annuisce Jason, «Ho sentito una sua cassetta, tempo fa. Al momento non se ne trovano più in giro.»

John annuisce solenne, come un padre che fa un discorso particolarmente toccante ai figli.

«Beh, Daniel Johnston era un perfetto sconosciuto, nient'altro che un outsider, fino a pochissimo tempo fa. Uno o due anni, giù di lì. Il ragazzino registrava cassette con le sue canzoni negli anni '80, poi è finito in clinica. Nessuno lo conosceva, all'infuori di una cerchia ristretta di fan della sua città, in Texas. Poi Kurt Cobain scoprì la sua musica, si fece fotografare con una maglietta con su la copertina del suo album e ora tutti lo conoscono.»

«Non capisco dove vuoi arrivare,» lo interrompe Jason.

«Stai dicendo che Adrienne è come Kurt Cobain?» si aggiunge Val.

«Se mi lasciate finire,» borbotta lui, poi continua: «Il punto è che non possiamo sapere come andrà a finire questa storia della band. Come in ogni gruppo in cui ho suonato, questa è l'unica variabile che non si può controllare. Ma per tutto il resto possiamo fare qualcosa, e quel qualcosa è accettare tutte le occasioni che abbiamo. Soprattutto quelle che propone qualcuno con più esperienza di voi.»

«Ehi,» protesta Valerie. «Non ci provare! Questa band non è una dittatura.»

«Silenzio,» esclama John, ormai sempre più divertito di quella presa in giro fin troppo elaborata. «Non ho finito.»

Jason sospira, senza riuscire a trattenere un sorriso.

«Forza, termina questo discorso motivazionale così possiamo suonare all'asfalto,» esclama, e Valerie ride alla sua battuta.

«Dicevo,» continua John, ignorando di proposito il chitarrista, «prima di essere scoperto Johnston puliva i tavoli al McDonald's e rifilava ai clienti le sue cassette; è finito in un programma musicale della sua città perché si è presentato sul luogo dell'evento e ha suonato senza essere invitato. E sapete perché ci è riuscito? Perché usava tutto ciò che aveva per farsi conoscere, e come avrete capito non aveva molto. Ed è quello che dovremmo fare anche... oh, cazzo

Il batterista s'interrompe di scatto. Le parole gli muoiono in gola quando intravede Greta all'entrata del parcheggio. Il suo sguardo si addolcisce e in un attimo spinge via Jason e Valerie, mandandoli quasi a sbattere contro la sua batteria.

«Torno subito,» esclama John. «Voi continuare a sistemare, mi raccomando... Lo finiamo dopo, il discorso,» fa poi, sbrigativo, e corre incontro alla ragazza, subito riconoscibile per i suoi sgargianti capelli rossi.

Jason e Valerie restano imbambolati nelle loro posizioni, si scambiano uno sguardo rassegnato mentre capiscono che non c'è niente da fare se non aspettare e poi, in effetti, suonare all'asfalto.

Mentre i due sono impegnati a sbrogliare una matassa di cavi, un rumore ormai familiare di ruote sull'asfalto si fa sempre più vicino ai due. Jason si volta, e si ritrova davanti un'altra delle sue innumerevoli fonti di apprensione: Simon Becker.

«Ma che state combinando? Che ci fate qui?» domanda stranito lui, un piede per terra e uno sullo skate; c'è una nota di fastidio nella sua voce, come al solito. Dev'essere qualcosa che gli viene spontaneo, anche quando non vuole sembrare uno stronzo di proposito ci riesce senza sforzo.

«Ciao anche a te,» accenna Jason. Fortuna che al concerto eravamo rimasti in buoni rapporti, pensa.

Ma Simon non sembra farsi intenerire dal sorriso tutt'altro che sincero di Jason, così aggiunge: «È una persecuzione o cosa?»

«Mi sembrava di aver capito che ti siamo piaciuti, l'altra volta,» s'intromette Valerie, sbirciando da sopra la spalla di Jason con un sorrisetto diabolico. A quelle parole il maggiore dei Becker arrossisce, spostando lo sguardo dalla sorella a Jason, probabilmente offeso dal fatto che le abbia rivelato la loro conversazione.

«Non ho mai detto una cosa del genere,» ribatte subito, sulla difensiva.

«Beh, comunque stiamo per suonare, quindi se ti va di ascoltarci...» inizia Jason, ma viene subito interrotto dall'altro, che, innervosito, sposta lo sguardo altrove.

«Non se ne parla, cazzo,» si limita a dire.

Jason sospira, ormai è così abituato a beccarsi rispostacce da Simon che quasi non se ne accorge più. L'altro sembra che voglia aggiungere qualcosa, ma poi decide di stare zitto. Si limita a lanciare una lunga occhiata a Jason, e finchè non sale sullo skate sembra sempre sul punto di dirgli qualcosa, come se stesse combattendo con sé stesso per restare in silenzio. Alla fine, però, ci riesce, e Jason lo vede allontanarsi sullo skate in direzione di altri ragazzi.

Il quadro è completo, poi, con l'arrivo di Adrienne, pochi minuti dopo, quando John è già tornato in posizione e Greta è poco più avanti, in disparte mentre fuma una sigaretta dietro l'altra.

Adrienne scivola veloce sull'asfalto con lo skate, i suoi movimenti sono naturali, calibrati da anni di pratica; evita accuratamente i ragazzini sui monopattini e qualche skater alle prime armi. Tiene tra le mani il camcorder che, una volta fermata, punta subito su di loro come anteprima di come sarà il video.

Adrienne scende dallo skate e saluta la band, senza risparmiarsi la solita finta lotta con John.

«Si sentirà bene?» è la prima cosa che le domanda Jason.

«Non credo proprio,» esclama l'altra senza esitare. John, dietro di loro, scoppia a ridere alla reazione silenziosa e infastidita del suo frontman.

«Ehi, devo solo testare il camcorder, il video non lo farò vedere a nessuno,» esclama Adrienne, sistemandosi la bandana verde calata sulla fronte.

Senza aggiungere altro avvia la registrazione. Jason imbraccia la chitarra, spostando di tanto in tanto gli occhi su Greta, poco più lontana, che attira gli sguardi dei passanti col suo look; si posiziona, poi, di fronte a John, strimpellando qualche nota.

«Diamoci una mossa,» esclama il maggiore, che poi si sporge verso di lui e gli ruba il cappellino, indossandolo con la visiera al contrario. «Te la ricordi la scaletta?»

Jason annuisce, e l'amico di tutta risposta alza un pollice all'insù, per poi battere i classici quattro colpi con le bacchette. Inizia a tenere il ritmo, per riscaldarsi.

Jason si volta di nuovo e si ritrova Valerie alla sua destra, che sposta impaziente il peso da un piede all'altro, quasi simulando una corsetta sul posto. Lei lo fissa in attesa del suo attacco, che arriva senza farsi attendere oltre.

La prima canzone parte come una scheggia. Subito Jason nota la maggiore coordinazione del gruppo, e soprattutto il fatto che l'ansia che aveva provato quel giorno a casa dei Becker, sembra quasi del tutto sparita. Inizia a sentirsi persino a suo agio, dietro alla chitarra, con il resto del gruppo quasi a fargli da scudo.

I ragazzini che si aggirano per il parco inizialmente non sembrano dare molta importanza ai tre, o al contrario sembrano infastiditi da quel concerto improvvisato in uno spazio che gli skater di Urbana pensano fermamente gli appartenga; questo finché non continuano con un paio di canzoni. Lentamente, alcuni ragazzi sembrano interessarsi a loro, alle melodie e ai testi del trio, che continua per la sua strada senza prestare attenzione al pubblico, né a suonare con precisione: tutto è focalizzato soltanto sul muro di suono creato dall'unione dei tre strumenti, tutta la loro attenzione è concentrata lì, sulle canzoni che hanno scritto insieme.

Jason l'ha già notato in diverse occasioni, ma quando suonano insieme è come se le canzoni che ha scritto creassero un universo a parte, uno in cui esistono solo loro tre, uno al quale tutto il resto del mondo non potrà mai accedervi del tutto. È paradossale, ma forse è per questo che le persone iniziano a interessarsi a loro: per cercare di accedere al loro mondo.

Così suonano e basta. Suonano con Adrienne quasi di fronte a loro che muove la testa a ritmo e un sorriso orgoglioso in faccia, gli occhi puntati su di loro tramite lo schermo, con Greta poco più distante che a sua volta segue con attenzione la scaletta, e sempre più ragazzi che si accalcano per commentare tra loro la scena o semplicemente ascoltare quelle canzoni così strane e singolari.

Dopo un po', Adrienne sente qualcuno dietro di lei. Si volta, continuando a mantenere il camcorder fermo davanti a sé; Simon Becker si è appena fermato al suo fianco. Prende lo skate dalle ruote mentre accenna un sorriso nella sua direzione. Erano amici, anni prima, quando gli skater di Urbana si contavano sulle dita di una mano, poi avevano finito col perdersi di vista per via delle rispettive comitive di amici che si erano divise.

«Adrienne,» la saluta Simon. «Non ti vedevo da queste parti da un po'.»

L'altra sorride.

«Negli ultimi tempi ho aiutato questi tre con la band,» sorride, allontanando un po' il camcorder da sé, tenendo le braccia ben tese. «Tu sei qui per vedere tua sorella?»

Simon rabbrividisce. Se fosse stato qualcun altro a porgergli quella domanda avrebbe già risposto male, ma con Adrienne è diverso. Prova una sorta di timore verso di lei, forse perché quando erano amici era considerata la ragazza più inavvicinabile di Urbana, e ai suoi occhi lo è ancora - ancora di più della ragazza di John. C'era un periodo in cui tutti i suoi amici erano innamorati di lei. Per quanto gli riguarda, invece, Simon ha sempre provato una sorta di gelosia inspiegabile nei suoi confronti, unita a un timore che non gli aveva mai permesso di alzare la voce con lei o trattarla nello stesso modo brusco e incurante che usava con le altre ragazze.

Alla fine, Simon decide semplicemente di sviare in discorso. Si stringe nelle spalle mentre i Neftali's Heart finiscono di suonare un'altra canzone; i frequentatori più assidui del parco si avvicinano di tanto in tanto per ascoltare qualche brano.

«Non proprio. Non mi sono mai davvero interessato a loro,» replica lui, decidendo di mantenersi sul vago. «Nemmeno dopo che hanno suonato a casa mia,» replica con una specie di risata strozzata.

«Dovresti, non sono affatto male,» sorride lei. «Non ho mai sentito qualcosa del genere, e dire che di musica ne ascolto un sacco.»

L'altro annuisce; nonostante non sia un grande esperto di musica, anche lui capisce che un gruppo del genere non si vede tutti i giorni. Dev'essere per le personalità totalmente diverse dei tre, che insieme hanno formato una combinazione del tutto nuova anche dal punto di vista musicale.

Simon accenna un sorriso senza sapere come rispondere, e tra i due cala il silenzio; ora l'attenzione di entrambi è rivolta di nuovo al trio che ha appena iniziato una nuova canzone. La situazione resta tranquilla per i seguenti cinque minuti, quando all'improvviso qualcosa nell'umore generale sembra cambiare.

Un ragazzino sfreccia sullo skate dritto incontro alla band, fermandosi a pochi metri. Sembra decisamente infastidito, infatti dopo un po' che è rimasto a osservare la scena con sguardo ostile, le braccia incrociate e un piede sullo skate e uno a terra, inizia a inveire contro la band.

Adrienne e Simon spostano lo sguardo verso di lui quasi allo stesso tempo, senza però dargli troppa corda.

«Ma che problema ha?» sbuffa Adrienne. «Spero che Jason non si faccia influenzare da quello lì.»

Simon alza le spalle, chiedendosi se anche lui, a occhi esterni, sembri più o meno così. È sicuro di non voler sapere la risposta.

«Siete dei punk o no?» domanda poi, ironico, senza riuscire a trattenersi. «Questo è il minimo, dovrebbero riuscire a sopportare ben altro.»

Adrienne accenna una risata. In effetti Simon ha ragione. Anzi, sono stati fortunati alla festa a casa sua, dato che il massimo che hanno ricevuto è stato qualche commento soffocato da parte dei suoi amici troppo ubriachi. Prima di andare a casa Becker, John le aveva assicurato che si era preparato per il peggio, era pronto a schivare sputi, lattine e persino bottiglie di vetro, come le band dell'adolescenza gli avevano insegnato a fare. E invece era andato tutto per il meglio, almeno da quel punto di vista. È una fortuna che la fase da macho del punk rock, attraversata negli anni Ottanta e incarnata da hardcore e straight edge, sia passata da un po'.

«Non hai tutti i torti, però...» Adrienne non riesce a finire la frase che un rumore brusco la fa sussultare, e l'attimo dopo la musica si ferma di botto. Lei e Simon hanno appena il tempo di voltarsi verso la band che vedono John saltare dalla batteria, lanciando le bacchette in aria, per poi gettarsi contro il tizio che continua a insultarlo e lanciargli minacce. Ai lati della batteria, Jason e Valerie guardano la situazione a bocca aperta. L'attimo prima suonano tranquillamente, e un secondo dopo ecco che il loro batterista decide di vedersela con un tizio che li sta insultando davanti a tutti.

«Oh cazzo,» Adrienne sospira, mentre abbassa il camcorder e interrompe la registrazione. Non c'è sorpresa nella sua voce, solo una stanca rassegnazione. «Ecco il John che conosco.»

Simon rabbrividisce e in quel momento incontra lo sguardo di Jason, che sembra essere stato colpito da un raggio paralizzante o qualcosa del genere. Simon ricambia lo sguardo preoccupato, ma ciò che non sa è quello che sta passando per la testa del chitarrista.

Jason, infatti, sta ripensando a ciò che Simon stesso gli aveva raccontato su John, riguardo al periodo prima di finire in prigione.

«Qualcuno deve fermarli,» strilla Valerie, correndo da lui e strattonandolo per la maglietta.

«Qualcuno,» ripete con voce strozzata Jason, spostando lo sguardo tra la ragazza che lo fissa con i suoi occhioni spalancati e John, che cerca di picchiare il tipo che li aveva insultati.

«Ho capito, vado io,» conclude Val, ma Jason si affretta a fermarla.

Se non ci penso io, qui è finita, pensa, mentre si sfila la tracolla della chitarra e allo stesso tempo vede passarsi davanti tutta la vita. Non è mai finito coinvolto in una rissa, è riuscito a sopravvivere alle scuole del Midwest senza mai prenderle, e adesso è costretto a fare una brutta fine solo per aiutare quel coglione del suo batterista.

Mentre altra gente si avvicina a John e il tizio che si picchiano, occasionalmente unendosi alla rissa, Jason si fa coraggio e si getta nella mischia, deciso a separare il prima possibile l'amico dal ragazzino, che qualcun altro sta già cercando di afferrare e trattenere. Non appena Jason afferra una spalla di John, però, lui si volta di scatto e in un gesto istintivo, senza nemmeno guardare il bersaglio, gli molla un pugno dritto in faccia, spedendolo a terra in un secondo.

Seguono attimi di silenzio assoluto, in contrasto con il casino che regnava fino a un momento prima. Sempre più gente si avvicina per capire cosa stia succedendo, mentre John ora è chinato su Jason, andato K.O. in un'unica mossa.

«È ancora vivo?» domanda qualcuno dalla folla di gente accorsa sul posto.

Adrienne corre da loro e aiuta Jason a rimettersi in piedi, che si lascia aiutare senza opporsi.

«Sto bene,» balbetta lui, con le lacrime agli occhi per il dolore e una striscia di sangue che gli gocciola dal naso. John, con aria affranta, lo aiuta ad asciugarsi il sangue, mentre si immagina già un bel livido sullo zigomo dell'amico.

«Non ti avevo visto, Pratt,» borbotta, con una voce piuttosto bassa per il suo standard. «La prossima volta chiamami prima di venirmi addosso.»

«Ci sarà una prossima volta?» domanda terrorizzato Jason, strappando un sorriso al batterista, che poi gli tira una pacca sulla spalla e se lo avvicina.

«Comunque ce l'hai fatta a fermarci,» esclama, guardandosi intorno. «Quello lì si è volatilizzato.»

Mentre tornano verso gli strumenti abbandonati per terra, si accorgono subito di essere seguiti da ben più spettatori di quanti non ce ne fossero prima.

«Come vi chiamate?» domanda uno di loro all'improvviso; è un ragazzino con un'orribile cresta colorata e dei jeans così lunghi e larghi che gli coprono del tutto le scarpe. «Siete un nuovo gruppo, vero? Non vi ho mai sentito suonare.»

«Beh? Non mi riconosci?» domanda John, indicandosi con una mano, mentre tiene ancora l'altro braccio stretto attorno alle spalle di Jason, che ogni tanto tira su col naso.

Il ragazzino scuote la testa, lasciando John infastidito.

«Certo, che mi aspetto da uno che è appena uscito dalle elementari.»

«Siamo i Neftali's Heart,» esclama Jason, sovrastando l'osservazione da serpe di John. «Abbiamo iniziato a suonare in giro da poco.»

Il ragazzino sorride.

«Se un concerto finisce così, la musica dev'essere una forza.»

L'incontro quasi commuovente con il loro primo fan viene interrotto da Valerie, che corre da loro e attira la loro attenzione agitando le mani davanti a sé.

«Ragazzi,» esclama. «Qualcuno ha chiamato la polizia...»

Il tempo di scambiarsi un'occhiata preoccupata e i tre corrono di nuovo al loro posto, dove Adrienne sta già staccando tutti i cavi per aiutare la band a caricare in fretta gli strumenti nell'auto di John.

«Datevi una mossa,» li esorta lei.

John si allontana per cercare Greta, lasciando gli altri a sgobbare e tornando da loro pochi minuti dopo; quando manca solo un amplificatore da portare nel furgoncino, Jason sente qualcuno toccargli la spalla. Si volta e si ritrova di nuovo faccia a faccia con Simon, che sembra volergli dire qualcosa.

«Ci hai ascoltato, alla fine,» osserva Jason, senza troppi giri di parole.

«Senti... forse prima sono stato un po' brusco,» ammette l'altro, senza guardarlo negli occhi.

«Dici davvero?» esclama Jason, sinceramente stupito. «Non importa, comunque.»

Dopo qualche secondo di silenzio, poi, aggiunge: «Guarda che non ho parlato a Val di quando siamo usciti a fumare. Le ho solo detto che ti siamo piaciuti. E poi non è successo niente di strano. Abbiamo solo fumato...» poi, sentendo già il fiato della polizia sul collo, ripete a bassa voce: «Abbiamo solo fumato una canna, tutto qui. Non dirmi che non sa che fumi perché è una stronzata».

«Non credo sia necessario dirglielo,» replica stranito Simon. Poi aggiunge: «Comunque non era questo il punto».

Jason alza le spalle e ritrova il sorriso.

«Fa niente. Allora, anche oggi ti abbiamo fatto un po' meno schifo?»

Simon ricambia il sorriso, a mezza bocca, incerto. Porta una mano a stringere il bordo della maglietta già mezzo scucito, in quello che sembra un gesto abitudinario.

«Sono impressionato,» dice. Indicando con un cenno del capo il suo zigomo che già sta iniziano a farsi viola aggiunge: «Non avevo mai visto qualcuno ricevere un colpo così male».

Jason sente il volto andargli in fiamme. Simon trattiene una risata.

«Anche le canzoni non erano male, okay.»

«Beh... grazie.»

«Le prove le fate sempre da te?» domanda Simon, che forse per la prima volta in vita sua ce la sta mettendo tutta per portare avanti una conversazione.

Un sorriso illumina il volto di Jason, mentre cerca di ignorare John che, già in auto, gli urla di sbrigarsi.

«Sempre lì,» risponde. «Puoi passare quando ti va. Ora devo andare, qualche stronzo ha chiamato la polizia e...»

«Sì, lo so,» sorride Simon. «Sono stato io.»

Per l'ennesima volta Jason si ritrova a fissarlo a bocca aperta mentre sale sullo skate e lo saluta con un cenno del capo.

«Ci vediamo,» esclama, e con questo Simon Becker si allontana, lasciando Jason più confuso che mai. Riesce a riscuotersi solo una manciata di secondi dopo, e finalmente entra in auto e si chiude la portiera alle spalle con un suono secco, e pochi secondi dopo sono già in strada.

*

John fa una brusca frenata davanti al palazzo Mayfield e per poco Jason non finisce spiaccicato contro il muro. Giusto perché non ha già sofferto abbastanza al concerto.

«Ma che cazzo...» accenna lui, ma prima che possa capire cosa stia effettivamente succedendo John è già schizzato fuori dall'auto, ancora accesa e con la portiera spalancata.

Poco più avanti, mentre cerca un nome sul citofono, Jason vede un postino con in mano qualcosa di impacchettato con una carta economica, e che dalla forma ha tutta l'aria di essere un disco. Jason si massaggia il naso mentre vede John avvicinarsi al postino, e dopo una breve conversazione vede il batterista tornare da lui trionfante, mentre già scarta il pacco per strada. Si ferma per un attimo, accigliato, e poi torna euforico come prima. Non si scherza col fiuto di John Chapman, pensa.

Vinto a sua volta dalla curiosità, Jason esce dall'auto e gli va incontro; dovrebbe comunque tornare a piedi a casa da lì, quindi tanto vale capire da cosa derivi l'entusiasmo dell'amico.

«Stavolta avevi davvero ordinato un disco, eh?» accenna, ironico, alludendo all'appuntamento che gli aveva combinato qualche giorno prima, ma John scuote la testa.

«In realtà no... questo è un regalo.»

Senza dire altro John finisce di scartare il disco mentre Jason si sporge per sbirciare. Il nome del gruppo svetta in maiuscolo, in giallo sul nero della copertina: Twisted Mistress.

«È già uscito?» domanda Jason a bocca aperta.

«Già. A quanto pare, ora possono persino permettersi di regalare i loro dischi agli amici.»

John si rigira tra le mani il disco dei Mistress, leggendo il titolo. Breeding Ground for Destruction. Niente male, anche se sembra più un titolo da album metal.

La copertina è un disegno in bianco e nero di quello che sembra un concerto, con bottiglie che volano in aria e strumenti spezzati addosso a malcapitati. Sembra disegnato da un fumettista o qualcosa del genere. Il retro, invece, presenta in alto la tracklist a lettere cubitali, e sotto i crediti con i nomi dei ragazzi e dei produttori.

In mezzo alle scritte c'è una foto della band in bianco e nero. Delle quattro persone Jason riconosce Chris, quello che gli ha regalato la chitarra, e la ragazza con una spessa frangia nera davanti agli occhi, la batterista che aveva suonato con una sola bacchetta al basement show.

In piedi e con le mani nelle tasche delle loro giacche di pelle, sembrano la brutta copia dei Ramones. Eccetto uno di loro, che a parte per i calzini e le scarpe è completamente nudo, e guarda la fotocamera sorridendo. Sembra che nessuno si sia preso la briga di censurare la foto.

«Ma che cazzo,» esclama Jason, per la seconda volta nel giro di dieci minuti. Dopo un attimo di silenzio, aggiunge: «Beh, non me lo aspettavo».

«Casper,» esclama John, ridendo. «Che coglione. Fa sempre cose del genere. È completamente andato.»

«È il cantante?»

John annuisce.

«Forse non lo riconosci perché l'altra volta, fortunatamente, era vestito. Ma fa spesso queste stronzate. I loro fan se la tirano, dicono che lo fa per scioccare le persone, ribellarsi contro le convenzioni, ma in realtà lui lo fa solo per due motivi: divertirsi, e prendere per il culo quelli che pensano che suonare col cazzo di fuori sia un atto rivoluzionario. Voglio dire, GG Allin esiste, non si può essere più estremi di così.»

«Ma come hanno fatto a farsi accettare questa foto dall'etichetta?» domanda Jason, interessato più al lato pratico che alla filosofia del cantante.

John alza le spalle.

«Potremmo chiederglielo.»

Jason assottiglia lo sguardo, incuriosito, anche se metà faccia continua a pulsargli in modo piuttosto doloroso. Vorrebbe solo tornare a casa per processare tutto ciò che è successo, ma l'ultima affermazione di John sembra presagire qualcosa di grosso, quindi rimane in ascolto.

«Insieme al disco c'era anche questo.»

Senza aggiungere altro Jason prende il foglietto e lo apre, se lo spiega addosso pressandolo contro la maglietta, e finalmente legge il contenuto.

«Che cosa?» domanda, spalancando gli occhi. Dopo un iniziale momento di stupore lui scuote la testa.

«È impossibile. Come fai a sapere che sia vero? Quel pacco mi sembrava un po' strano.»

«Se conoscessi Casper, sapresti che è del tutto nel suo stile fare così,» esclama John. «E poi l'indirizzo era quello di casa sua.»

Seguono momenti di silenzio assoluto, in cui Jason tiene la bocca spalancata dallo stupore e alterna lo sguardo dal foglietto a John, finché quest'ultimo non gli mette un dito in bocca, facendolo quasi affogare.

«Che cazzo,» protesta Jason tra i colpi di tosse. Questo gesto serve però a sbloccare la situazione, e il tono infastidito di Jason cambia subito in uno quasi euforico. «Oh... oh cazzo!» esclama, iniziando a saltellare per la strada, che adesso gli sembra più o meno il luogo più bello del mondo.

«Non ci credo,» esclama. «I Twisted Mistress ci hanno invitato ad aprire per loro!»

John annuisce, cercando di mantenere un atteggiamento calmo da figo, fallendo dopo circa dieci secondi.

«E il concerto sarà al Beryl,» aggiunge Jason, portandosi le mani tra i capelli. «Dobbiamo prepararci. Dobbiamo provare tutti i giorni. Dobbiamo...»

«Sì, sì, ragazzino,» ride John. «Ma prima di tutto devi metterti un po' di ghiaccio in faccia.»





_______

• Sony CCD v101: camcorder handheld uscito nel 1991.
• Daniel Johnston: ci ha già pensato John a presentarlo, ma è uno degli artisti lo-fi più importanti di sempre, praticamente l'ispirazione di tutti i musicisti indie contemporanei. Considerato anche il maggior esponente della cosiddetta outsider music. Johnston è scomparso da pochi anni dopo una vita passata a incidere musica e a combattere con diverse problematiche di salute mentale; è uno degli artisti che stimo di più e anche una delle ispirazioni principali per questa storia. Vi consiglio di ascoltare Songs of Pain, Hi, How Are You?
• GG Allin: shock rocker famoso per le sue performance estreme sul palco.

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