Urbana

By uncannish

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Sono degli outsider da manuale, i Neftali's Heart. Nati durante le prime settimane estive del '91 in un'isola... More

𝑻𝑯𝑬 𝑹𝑰𝑺𝑬 𝑨𝑵𝑫 𝑭𝑨𝑳𝑳 𝑶𝑭...
Prologo
Un nuovo mezzo artistico
Il popolo del sottosuolo
La teoria degli alieni
Scena madre
Neftali's Heart
Chitarra, basso e batteria
Il giorno libero di Simon Becker
Outsider tra gli outsider
Le ragazze
Terreno fertile per la distruzione
Appuntamento fisso
Il fantasma amichevole
Incroci
Un posto sicuro
Ricominciare

Lester + John

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By uncannish

John fissa il soffitto ricoperto di muffa e macchie di umidità; in fondo, accanto alla porta del bagno, da qualche giorno gocciola dell'acqua, segnalando una probabile perdita nelle tubature al piano di sopra. Ha un'espressione corrucciata, pensierosa, e sembra quasi non accorgersi di Greta che si alza dal letto, indossa la sua maglietta e mette su un disco. La musica assordante dei GBH riempie subito la stanza, Greta abbassa un po' il volume e torna a stendersi accanto a lui.

Il soffitto continua a scricchiolare in modo inquietante e John non sembra dare segni di vita, così la ragazza gli sventola una mano davanti alla faccia.

«Forse dovresti controllare se quello di sopra è morto lasciando l'acqua della vasca aperta.»

John trasalisce alle parole della ragazza, che gli si fa più vicina. Gli porta una mano sul petto, tracciando con un dito il tatuaggio che ha più o meno all'altezza del cuore, un serpente attorcigliato su sé stesso il cui inchiostro è un po' sbiadito agli angoli.

«Qualcosa mi dice che non è questo che stavi pensando,» continua.

John scuote la testa. Ha un'espressione quasi turbata in volto, tanto che per un attimo Greta si chiede se davvero non sia qualcosa di grave.

Allora lui incrocia le mani sulla pancia, serio, e con aria solenne dice: «Credo che Jason si sia innamorato di te».

A queste parole Greta inarca appena le sopracciglia, resta per qualche secondo a fissarlo, senza alcuna apparente emozione se non per una calma rassegnazione.

«Lo sapevo che era una delle tue solite cazzate,» conclude lei.

John stende le labbra in un'espressione scettica, voltandosi poi verso di lei. Porta una mano sotto alla maglietta e le sfiora la schiena nuda mentre Greta si china a raccogliere la biancheria e la posa sul comodino, per poi prendere lo specchietto e passarsi una mano tra i capelli rossi.

«Guarda che sono serio,» mugugna lui. «Non fa che chiedermi di te, e il peggio è che crede di essere discreto. Vuole fregarmi, cazzo.»

John prende la mano di Greta, con estrema delicatezza, e inizia ad accarezzarle il dorso con il pollice, sovrappensiero.

«Io ho solo avvertito una certa paura nei miei confronti,» osserva Greta, sempre più disinteressata dalla questione.

Lui accenna un sorriso divertito, passando poi a sfiorarle il polso sottile. Avvicina la sua mano alle labbra e vi lascia un bacio.

«Paura?» John inarca le sopracciglia. In effetti non è così strano che uno come Pratt, che le ragazze non le vede nemmeno col binocolo, possa avere paura di una come Greta. Insomma, lui stesso a volte ne ha paura.

«Comunque è normale avere l'ansia davanti a quella che ti piace.»

«Io non ho percepito cose del genere.»

«Non lo so, Gret,» dice John. Quand'erano piccoli la chiamava così, e ogni tanto gli viene ancora da chiamarla in quel modo. «Non sono convinto.»

«Beh, al Beryl sembrava avesse davanti Frankenstein, cazzo, altro che quella che gli piace,» continua a dire lei. Gira la mano, portandola sotto al suo meno, per poi attirare John verso di sé. «Così ho fatto davvero la parte della stronza.»

«Cioè?» domanda John, divertito, mentre le lascia dei baci lungo la mandibola.

«Gli ho detto che non mi piace che suoni, che dovresti pensare ad altro e trovarti un lavoro.»

John rialza lo sguardo verso di lei. I due si guardano per qualche secondo in totale silenzio, e poi scoppiano a ridere insieme.

«Un lavoro?» riesce a dire lui. «Assurdo. E lui ti ha creduto?»

«Credo di sì.»

John non riesce a smettere di ridere.

«Povero Pratt, l'avrai spaventato a morte,» dice. «Avrei voluto essere anche io lì a vedere la scena.»

Greta si rialza, ancora con un sorrisetto sulle labbra, e inizia a rivestirsi.

«Comunque non sono ancora convinto, te l'ho detto,» esclama John, rotolandosi sul letto per avvicinarsi a lei. Poi, con un sorrisetto ironico aggiunge: «Ho la sensazione che mi mollerai per uno più giovane, come Jason».

«C'è un motivo se ritorniamo sempre qui.»

«Già,» borbotta John. Greta si sporge appena verso di lui, divertita, e continua:

«Se proprio ci tiene potrebbe aiutarci per quel filmato che volevamo girare, no?» dice, concludendo con un occhiolino mentre John subito si volta a guardarla con gli occhi spalancati.

«Non l'avevo vista in questo modo,» conviene John.

Greta sospira e si volta a recuperare i suoi trucchi, libera di sistemare le proprie cose ora che John sembra aver riacquistato il buonumore.

«Non mi hai ancora detto il nome della nuova band, comunque,» dice lei, passandosi poi il rossetto nero sulle labbra.

John mugugna qualcosa a bassa voce, e lei è costretta a voltarsi per capire il nome.

«Neftali's Heart,» fa John, aggiungendo subito dopo: «Lo ha scelto Jason».

Greta assottiglia appena gli occhi.

«E cosa significa?»

John sospira. Aveva sperato fino all'ultimo di non essere costretto a spiegarlo.

«Neftali è il nome di un alieno inventato da Valerie.»

Greta annuisce: «La bassista».

«Beh, insomma, la ragazzina è più strana del previsto ed è impegnata nel cercare di comunicare con gli alieni. Ha creato un personaggio da usare nei suoi esperimenti, l'ha chiamato Neftali, e quando ce l'ha disegnato per mostrarcelo aveva un cuore rosso enorme proprio in mezzo al corpo... Jason si è fissato con quel disegno, ed ecco il nome.»

Greta accenna un sorriso: «Sembra una storia che sentiresti in un documentario».

«E vuoi sapere qual è la parte peggiore?» si lamenta John, mettendosi seduto. «Mi sono già affezionato alla band. Ho un cuore tenero, lo sai,» esclama con tono melodrammatico.

«Sì, come con tutte le altre.»

«Beh, tutte le mie band sono mie figlie,» proclama John.

L'altra alza le spalle, poi rabbrividisce: devono cambiare la lattina per raccogliere l'acqua della perdita al piano da sopra, che sta iniziando a straripare, e non appena lo nota John si alza in fretta e furia e corre a svuotarla nel lavandino del bagno.

Nel frattempo Greta si accende una sigaretta e si guarda intorno, alla ricerca dei jeans.

«E quando potremo sentirvi dal vivo?» domanda, chinandosi per cercare sotto al letto, «o credi che tra una settimana vi sarete già sciolti?»

«Quello è successo solo una volta,» replica lui, correndo avanti e indietro per il monolocale. Posa di nuovo la lattina, ora vuota, a terra, accenna un sorriso e si gratta la pancia.

«Non vedo l'ora di rivederti dietro alla batteria. Magari proprio al Beryl, ma con la tua vera band.»

John ride, e Greta si lascia avvolgere dal corpo più imponente del ragazzo. Lui appoggia le labbra sulla sua spalla, lasciandole poi dei baci sul collo e sul mento.

«Una cosa alla volta,» esclama, poi inizia a canticchiare, ondeggiando: «Oggi il tuo amore, domani il mondo...»

«Va bene, va bene, ma ora vai a metterti qualcosa addosso.»

Greta sospira e in qualche modo riesce a scollarselo di dosso; mentre John senza dire altro va a rivestirsi, Greta prende la borsetta, abbandonata per terra, e inizia a raccogliere i trucchi e lo specchietto. Il disco finisce, e lei si avvicina per girarlo. Solo in quel momento, dopo aver posato la puntina sull'altro lato del vinile, il suo sguardo viene catturato da un foglietto attaccato al muro al di sopra del giradischi con il nastro adesivo.

Scritto in rosso c'è quello che sembra un numero di telefono, e più sotto un nome: Lester.

Oh, no.

«L'hanno dimesso?» chiede subito, prendendo il foglietto dal muro.

«Cosa?» John si volta verso di lei e non appena vede il foglio cambia espressione. «Oh,» dice. Poi prende il foglietto dalle mani di Greta e se lo mette in tasca. Scuote la testa.

«No, l'hanno solo trasferito. È il numero della nuova clinica, me l'ha passato Adie l'altro giorno.»

Greta annuisce, con aria sempre più inquieta.

«Sai già come la penso, John,» aggiunge dopo un po', mentre lo vede aprire l'armadio con aria svogliata per poi indossare una maglietta pescata a caso. «Dovresti smetterla di contattarlo,» dice. «È per il bene di entrambi.»

«Se gli concedono di fare le telefonate vuol dire che sta migliorando.»

Greta incrocia le braccia e sospira. Dopo tutti gli anni passati insieme non sopporta più la costante fase di negazione in cui si trova John nei confronti del suo amico. Lester Dixon è un marcione, lo sanno tutti da quelle parti. Nella scena, quando ancora la frequentava assiduamente, era molto conosciuto. E soprattutto era, e ancora è, irrecuperabile, e non basterebbe una vita intera di ricoveri in clinica per non farlo tornare a spararsi qualsiasi cosa nelle vene non appena gli concedono un attimo di libertà.

Lester, il fratello maggiore di Adrienne Dixon, non può più essere salvato.

«Quante volte è già migliorato, poi guarito, uscito e infine tornato punto e a capo?»

«Lo so.»

«E quante volte abbiamo già fatto questo discorso?»

«Molte,» aggiunge John, con un sorrisetto ironico. «Stai diventando brava con le ramanzine, lo devo ammettere.»

Greta non riesce a trattenere un sorriso e gli si avvicina; John tende le braccia verso di lei, le circonda le spalle e appoggia la fronte sulla sua spalla.

«È importante per me, Gret, che ci posso fare?» esclama John.

Greta gli passa una mano tra i capelli con delicatezza. Gli sfiora il viso, il collo, poi il petto e infine porta una mano nella tasca dei jeans. Prende il foglio col numero di Lester e lo accartoccia; John la osserva e, senza dire una parola, la lascia fare.

Chiude gli occhi, e in un attimo gli sembra di rivivere tutto.

***

L'anno in questione è il 1985. John Chapman ha sedici anni e ha appena chiuso con il suo primo gruppo.

«I Black Flag sono la peggiore band di sempre,» legge incredulo John; tiene tra le mani il primo numero di Decomposer, la fanzine del suo ex frontman. Si macchia tutte le dita di inchiostro mentre sfoglia le pagine e legge le opinioni parecchio discutibili dell'amico. «Per caso stai cercando di farti esiliare a vita da qui?»

L'altro – un ragazzetto pelle e ossa dai capelli tinti di un improbabile biondo giallastro e i denti storti, scoppia a ridere.

«Ho ingigantito un po' quelle che sono le mie idee. Nessuno ti nota se non dici qualcosa di scioccante.»

John alza le spalle, pulendosi la mano ormai nera sui jeans. Dex aveva stampato una ventina di giornali da uno di quei macchinari per fare le copie della biblioteca pubblica. Basta metterci i fogli dentro e girare la manovella, ma l'inchiostro è di quelli a buon mercato e le macchine pure, quindi mentre leggi metà pagina ti si trasferisce sulle mani.

«Sarà,» esclama lui, scettico. Di tanto in tanto si strofina l'occhio nero che gli hanno rifilato quelli più grandi mentre faceva skate un paio di giorni prima. Era scivolato davanti a tutti, quelli gli avevano riso dietro e John gli aveva fatto il dito medio. Si aspettava di cavarsela con più di un semplice occhio nero, meglio così.

John si sistema sulla poltroncina smollata e guarda dalla finestra, impaziente. Non c'è nessuno nemmeno per strada.

Lui e Dex si trovano nell'appartamento di Lester Dixon, al quarto piano di un palazzo in periferia. Les è una delle figure più rispettate nella scena di Urbana, ha vent'anni e ha già aiutato parecchi gruppi del posto con le registrazioni dei loro singoli; lavora da poco a uno studio di registrazione appena fuori Urbana, e ogni tanto riesce a far intrufolare i suoi amici per qualche registrazione extra durante la notte. Il suo appartamento è una sorta di punkhouse, solo che non è abbandonata. Lester ha un paio di coinquilini che passano quasi tutto l'anno fuori, a Chicago, e quindi ne approfitta per ospitare i suoi amici e tutti i ragazzi della scena che riescono a entrare. Il palazzo è semiabbandonato, tanto che nessuno si è mai lamentato per i concerti che tengono regolarmente là dentro.

Lester suona la batteria da dio, ed è per quello che John si trova lì. Cioè, il motivo principale è che se n'è andato di casa per aver litigato con i suoi, una cosa che succede almeno un paio di volte al mese, ma è lì soprattutto per farsi dare qualche lezione di batteria dal più grande. Dopo i JIS ha capito che il batterista, nel punk, è l'unico componente del gruppo che non può proprio permettersi di fare schifo, perciò ha deciso di darsi da fare.

«Ma quando torna Les?» esclama John, nervoso. «Mi ha promesso di fare almeno un'ora di lezione, oggi.»

Dex accenna una risatina. Si aggira nella stanza, desolata e con pochissimo arredamento. Quella è la camera da letto di chiunque voglia restare per la notte, quindi è di John per quella sera, ma è anche la camera dove Lester tiene i suoi strumenti: oltre a parte pile di fanzine, una poltroncina e un materasso macchiato e gettato a terra, in mezzo alla stanza spicca una batteria in pessime condizioni, e delle chitarre appoggiate sgraziatamente alla parete.

«Sì, come no,» esclama Dex, buttandosi e rotolandosi senza cura sul materasso sudicio. «Se arriva tutto fatto come al solito chissà che bella lezione ti darà.»

John sbuffa, innervosito. Dex ha ragione. Lester è il batterista e il tecnico del suono migliore che John conosca, in realtà è capace di suonare di tutto, e potrebbe fare grandi cose se solo non avesse quel problemino della droga. E John è proprio l'ultimo che potrebbe criticarlo, dal momento che quando può è lo stesso Lester a dargli erba e fumo da vedere in giro, e solitamente una buona parte finisce sempre col venderla a Dex per poi fumare insieme. Ma Lester è davvero messo male, ogni cosa su cui riesce a mettere le mani finisce per spararsela nelle vene, speed in particolare. Quindi non si sa mai come tornerà a casa, o se ci tornerà e basta.

I due restano ancora per un po' da soli a casa, e ne approfittano per rovistare nel frigo, trovando solo dei succhi di frutta e qualche patata annerita.

«Un vero salutista,» commenta John, prendendo un succo di frutta alla mela da dividere con Dex, che sghignazza alle sue continue battutine. È solo un'ora dopo che Lester rientra in casa, con due ragazze che sembrano zombie al seguito.

«Johnny!» esclama il più grande, facendogli segno di avvicinarsi, per poi abbracciarlo affettuosamente. Si avvicina anche a Dex e gli scompiglia i capelli, per poi gettare una busta di quelli che sembrano panini a un angolo della stanza.

Les ha sempre un'espressione beata stampata in faccia, per qualche motivo. Cioè, il motivo è che è perennemente fatto, ma la calma e la tranquillità sono sue caratteristiche innate, che lo definiscono anche quelle poche volte in cui è pulito.

«Ho portato la cena,» esclama, togliendosi la giacca che finisce gettata sul materasso. Lester si sofferma poi ad osservare John.

«Ma che hai addosso?» domanda, incuriosito.

Dex accenna una risatina di scherno. John si era prefissato di cambiarsi prima che Lester tornasse, per evitare di sfigurare, ma se l'era scordato. Così il ragazzino abbassa lo sguardo, osserva sé stesso e si rende conto di avere addosso, oltre ai soliti jeans, una canotta nera da ragazza, decisamente troppo corta e che gli fa spuntare la pancia da fuori, e un cardigan bordeaux con le maniche ampie, di un tessuto scivoloso e quasi luccicante.

«I vestiti di Greta,» ammette, preso alla sprovvista. Con Lester non riesce a inventarsi scuse su due piedi come fa con i suoi genitori e tutti gli altri. «A volte ce li scambiamo,» dice.

«Figo,» si limita a dire il più grande, ricominciando a fare le sue cose in giro per la casa.

John si volta verso Dex, che ancora sghignazza, e gli tira la sua fanzine addosso, poi salta dalla poltrona al materasso e i due iniziano ad azzuffarsi.

La storia di scambiarsi i vestiti è stata un'idea di Greta, ovviamente. Da un po' ha iniziato a sperimentare col suo stile, si è tagliata i capelli cortissimi e li ha tinti di blu, poi ha iniziato a vestirsi in modi sempre più strani, chiedendo a John tra le altre cose di scambiarsi i vestiti qualche volta. A lui non fa nessun effetto, anzi si diverte a dare fastidio agli altri, tranne che a Lester. Lo ammira troppo per rischiare una cosa del genere, ma ormai il danno è fatto.

Dex segue con lo sguardo le due ragazze, che guidate da Lester entrano nella sua camera da letto, poi lui li raggiunge di nuovo. Si toglie il cappellino da baseball con la visiera al contrario, liberando una matassa di dread corti che gli sfiorano appena gli zigomi.

«Ehi, Les,» dice John, cercando di attirare la sua attenzione mentre il maggiore, con tutta la calma del mondo, si toglie le scarpe e pesca un panino dalla busta. «Les?»

Dex s'intrufola nella camera dove si trovano le ragazze, mentre John continua a seguire Lester che si trascina per la stanza. Decide di sedersi sul materasso per terra, così si lascia cadere proprio in mezzo. Addenta il panino mentre recupera la bottiglia di succo che John e Dex si erano bevuti prima e la scuote un po'.

«Vi siete fregati il mio succo?» esclama con una risatina.

John, esausto di attirare la sua attenzione, decide di sederglisi davanti, sul pavimento.

«Les,» ripete per quella che gli sembra la decima volta, con tono deciso. «Oggi facciamo pratica con la batteria, vero?»

Lester si sporge a scompigliargli i capelli.

«Ma certo.»

Un enorme sorriso spunta sulla faccia di John. Lester non dice nient'altro, mangia in silenzio e per un po' si sente solo lui che mastica, e delle risatine che provengono dalla sua camera da letto.

John sposta lo sguardo verso la porta chiusa. Spera che quelle due non stiano dando corda a Dex, altrimenti dovrà sorbirsi le sue storielle a riguardo per i prossimi mesi.

«Ma chi sono quelle due?»

«Ehi,» lo punzecchia Les. «Guarda che lo dico a Greta.»

John accenna una risatina e sente le guance calde. Spera di non essere arrossito come un coglione davanti a Lester Dixon.

«Ti stai davvero impegnando, con la batteria, eh?» esclama Les all'improvviso. «Non capisco come mai non ti siano ancora spuntati i muscoli, per quanto stai sgobbando con quelle bacchette.»

Lester si alza di scatto, pulendosi le briciole dalla canotta e dai pantaloni cargo verdi che ha addosso. Sono così lunghi che gli finiscono sotto i piedi, mentre si avvicina al giradischi e seleziona un vinile dalla pila sul pavimento.

«Le ragazze possono aspettare,» dice. «Mi pare che Dex le stia intrattenendo per bene.»

«Se perde la verginità con quelle due è la fine,» esclama John, preoccupato, mentre gli si avvicina. «Se ne vanterà per tutta la vita.»

Lester ridacchia, poi gli mostra il disco che ha selezionato. È Pleasant Dreams dei Ramones.

«Senti, ora metto Don't Go,» dice. «Hai fatto pratica anche da solo, vero?»

Sul volto di John si dipinge una smorfia.

«Sì... un po',» replica. «Ma è così lenta. È noiosa da suonare.»

«Se non suoni le canzoni lente non imparerai mai davvero,» replica Les, un mantra che ripete ogni volta durante le loro lezioni, e senza indugiare mette il disco sul piatto, selezionando la canzone con la puntina.

«In marcia!» esclama, spingendolo verso la batteria.

John ha sempre fatto pratica così, da quando i JIS si sono sciolti. Mette una canzone sparata al massimo del volume e ci suona sopra, e anche a Les sembra un buon metodo. A dirla tutta ogni metodo che non lo costringe a impegnarsi troppo è un buon metodo.

John raccoglie le bacchette, si siede in posizione e non appena la canzone si diffonde per l'appartamento inizia a suonare.

È vero, è troppo lenta per i suoi gusti. Non gli piacciono gli ultimi album dei Ramones, a meno che non si tratti di ascoltarli in concerto, dato che dal vivo li suonano molto più velocemente. Una volta era andato a vederli a Chicago, insieme a Dex e Fanboy. Avevano appena quattordici anni, e dopo tre ore di autostop aveva chiamato i suoi dicendo che si sarebbe fermato a dormire da Dex. I tre erano rimasti estasiati dal vederli suonare dal vivo; quando avevano iniziato con la band, poi, Dex aveva provato per un po' a imitare il modo di suonare di Johnny Ramone in live, facendo solo pennate in basso con il plettro a velocità estreme, e per poco non si slogava il polso.

John chiude gli occhi, mentre continua a suonare. Nei suoi ricordi passato e presente si fondono; si rivede di nuovo lì, nell'appartamento di Lester, a suonare la batteria, mentre allo stesso tempo gli sembra di sentire la voce di Greta, la Greta del presente, del '91, mentre gli fa il solito discorso sull'impossibilità di Lester di cambiare.

Poi vede di nuovo sé stesso, il John del passato che fa pratica con la batteria di Lester, e il John sedicenne che chiude a sua volta gli occhi. Tutto diventa un vortice confuso di ricordi e sensazioni vissute fin troppe volte.

Quando John riapre gli occhi, continua a ricordare. È ancora il sé stesso di sedici anni, qualche settimana dopo l'episodio delle prove alla batteria. È dopo questo preciso momento che tutto è iniziato a crollare, con Lester.

John è seduto, anzi, disteso su qualcosa di morbido e indefinito. A un certo punto sente qualcosa cadere a peso morto accanto a lui, smuovendolo con forza, e con un sussulto si volta verso la causa dello smottamento.

«Ma che cazzo,» esclama a denti stretti. Quando fa per rimettersi in piedi un mal di testa atroce lo assale. «Che sbronza,» constata, ricordando la notte passata a bere con Fanboy e altri amici dopo un concerto.

«Ehi, Johnny,» lo saluta Lester. La sua voce non è la solita. È strana. Roca, quasi smorzata. John riesce a mettersi seduto e si rende conto di trovarsi sul letto di Lester, nella sua stanza. Lui gli si è appena seduto accanto e ha una faccia da far schifo, è pallido e sembra stanchissimo.

Poi, in un attimo John realizza. Magari Lester non è stanco, magari è solo in astinenza.

Il più grande lo fissa per un po', poi senza dire altro apre il cassetto con uno scatto e inizia a ravanare alla ricerca di qualcosa. Prende un cucchiaio, un accendino e una siringa, e John trova la conferma di quello che pensava. Si slaccia la cintura con aria febbrile e infine getta una bustina sul comodino. Lester fa un sospiro profondo, un vero e proprio sospiro di sollievo, e inizia a preparare il tutto.

Con aria famelica si attorciglia la cintura al braccio, e il suo sguardo ritorna su John.

«Senti, forse è meglio se non guardi,» dice.

Il più piccolo scuote appena la testa, mentre sente la porta aprirsi. Qualcuno lo sta chiamando. Lester deve aver lasciato di nuovo le chiavi sotto al tappetino. Lo fa sempre. Coglione.

«No,» dice John. Gli si fa più vicino. «Voglio provare anch'io.»

Lester lo guarda stranito per un attimo. Sembra quasi restio, ma alla fine John vede delinearsi sul suo viso un sorrisetto.

Qualcuno continua a chiamarlo, dal corridoio. John riconosce la voce di Greta, ma è come se non riuscisse a rispondere. Perché ha detto che vuole provare? John ha i brividi per quello che sta per fare. Si sente un uomo. Si sente anche un idiota totale, in realtà, ma ormai non si può più tirare indietro.

«Beh, se ti va,» borbotta, e così si slaccia la cintura e inizia a legarla attorno al suo braccio. «Ti concedo il primo, Johnny. Vuol dire che ti voglio davvero bene,» esclama, e John accenna una risata imbarazzata. Proprio in quel momento entra nella stanza Greta, che si rende conto di quello che sta per accadere e senza pensarci si avventa su John, si frappone tra i due e gli tira uno schiaffo con tutta la forza che ha.

«Ma che cazzo fai, John,» urla lei. «Che cazzo hai in testa?»

Lui sposta lo sguardo tra Greta e Lester, che ora ha un sorrisetto divertito in faccia, e sente tutto l'imbarazzo affluirgli in faccia.

John sposta lo sguardo su Greta senza dire niente. Per la prima volta prova qualcosa di negativo nei suoi confronti. Avanza verso di lei, mentre sente ancora la guancia che gli fa male, la afferra per le braccia e la strattona.

«Tu che cazzo fai,» sussurra a denti stretti. Greta guarda prima lui e poi Lester, ha uno sguardo ferito, John si sente immediatamente in colpa, una merda, ma cerca di restare nel personaggio con tutto sé stesso.

«John, mi fai male,» dice Greta, a bassa voce. Poi, con voce più ferma, ordina: «Lasciami».

John la molla all'istante, mantenendo però uno sguardo torvo. Greta si allontana di un paio di passi.

«Senti, se inizi con una roba del genere non ne esci mai più,» dice Greta, esitante guarda Lester, che le restituisce un'occhiata disinteressante, mentre riprende a prepararsi all'iniezione. «Nel migliore dei casi ti friggerà il cervello, e non è che tu sia tanto intelligente in partenza.»

John accenna un sorrisetto sarcastico. «Io faccio il cazzo che mi pare,» esclama poi. In un altro momento avrebbe trovato molto divertente quel commento di Greta.

«Certo, fai il cazzo che ti pare,» esclama, «se ci tieni così tanto a non sfigurare tolgo il disturbo. Ma sappi che con me hai chiuso,» conclude, con tono di voce inaspettatamente calmo. Senza aspettare oltre, Greta esce a passo deciso dalla stanza. John si volta verso Lester, che nel frattempo si è già piantato l'ago nel braccio e ora è accasciato su un fianco. Rabbrividisce, passandosi una mano a strofinarsi il braccio, e senza pensarci due volte scappa a cercare Greta. Con un imbarazzo e un mal di testa indicibili John la segue in giro per l'appartamento, la ferma e i due iniziano a gridarsi addosso in mezzo agli altri ragazzi che, stravaccati nella stanza della batteria, si godono la scenetta con aria divertita.

Poi all'improvviso si sente un forte tonfo, e tutti si zittiscono. Il rumore proveniva dalla camera di Lester. I ragazzi si scambiano degli sguardi preoccupati, e poi si precipitano di nuovo nella stanza.

Lester è steso per terra, a faccia in giù. John gli si avvicina con cautela e lo volta. Ha gli occhi rovesciati all'indietro, la bocca semiaperta e l'ago che gli penzola ancora dal braccio. Dex corre da lui, prende il volto di Lester tra le mani. Lo scuote un po', e non ricevendo alcuna reazione gli tira uno schiaffo. Niente.

«Oh, cazzo,» dice John a bassa voce. «Chiamate un'ambulanza, muovetevi!» urla rivolto a Fanboy, Greta e agli altri ragazzini che sono lì.

«Sì, e poi Lester ci manda il conto,» sbotta Dex, che continua a tirare schiaffoni in faccia all'amico svenuto.

Fanboy decide di prendere in mano la situazione, si avvicina anche lui al corpo immobile del più grande e inizia a frugare nelle tasche dei jeans finché non trova le chiavi dell'auto.

«Sai guidare?» chiede John.

Lui alza le spalle.

«Ci provo,» esclama. «Aiutatemi a portarlo in macchina.»

Dopo aver trasportato Lester fuori, John ritorna in casa mentre Dex e Fanboy portano il maggiore in ospedale. Lester diceva sempre di non voler andare in ospedale per nessun motivo, perché per pagarlo avrebbe dovuto chiedere soldi ai suoi, e questo avrebbe comportato la scoperta da parte della famiglia delle sue innumerevoli ricadute. I suoi sapevano che non prendeva più niente da almeno un paio d'anni.

John risale le scale ed entra nell'appartamento. Qualcuno deve pur restare a sorvegliarlo, e la scelta è ricaduta su di lui. Si sente le gambe molli, non riesce a stare in piedi. È la prima volta che vede qualcuno in quelle condizioni, e ha la spiacevole sensazione che non sarà l'ultima.

John indietreggia fino ad andare a sbattere con la schiena al muro. Si lascia scivolare fino a ritrovarsi seduto per terra, poi alza lo sguardo. Sul muro sopra di lui, tra le innumerevoli scritte e i disegni lasciati da tutti i ragazzi che sono passati di lì, c'è anche una sua aggiunta personale. Greta + John, scritto con la vernice rossa. Poco più sotto, in nero, c'è scritto Lester + John. L'amico aveva aggiunto il suo nome per prendere in giro quel gesto sdolcinato dei due.

Qualcuno bussa alla porta; John va ad aprire e si ritrova davanti Greta con le lacrime agli occhi. Senza dire niente lo abbraccia.

Quella non è l'ultima volta che John avrebbe visto Lester, né l'ultima volta che sarebbe finito in ospedale e poi in clinica. La volta successiva sarebbe successo proprio a causa sua, ma questo il John del passato ancora non lo sa, e non può fare altro che abbracciare Greta, spaventato e con la testa piena di pensieri assordanti.




_______

• GBH: band britannica della prima ondata hardcore punk di fine anni '70/primi '80.
•  "Oggi il tuo amore, domani il mondo": dalla canzone Today your love, tomorrow your world dei Ramones.
• Punkhouse: solitamente sono case o appartamenti abbandonati popolati da punk e squatter di passaggio e/o senza casa.
•  Pleasant Dreams: disco dei Ramones dell'81, in cui appunto compare Don't Go. 

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