Seconda parte (5)

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Vi avevo già parlato della mia istintiva repulsione per gli inizi, se non ricordo male.
Eppure, per quanto tu possa odiarlo, l'inizio è sempre la genesi di una storia.
Direi che la nostra, Alex, inizia nuovamente da qui. Ci siamo conosciuti in chiave mistica, ubriachi, astraendo le rispettive figure, facendo congetture e ipotesi fantastiche sulla vita condotta dall'altro.
Fino a quel momento, avevamo semplicemente fatto tesoro della bellezza altrui nel più profondo dei nostri desideri.
Quante volte capita di innamorarsi del tipo sull'autobus? Potenzialemnte, quante volte potremmo innamorarci al giorno?
Infinite, perchè è la nostra mente a tenere le redini, il cuore entra in gioco in un secondo momento.
Io credevo che tu fossi una creatura celeste, inarrivabile, un alieno psichedelico nato e morto la sera nel locale; era come se ti avessi solo sognato. Quando rientrai nell'ascensore conobbi Alex, un ragazzo di vent'anni, timido quanto bastava per non mostrare quella languida arroganza che spesso emergeva da uno sguardo, da un'espressione, da una parola pronunciata; cantante di un gruppo emergente, nato a Sheffield e amante delle esibizioni dal vivo.
I paradossi di oggi sono i pregiudizi di domani, a me piace dire, soprattutto facendo riferimento alle mie esperienze personali.
Avevo investito tutto ciò che possedevo in uno stabile decadente a Brixton, sordidamente avevo consacrato la mia vita ad un'ipotesi, ad una scommessa, abbandonando la fredda razionalità che da sempre mi aveva accompagnato e che mi condusse al percorso di studi che ho compiuto.
Era mio fratello l'artista, il poeta maledetto della famiglia, eppure il piede nella fossa ce lo misi io per prima.
Non contenta, concretizzai il raporto con Alex, elevandolo da sogno etereo a incubo materiale.

"Scendi a piano terra?" chiedesti, gli occhi nascosti dal ciuffo castano.
Il forte accendo di Sheffield, i modi eleganti e pacati, lo sguardo tagliente.
"No, vado a suicidarmi all'ultimo piano."
"Ti piace scherzare. Sei italiana?"
"Vengo da Bolgheri, la città del vino. La mia famiglia produce vino."
Le porte dell'ascensore si aprirono, il perspicace Alex non si preoccupò di farmi uscire per prima adempiendo al galateo, ma si lanciò oltre l'uscita come un uragano in procinto di abbattere la sua ferocia sui posteri, e mi sorrise giocosamente, quasi a volersi farsi beffe di qualcosa o di qualcuno, non capii.
"Ha una penna?" chiedesti al solito concierge che, poco tempo prima, mi aveva dato il lasciapasssare per gli studi.
"Si, signor Turner." rispose stizzito il ragazzo dai capelli rossicci.
Sicuramente, il suo modo di lavorare professionale e distaccato, cozzava con la velata perversione e fievole arguzia del musicista.
"Grazie, Sam." scarabocchiasti qualcosa su un foglietto.
Dopo aver fatto un cenno al receptionist, ti voltasti verso di me, che intanto mi ero appropinquata ad uscire, e ti cimentasti in una simpatica corsetta. Sorrisi, senza accorgermene.
"Tu suoni, Aurèlie?" ancora la tua voce non si era assestata, ogni tanto fuoriusciva un suono acuto e femmineo, che tanto mi divertiva.
Quando conobbi Alex Turner, egli doveva ancora finire di sviluppare; come suggerivano anche i bollicini semi schiacciati sul mento e sulla fronte, parzialmente coperta da un taglio a metà tra quello dei Beatles e degli Oasis.
"Quanto basta per sopravvivere" risposi, spiengendo con le spalle la porta a vetri dell'edificio, senza interrompere il contatto visivo.
"Bene, Parisienne." mormorò il giovane chitarrista , al quale ogni tanto mi riferirò direttamente e altre indirettamente, accompagando la porta sulla quale io stavo esercitando pressione con il braccio.

"Non voglio che tu mi prenda per folle, che tu pensi che io sia uno di quei pazzi che si incontrano in città come Londra." uscimmo allo scoperto, il sole bruciava e i raggi sembravano volersi scagliare proprio su di noi, quasi a voler sottolineare la singolarità della scena che si stava andando a verificare.
Alex tirò fuori un paio di vecchi e scoloriti occhiali da sole. "Mica sarai un vampiro" osservai, guardandolo soffrire all'esposizione alla luce.
"Vivo negli studi e nei pub, certo che lo sono" con fare sbigativo e smanioso cominciò a tastarsi le tasche dei jeans scolorite, ben attento a non volgere lo sguardo verso l'alto, dove il sole splendeva inesorabile.
"Hai un accendino?"
"Abbine cura" gli lanciai un pacchetto di fiammiferi. Le lenti degli occhiali erano davvero scure, ma potevo giocarmi la testa sul fatto che mi stesse guardando sbigottito, incredulo.
Forse anche con un pizzico di ammirazione.
"Tu fumi?" il sopracciglio sinistro si alzò spaventosamente, le pelle chiara che sembrava rigettare indietro la luce. "Ti ho dato un pacchetto di fiammiferi e a te meraviglia il fatto che io possa fumare?"
Alex fece scorrere il fiammifero rapido sulla barra laterale, una scintilla irruppe nella tranquillità della mite giornata primaverile, il fuoco bruciò prima il legno del piccolo bastoncino e poi, con un familiare scricchiolio, bruciò con impeto la punta della sigaretta.
"Aurèlie ci sono cose, realtà, atti che semplicemente non sono state concepiti per stupire, piuttosto per avvalorare una tesi" con un gesto veemente spense il fiammifero. "...ed altre consacrate a sbigottire, a smarrire. C'è un collegamento tra le due, perchè se non esistessero insieme, l'una esluderebbe l'altra."
"Ti sei fatto?" fui costretta ad urlare, perchè un canonico autobus scarlatto a due piani fermò proprio alle mie spalle, buttando in strada un folla ibrida di ciarlanti comari campagnole e stizziti operai conservatori.
"Hai i capelli viola, l'orecchio ricoperto di gioielli, l'anello al naso e un ben nascosto, ma non abbastanza da ingannare gli occhi di un osservatore minuzioso, piercing alla lingua. Parli di Buddha e di Dharma, menti per entrare in un'etichetta discografica e stai per laurearti nell'università piu dandy di tutto il paese" un boccata di fumo usciì dal naso, si riversò languida nell'aria e venne inghiottita dalla fugacità dell'atmosfera.
"Come si dice, è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio" per la prima volta, il nostro caro Alex, riuscì a farmi irritare, sebbene capii quale fosse il punto del suo discorso, che tra l'altro condividevo; fu il modo in cui enunciò il concetto, con sagacia platonica, quando invece puzzava ancora di eiaculazione precoce e latte materno.
"Come tutti vuota, come tutti venerabile, come tutti un futuro Buddha" il timbro adolescenziale era tornato a prevalere su quello da baritono, che poi avrebbe asquisito stabilmente con l'assestarsi dello sviluppo, e ciò mi fa sorridere.
Se ripenso a te, Alex, cinque anni fa, la mente va automaticamente al sapore di quelle sigarette speziate, ai discorsi da fanciullo delirante, ai sogni da rockstar, alle farneticazioni sul futuro e su cosa volesse dire celebrità; eri il filoso più ignorante del mondo, il saggio non giudizioso, il bambino più determinato; è proprio vero quando si dice che si è più vecchi quando si è più giovani.
Nel duemilasette, quando entrambi eravamo più genuini, tu meno famoso e io meno impegnata, credevamo che qualcosa venisse fuori nelle Vie Lattee dell'eternità immense che si dispiegavano ai nostri occhi puri di spettri, amici.

"Che ne dici se mi lasci lo scarabocchio per cui ti sei quasi rotto una mano, ed io me ne torno nella mia zona e tu vai a bere con il tuo gruppo di provinciali brufolosi e poi vai a casa a masturbarti con eleganza?" ridacchiai, per il semplice gusto di farlo, non avevo alcun interesse nello scatenare una reazione.
"Mi sembra una soluzione onesta, una di quello che sono sicuro proponesse Lao Tzu fondatore del taoismo, soprattutto la parte della masturbazione." Alex gettò la sigaretta a terra, intascò il mio pacchetto di fiammineri e indietreggiò, gridando nella mia direzione: "Mercoledì, al calar del sole, Tracy Island. Non ammetto inadempimenti!"
E scomparve, inghiottito dalla folla brulicante, dal rumore della città, dal limpido cielo azzurro e della gioia del mare di gente che invade Londra e rende tutti affamati di cibo e di ulteriore eccitazione.
Come un ombra, sprofondò nelle viscere del sottosuolo, ed io rimasi immobile, inamovibile sui miei stivali, a fissare un chissà quale punto in quella miride di ritmi e di cose.
Gli occhi bruciavano, senza accorgermene mi ero ritrovata a guardare dritto contro il sole.
Lessi il biglietto scarabocchiato che mi aveva lasciato:

"Ti porterò un giovane papavero dai petali vermigli"
Teocrito, il ciclope

Sono un poeta senza lettere, un analfabeta acculturato. Guarda questo disegno, prova gli accordi sulla chitarra, è una canzone che sto scrivendo. Se ti piace, raggiungimi a Tracy Island, capirai di cosa sto parlando.

Spazio Autrice:
Buonasera e buona vigilia! Cosa pensate del biglietto? Alex ve lo aspettavate così?
Tanti auguri!

Brick By Brick //Alex Turner Where stories live. Discover now