It's all about communication, right?

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Haruki aveva dimenticato cosa significasse dormire da almeno una settimana. Con i suoi occhi rossi e il mal di testa perenne, vagava per casa alla ricerca di qualcosa da fare, dato che il sonno non accennava a presentarsi. Sbadigliava, continuamente, eppure quando si poggiava al materasso e gli occhi finalmente si chiudevano, all'improvviso la stanchezza passava, lasciandolo in balia di una forte euforia. Andava avanti così, ormai, da sette giorni. Da quando Akihiko gli aveva chiesto una seconda possibilità. Tutto in lui si era fermato da quel momento. Alle parole del ragazzo, Haruki aveva visto il suo mondo fermarsi, a partire da se stesso. Il cuore sembrava non pompare più, le palpebre non sbattevano e la voce gli si era fermata in gola. Akihiko gli aveva detto di amarlo, o meglio, glielo aveva praticamente urlato, e il ragazzo sperò con tutto il cuore che quelle parole rimbombassero per sempre nel suo universo. L'idea che Akihiko potesse veramente cambiare per lui lo attirava particolarmente, e lo portava a chiedersi fino a che punto si sarebbe spinto pur di essere perdonato da lui. Insomma, Haruki lo aveva già fatto, ma a quanto pare non era stato abbastanza convincente perché lo sguardo dell'altro era talmente determinato che sembrava non l'avesse ascoltato, già perso nei suoi mille modi per convincerlo. Per quanto potesse dispiacerli, in realtà Haruki era felice. O almeno, lo era.

Era passata una settimana dall'esibizione al violino di Akihiko, eppure non si era ancora fatto sentire. Haruki ricordava perfettamente di avergli offerto di tornare da lui, ricordava anche il suo timido "sì" e lo sguardo disperso in qualsiasi punto lontano da lui pur di non guardarlo negli occhi. Ma lui non si era ancora palesato. Zero messaggi, zero citofonate, zero chiamate.

Forse aveva cambiato idea.

Quattro parole che balenavano nella sua testa ormai da giorni, e non riusciva a liberarsene. E se non volesse più trasferirsi da lui? E se era troppo triste per non essere salito sul podio alla competizione? E se fosse scappato perché non voleva più cambiare e si vergognava nel presentarsi? E se fosse ancora innamorato di quel Murata Ugetsu?

No, questo era meglio non pensarlo. 

Mentre la sveglia suonava le nove del mattino, Haruki si strofinò gli occhi reduce da un'altra notte insonne, e controllò il telefono.

Di nuovo, nessun messaggio da Akihiko.

Sbuffò pesantemente e si alzò con forza, deciso a ignorare il telefono almeno fino a pranzo. Entrò in cucina e azionò la macchinetta del caffè, l'unico rumore che avrebbe voluto sentire quel giorno. Poggiò la sua colazione al tavolo, quando il campanello suonò. Haruki sobbalzò.

Akihiko?

Quasi gli andò il caffè di traverso. Curioso l'effetto che può fare un solo nome su una persona. A passi incerti, camminò velocemente alla porta e la aprì, col cuore in gola.
«Haruki? Ti sei appena svegliato, seriamente?»
Il ragazzo sospirò deluso. Era la sorella. «Buongiorno anche a te, Misaki» si spostò dalla porta e la fece entrare.
Misaki ne approfittò subito. «Aspettavi qualcuno?»
«No io... no, nessuno» il fratello chiuse la porta, non dopo aver dato un'ultima occhiata speranzosa fuori da casa sua. Ovviamente, Akihiko non era lì.
«Hai da fare oggi? Dovrei chiederti un favore» poi, alzò leggermente il pargolo che aveva in braccio.
Solo in quel momento Haruki si accorse che non era entrata sola. Il figlio Makoto era seduto paffuto sulle sue braccia, mentre lo guardava con gli occhi vispi e le labbra intente a succhiare il suo amato ciuccio.
«È successo qualcosa con la mamma?» si avvicinò a lei e accarezzò la guancia del bambino.
«Oh no, lei sta bene. Sempre attiva e pronta a rimproverarmi per ogni grinza che trova sulle mie lenzuola» Haruki sorrise leggermente, quando la sorella lo guardò seria. «Vorrei che badassi a Makoto oggi»
Il fratello spalancò gli occhi. Non aveva mai badato a un bambino. O meglio, non aveva mai avuto a che fare con un bambino.
«Misaki, io non so come si trattano i bambini. Non puoi chiamare una babysitter?»
«Mi hanno avvisato solo stamattina di una riunione a lavoro, poi avrò altri impegni ed è troppo tardi per chiamarne una» la sorella si avvicinò a lui e tirò fuori il labbro, come sin da piccola sapeva fare per convincerlo a fare quello che desiderava. «Insomma Haru, sei mio fratello, sei suo zio. Non ci vuoi nemmeno provare?»
Haruki la guardò poco convinto, e le sue guance divennero improvvisamente bordeaux. Spostò gli occhi sul bambino, sperando che almeno lui captasse la sua inesperienza, ma dal suo lato arrivò solo una leggera risatina, divertito dal pizzetto del ragazzo. Fu il colpo di grazia, Haruki non potè fare a meno di sospirare e accettare la richiesta.
«Va bene, va bene. Ma scrivimi tutto ciò che devo sapere, ti prego»
Misaki sorrise sgargiante e gli lasciò un tenero bacio sulla guancia. «Grazie, sei un tesoro» gli lasciò il bambino tra le braccia e corse al tavolo, con penna e taccuino su cui appuntò tutto il necessario.
Haruki riuscì a prendere per miracolo Makoto, che già aveva cominciato a giocare con un ciuffo dei suoi capelli. Si chiese cosa avrebbe fatto col suo vecchio taglio. Forse avrebbe vinto il premio come "giocattolo più divertente del mondo", superando qualsiasi costruzione o puzzle la madre gli avesse comprato. Il ragazzo sbuffò guardando la sorella, seccato dalla sua foga e dall'essersi lasciato convincere ancora una volta con tanta facilità. Non era cambiato niente da quando aveva otto anni.

BabysittingWhere stories live. Discover now