La bisbetica domata

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Lunedì mattina la sveglia suonò e Emma non si svegliò. Risuonò e Emma si tirò la coperta un po' più su. Alla terza volta la ragazza parve saltare da un trampolino quando si mise a sedere sul letto, con il lenzuolo tutto attorcigliato attorno alle gambe e i capelli ritti per il sudore. La dodicesima notte cadde dal letto ai suoi piedi. Si era appena ripresa da un sogno che era un miscuglio di ricordi di biglietti e speranze di trovarne altri, quando buttò un occhio sulla sveglia e sia accorse di essere un quarto d'ora in ritardo. Saltò in piedi e corse nella doccia, ne uscì sempre in fretta riempiendo il pavimento del bagno dell'acqua che le colava dai capelli. Una volta pronta cominciò a correre a perdifiato verso l'università, rimpiangendo di non aver accettato l'offerta dei genitori di prendere un motorino. Passò davanti al bar dove era stata con Tommaso, sognando un caffè più di ogni altra cosa; passò davanti al supermercato pensando che avrebbe dovuto fare la spesa e che il lunedì aveva la giornata lunga all'università; passò davanti all'anziana fioraia dal quale comprava sempre un fiore per farla felice. Sul viso della signora si aprì un sorriso nel vederla arrivare, che poi so trasformò in un'espressione risoluta nel vederla continuare sulla strada; passò davanti alla biblioteca, e... dopo dieci metri si fermò. Aveva considerato che alla fine non sarebbe stato un grande problema saltare un giorno all'università, al prossimo esame mancava molto e avrebbe potuto studiare a casa o chiedere a Tom, che seguiva esattamente i suoi corsi, di ripetere un po' le lezioni. Pensò tutto questo in quei dieci metri, facendosi perfino una risata sulla parola "ripetere" associata a Tommy. Si fermò di botto: aveva deciso, quel giorno niente lezioni.
Come prima cosa passò dalla fioraia, dalla quale invece del solito singolo fiore comprò un grande mazzo di fiori di campo, che donò alla sua vicina di casa che incontrò sul marciapiede. La vicina era una donna silenziosa e riservata, sulla cinquantina, che purtroppo aveva il padre ricoverato per un grave ictus. Anna, così si chiamava, la guardò con occhi lucidi e la strinse in un abbraccio d'impeto, per poi allontanarsi saltellante di gioia.

Quasi volando, sognante com'era, Emma entrò nel bar alla quale era passata davanti prima e ordinò un caffè. La sessantenne al bancone, una donna robusta, con i palmi delle mani tanto ampi che avrebbero potuto ospitare dieci uccellini in una volta sola, lo sguardo scorbutico e il naso schiacciato, preparò il caffè e lo sbatté sul rustico bancone di pietra senza tante cerimonie.
"Ha visto che sole oggi, signora Maria?" Cominciò Emma.
"Mmh" mugugnò la donna.
"Viene voglia di sedersi su un prato per un pic nic" disse la ragazza con espressione trasognata.
"Se lo dice lei" andò di rimando Maria.
"Sa, con gli uccellini, il caldo..."
"Perchè non beve il suo maledetto caffè per poi andarsene e basta, senza aggiunta di monologhi teatrali che non interessano a nessuno?" Sbottò la signora Maria.
Emma strabuzzò gli occhi, che tenne fissi nel  profondo marrone del caffè. La tazzina le tremò leggermente nella mano. Dopo uno o due secondi alzò lo sguardo verso Maria, che le dava le spalle nel preparare un cappuccino per un altro cliente.
"Si calmi!" Cominciò Emma "reagisce come se avessi detto chissà cosa!"
"Si dà il caso che io stia lavorando, e preferirei non essere disturbata" Maria non si voltò neanche a guardarla negli occhi.
"Ok, ok" si accigliò la ragazza. Finì di bere il suo caffè, lasciò le monetine sul tavolo e si avviò a passo spedito verso l'uscita. Sulla porta disse a voce un po' più alta:
"Congratulazioni per sua figlia, comunque!"
Il viso di Maria si addolcì in un'espressione commossa, nel pensare alla recente laurea di sua figlia.
"Aspetti! Aspetti Emma, mi dispiace!"
"Ah, allora lo conosce il mio nome!" Gridò la ragazza ridendo, ormai lontana.

L'umore di Emma si risollevò.
Passò per il supermercato per una spesa essenziale, poi si recò in biblioteca. Se l'era lasciata come ultima meta appositamente, in quanto quella che le dava più piacere.
Come sempre si fermò un attimo, emozionata, a fissare la cornice verde sbiadito delle due piccole vetrine.
Entrò, stringendo con una mano la bustina di plastica con la spesa, e con l'altra la tracolla della borsa con i libri di biologia.
Estrasse da quest'ultima La dodicesima notte ed entrò.
" 'Giorno signor Montile"
Il bibliotecario fece capolino da dietro uno scaffale.
"Buongiorno, signorina! Cominciavo a temere che non l'avrei vista, oggi. Cosa la porta qui così tardi?"
"Ehhh, oggi niente università, giorno libero!"
Montile la guardò con aria sospetta, poi proruppe in una risata.
"Allora, cosa prende oggi?"
Emma stava già scorrendo i titoli dei libri appena riconsegnati. Aprì il registro dell'ultimo consegnato e trovò il solito codice. Guardò la copertina: La bisbetica domata, di Shakespeare. Emma non lo conosceva, ma il titolo le ricordò l'episodio avuto poco prima con la barista.
"Prenderò questo" disse porgendolo al libraio.

Dopo pranzo Emma si recò al bar sotto casa: se non aveva fatto lezione, tanto valeva lavorare un po'. Come al solito non c'era nessun cliente, perciò la ragazza si mise a leggere. Il libro non le piacque molto, tanto che dopo le prime trenta pagine si stufò e si mise a cercare il biglietto. Non dovette cercare a lungo, però. Infatti, il solito post-It era attaccato proprio a pagina trentadue.

Oggi Piero Tani
Si è bruciato le mani.
Le ha posate sul proprio cuore
Ardente di amore.
Tuo,
       Shakespeare

Tuo, ShakespeareWhere stories live. Discover now