Capitolo 33

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Abbattere l'ultimo muro

"Will we be better off by now?

If I let my walls come down

Maybe I guess we'll never know"

~ Lewis Capaldi (Before You Go)

Staremo meglio adesso? / Se avessi lasciato cadere le mie mura / Forse immagino che non lo saprò mai

Teresa

Due giorni, due erano i giorni che Travor era riuscito a darmi per pensare a tutto quello che era accaduto o meglio, a quello che avevo scoperto.

La notte stessa che mi aveva portata a casa, dopo la catastrofica festa dell'ultimo dell'anno, mi ero appena addormentata, quando mi era arrivato un messaggio da parte sua. Mi pregava di parlarne, io l'avevo pregato di lasciarmi un po' di tempo e, a quanto pareva, per lui un po' di tempo equivaleva a due giorni.

Quella mattina mi aveva scritto un nuovo messaggio, al quale non avevo risposto, per poi tempestarmi di chiamate. Alla fine avevo ceduto e gli avevo detto di raggiungermi al mio appartamento.

Non avevo avuto nemmeno il tempo di asciugarmi i capelli che il citofono suonò. A quel suono sentii una stretta allo stomaco, attraverso lo specchio vidi i miei occhi spalancarsi leggermente, mi portai il labbro inferiore tra i denti e poi sospirai pesantemente lanciando un'ultima occhiata al mio volto smunto. Legai i capelli alla bene e meglio in una crocchia, poi con un ennesimo sospiro mi decisi ad aprire la porta.

«Ciao» mormorai non appena il volto cereo di Travor apparì nel mio campo visivo.

Lui mi osservò per un secondo in silenzio, il suo petto si alzava e abbassava irrefrenabile e aveva un po' il fiatone, probabilmente aveva fatto le scale di corsa.

«Perdonami, Tess» ansimò, quando ritrovò l'uso della parola.

Una fitta mi trafisse la bocca dello stomaco, mentre un senso di angoscia si posava sulle mie spalle come una coperta. Due giorni di tempo per pensare non mi erano bastati, non perché non avessi le idei chiare su quello che avrei fatto, ma perché sapevo, che una volta visto Travor negli occhi, mi sarebbe stato difficile portare a termine i miei propositi.

Senza replicare, mi scostai dalla soglia per lasciarlo entrare. Una volta essermi chiusa la porta alle spalle, gli feci strada in salotto e, nel più completo silenzio, ci sedemmo agli antipodi del divano bianco al centro della stanza.

Non riuscivo a guardarlo in faccia, così feci vagare lo sguardo dal grande quadro che ritraeva un oceano, al peloso tappeto in crema sotto i miei piedi coperti da dei calzini azzurri con le paperelle.

«Teresa».

Attesi che proseguisse, era venuto lì per parlare, allora che lo facesse.

«Teresa, per favore, guardami».

Chiusi per un'istante gli occhi, poi, posando la schiena contro il bracciolo del divano e intrecciando i piedi sotto di me, mi decisi a fare come mi aveva chiesto.

«Non farlo».

«Cosa?».

I suoi occhi verdi esprimevano una tempesta d'emozioni, ma quella che emergeva su tutte, era la paura.

«Non lasciarmi andare».

Cercai di sostenere il suo sguardo, ma mi risultava davvero difficile.

Broken - Come feniciDove le storie prendono vita. Scoprilo ora