Se non è un demonio, noi l'acciuffiamo

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La Ville Lumière è entrata da poco più di un mese nel nuovo secolo e lo si nota bene dall'allegria che ancora permea la città e i suoi cittadini, e dalle luci che sembrano ancora più numerose e brillanti del solito. La primavera, ancora di là da venire, non ha mostrato per il momento i suoi segni distintivi, eppure v'è un sentore d'eccitazione pronta a sbocciare e sembra si respiri aria di novità ovunque, perfino nei quartieri poveri e nelle bettole. Forse non durerà, si sofferma a riflettere il presidente del consiglio nonché ministro degli interni Valenglay, ma fintanto che porterà bei pensieri e leggerezza sarà senza dubbio benvenuta.

Distogliendo lo sguardo dal panorama che si può ammirare dalla sua finestra, china un poco la testa sulla propria scrivania poco distante e sospira esasperato: un altro stupido rapporto dalla Sûreté, e può scommettere le sue entrate di un anno che si tratta, di nuovo, di quel seccante ladro da strapazzo e delle sue prodezze che tanto divertono il popolo. Ed è proprio questo il problema maggiore; il prefetto Machaux può dire ciò che vuole al riguardo, ma sprecare tanto personale e denaro pubblico per correre dietro a una testa calda che piace alla gente non è affatto un buon affare, economicamente e politicamente parlando.

«Che diamine avrà combinato questa volta?» si chiede, un poco amareggiato per essere stato distolto dal proprio studio del benessere della comunità.

Nulla di più facile, del resto, che togliere il sigillo apposto dagli uffici della Sûreté per scoprirlo. Questo è ciò che suo malgrado si appresta a fare, salvo pentirsene nemmeno tre minuti dopo, intento a sorbirsi gli sproloqui di quel borioso del prefetto, oltre che le spiegazioni prolisse e noiose dell'Ispettore Capo.

«Buon Dio, che perdita di tempo, che perdita di denaro, e che perdita del già scarso prestigio di cui godono» lamenta, sapendo di parlare unicamente a sé stesso, poiché si trova solo nel suo ufficio. «Farei prima ad assumere questo tizio. Molto probabilmente mi costerebbe meno che cercare di metterlo dietro le sbarre e poi mandarlo al patibolo. Chissà» borbotta, rimuginando sui suoi progetti con tutta probabilità irrealizzabili.

***

In un altro edificio e in un differente ufficio il prefetto Machaux sta facendo una lavata di capo all'Ispettore Capo, reo d'essersi lasciato sfuggire, lui e la sua squadra al completo, il ricercato per l'ennesima volta, l'ultima di una serie apparentemente infinita.

«Signor prefetto, quell'uomo è una specie di demonio. I miei ragazzi non...» tenta di spiegare le proprie ragioni Justin Ganimard.

«Avete detto giusto: quell'uomo. Ed essendo egli un comune mortale esiste di certo un modo per sbarazzarcene una volta per tutte. Bisogna togliercelo di torno. È semplicemente oltraggioso che si diverta alle nostre spalle! La gente ride di noi!» si accalora il prefetto.

L'Ispettore china la testa a ogni invettiva un poco di più, e si morde la lingua per evitare di rispondere a tono e dire apertamente ciò che pensa del problema, se poi di tale si tratta.

«Il Crédit Lyonnaise! È inammissibile! Chi rimborserà la perdita? Voi, forse? No di certo, siete solo un poliziotto» esclama Machaux.

Il suddetto poliziotto sta per insultare il prefetto, poi ci ripensa e annuisce, tenendo per sé anche quello. E si augura vivamente che non ne abbia ancora per molto, perché non è per nulla certo di quanto spazio gli rimanga ancora in testa per tenerci tutto quel che vorrebbe fargli sapere.

«Che accidenti state aspettando, dunque? Andate, marsch! Radunate i vostri uomini (quelli che non hanno qualche osso rotto) e trovate quel pagliaccio!» sbraita il prefetto, concedendogli con queste ultime parole il permesso non scritto di poter lasciare il suo ufficio.

Ganimard sospira, indicibilmente grato per quella concessione dell'ultimo minuto, e approfitta al volo dell'occasione per correre letteralmente fuori da lì e tornare fra le persone ragionevoli.

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