Iniziai a gridare, gettandomi con il peso indietro nella speranza di liberarmi dalla sua stretta.
Ma Markus non fu minimamente turbato. Anzi, aumentò la sua andatura, strattonandomi in avanti.

Il tessuto del vestito, pesante, seguiva i miei movimenti, impacciandoli.

Venni trascinata, impotente, per tutto il lungo corridoio, incespicando nei miei passi, troppo rapidi da mantenere, e nel vestito, così lungo da essere ingombrante. Proseguimmo giù per una rampa di scale, dove la prudenza non accennò ad aumentare, finché due Rasseln di turno, vedendoci arrivare, non aprirono il portone principale.

Prima che potessi rendermene conto, ero fuori. Colti da un improvviso senso di vana libertà i miei piedi si fecero più agili e leggeri, mentre procedevamo verso la cancellata in ferro.

Ma con lo stesso strattone con cui la realtà ti riporta a sé dopo un lieto sogno, così Markus svoltò improvvisamente, tirandomi con sé e lasciando alle spalle l'inferriata.

Infilzai i talloni nudi nella ghiaia appuntita, opponendo resistenza. Con un balzo inaspettato Markus fu costretto a rallentare momentaneamente.

«No!» Non avevo mai smesso di gridare, mentre le lacrime salate si mischiavano alla mia saliva.

Scossi la testa, appendendomi con il braccio libero alla sua mano stretta attorno al mio polso.

Ma la mia voce risultò fin troppo flebile alle orecchie di Markus e fu facilmente soverchiata dal calpestio nella ghiaia, che riprese rapido ed ininterrotto.

Con la mano bianca per la stretta e i piedi tagliati dal sentiero, venni trascinata verso il retro del castello.

Al contrario dell'ingresso, dove le aiuole fiorite emettevano un nauseabondo tanfo dolciastro, qui tutto era incurato, lasciato in balia della forza maligna della natura.

Ci passammo davanti, non curanti, fino a raggiungere quella che una volta era una serra: il perfetto equilibrio di architravi e colonne bianche, e di vetrate e cupole in vetro, era ora ridotto ad una struttura cadente, rinforzata con dei blocchi in pietra e tenuta insieme dalle radici dell'edera rampicante, così folta da impedire il passaggio della luce.

Markus mi tirò a sé, per poi spingermi con forza nel rovere.

Caddi, inciampando sui primi gradini per colpa del vestito, schiacciando un vetro rotto con la mano.
Trattenni un mugugno sofferente.

«Alzati.»

Markus riafferrò la presa, questa volta attorno ai miei capelli, trascinandomi verso il centro della serra.

Camminavo a stento, con la schiena piegata in due e le gambe flesse, mentre i miei piedi scalzi facevano scricchiolare i frammenti di vetro.

Sembravo un animale al guinzaglio

Un altro strattone mi fece inciampare nuovamente e, questa volta, caddi sul fianco, graffiandomi il braccio con una scheggia trasparente.

Il dolore crescente alla testa mi obbligò a rialzarmi, per poi essere nuovamente gettata per terra qualche metro più in là, sulla terra secca appuntita di erbacce in prossimità di un acquitrino melmoso.

In pochi istanti Markus fu inginocchiato al mio fianco.

Improvvisamente afferrò la mia nuca, spingendola con forza verso la superficie dell'acqua. L'azione fu così rapida e inaspettata che mi fu impossibile, sia oppormi, sia prendere fiato. Riuscii solo a vedere le ombre della vegetazione morta e dei nostri corpi.

Rabbrividii quando sullo specchio dell'acqua vidi riflessa una terza figura.

Ma era troppo tardi per pensarci.

In un atto privo di esitazione la mia testa era stata pressata sotto l'acqua.
Presi a dimenarmi, riempiendo il corpo di convulsioni vane, a cui Markus rispondeva con una presa ancora più forte.

«Dopo l'ultima volta, pensavo avessi imparato la lezione, ma evidentemente mi sbagliavo. Questo è un avvertimento, forse sette anni lontana da casa ti hanno fatto dimenticare le buone maniere.»

Man mano che parlava, Markus mi spingeva il viso sempre più verso il basso. Nell'acqua stagnante le ciocche di capelli si mischiavano alle alghe, creando un velo asfissiante davanti al mio volto.

«Ma infondo non dovrei stupirmi: sei stata cresciuta da un traditore e hai avuto la brutta influenza di un asino da soma.»

Gli occhi bruciavano a contatto con quel liquido sporco, così come la gola, che se ne riempiva ingorda.

L'iperventilazione e l'angoscia consumarono l'ossigeno troppo in fretta.

«Ricorda. La prossima volta non sarò così compassionevole.»

Quelle parole agghiaccianti mi raggiunsero anche attraverso lo spesso strato d'acqua e furono l'ultima cosa che sentii prima di svenire.

Royal Thief IIWhere stories live. Discover now