Capitolo Uno. Joy

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Non siamo mai così indifesi verso la sofferenza, come nel momento in cui amiamo.
(Sigmund Freud)


Stavo passeggiando a Manhattan, era una bella giornata di sole estivo, la strada brulicava di persone che camminavano frettolosamente. New York era sempre stata così: bellissima e caotica. Ero nata in un quartiere chiamato Tribeca, avevo visitato diverse città americane e non solo ma mai nessuna era come New York. Questa città mi ricordava la mamma, lei passeggiava sempre, con sicurezza, per le strade affollate come se non ci fosse nessuno da schivare. Mi portava spesso con sé a Central Park o nei vari musei della città. Voleva che crescessi sapendo il valore della mia intelligenza piuttosto che del mio aspetto fisico.

Camminando, però, notai che lentamente le persone stavano andando via e, alla fine, restai completamente sola. Mi voltai per vedere se Nathan, la mia guardia del corpo, avesse notato qualcosa di strano. Lui non era lì, il che era impossibile perché non mi perdeva mai di vista. Quando mi rivoltai, per osservare nuovamente davanti a me, un uomo era fermo immobile a qualche metro di distanza.

Sembrava incredibilmente stanco, era vestito di nero e, in mano, teneva stretta una pistola.
Ricordavo bene quell'uomo, era colui che aveva uccido la mamma. Dopo essere stato arrestato la faccia di James Ross era apparsa su tutti i giornali con la dicitura: uccisa Ellen Brown, la nota moglie di Adams Brown, arrestato l'assassino.

Cosa ci faceva in libertà? Era stato condannato all'ergastolo.
L'uomo stava immobile a fissarmi con lo sguardo perso nel vuoto poi, finalmente, parlò.
-"Tuo padre mi ha rovinato la vita sai? Mi ha tolto ogni cosa e ora io farò lo stesso con lui".

L'uomo mi puntò contro la pistola. Sapevo di dover scappare ma i miei piedi sembravano incollati al pavimento. Cercai di supplicare pietà, non volevo morire, non volevo lasciare papà solo. Mossi le labbra ma non ne uscì alcun suono, ero completamente in balia degli eventi e non potevo fare nulla. Una profonda sensazione di angoscia mi invase il corpo e la mente, poi l'uomo sparò sorridendo.

-"Joy, Joy... Svegliati". Una voce decisa mi penetró i timpani.
-"Avanti Joy devi andare a scuola, è ora". Lentamente aprí gľ occhi cercando di mettere a fuoco ciò che avevo di fronte.
Consuelo era davanti a me con le braccia incrociate al petto e lo sguardo contrariato.
Cavolo, mi ero addormentata di nuovo sul divano nella terrazza della mia stanza.
-"Ogni volta, ogni santa volta ti addormenti qui! Menomale che siamo a giugno e fa caldo altrimenti moriresti congelata!" Consuelo sapeva essere davvero stressante già alle otto del mattino.

Lei era praticamente la mia seconda mamma, era stata assunta dai miei genitori quando avevo un anno. Loro viaggiavano molto e non potevano sempre portarmi di città in città. Io restavo a casa con lei, mi aveva cresciuta come fossi figlia sua anche se era impossibile scambiarci per parenti, non ci somigliavamo per niente.

Consuelo era messicana, aveva 64 anni ed era bassina, la sua pelle era di una bella carnagione dorata che si sposava perfettamente con i capelli scuri che le arrivavano alle spalle.
I suoi occhioni grandi e neri erano sempre semi-coperti da grandi occhiali rosa. Proprio quegľ occhi mi fissavano severi ogni volta che combinavo qualche cavolata. Lei era l'unica in casa a conoscenza delle mie piccole fughe e, anche se non approvava, mi copriva sempre.

-"Avanti Joy. Mi farai impazzire". Ogni giorno mi brontolava dietro, con la sua accento messicana, qualcosa.
-"Si, si, ora mi alzo". Era stato solo un brutto sogno.
Uno dei tanti brutti sogni che facevo dalla morte della mamma.
-"Se fra mezz'ora non ti vedo scendere in cucina, salirò su con un bidone d'acqua. Capito?".
-"Si ho capito".
Consuelo uscì dalla camera da letto insultandomi con qualche parolaccia messicana e io mi rigirai sul divano per dormire ancora qualche minuto.

-"Se non ti alzi lei sveglierà tutto il vicinato". La voce di Nathan mi risvegliò come un incubo.
-"Perché in questa casa non c'è mai un attimo di pace?" domandai più a me stessa che a lui.
Nathan stava sul terrazzo affianco al mio, gli era stata assegnata la stanza vicino per potermi controllare meglio. Era l'agente che da più tempo lavorava per noi e praticamente l'unico che parlava con me.
La regola numero uno era: essere invisibile e non parlare con i padroni di casa.
Portava sempre un elegante completo nero e l'auricolare all'orecchio. Era un uomo di colore sulla cinquantina alto almeno due metri e completamente calvo. In effetti metteva abbastanza paura e aveva l'aria di sapere che cosa succedeva anche in angoli della casa in cui non era mai stato ma, io riuscivo a fregarlo, e ad uscire di nascosto di casa ogni tanto.

-"Accompagnerò tuo padre in viaggio, partiamo fra quindici minuti, dovresti andare a salutarlo starà via per un po' ". Mi disse in tono piatto osservando davanti a sé.
-"Si mamma! Vado". Mi guardo' ridendo.
-"Con quale altra rottura ti rimpiazzeranno ? Così da sapere cosa mi aspetta domani mattina quando verrò svegliata per l'ennesima volta" domandai sorridendo.
-"Se imparassi a dormire nel tuo letto nessuno di disturberebbe più".
-"Sono certa che trovereste comunque un modo".

Recuperati la vestaglia sul letto e la infialai uscendo dalla stanza.
La casa in cui abitavo era gigantesca: aveva 8 camere da letto, per la maggior parte occupate dal personale, una grande cucina bianca e diversi salotti. Poi c'era la parte intoccabile: lo studio di papà; nessuno poteva entrare lì.
Percorsi il lungo corridoio e scesi le scale che portavano al salotto.

Mio padre era seduto al tavolino e fissava il quotidiano tutto concentrato.
Dalla morte di mamma sembrava invecchiato anni luce.
Aveva i capelli completamente bianchi e sempre perfettamente pettinati all'indietro.
Avevo ereditato da lui gli occhi grandi e color nocciola che fissavano, ogni mattina, le ultime notizie in maniera attenta e concentrata come se si stesse occupando delle sue amate azioni.

-"Ciao papà".
-"Ciao tesoro. Tra poco parto per Washington, volevo salutarti ma mi dispiaceva venirti a svegliare". Disse posando il giornale e alzandosi in piedi.
-"Starai via molto?"
-"Poco più di un mese. Ho tante cose da fare Joy. Tornerò il prima possibile".
-"Stai tranquillo papà". Lui era praticamente sempre fuori casa quindi ero piuttosto abituata.
-"Signor Brown dobbiamo andare". Nathan lo avvertì dall'ingresso del soggiorno.
-"Ciao tesoro, ci vediamo presto. Stai attenta". Mi posò un delicato bacio sulla fronte e uscì.

-"Joy". Nathan mi chiamò a bassa voce.
-"Mi sono raccomandato, con la tua nuova guardia del corpo, di controllare l'uscita in cucina. Ieri notte sei rientrata da lì quindi deduco che tu ci sia passata anche per uscire".
Cazzo mi aveva beccata.
-"Che premuroso che sei non dovevi". Risposi sarcastica.
Con uno sguardo severo uscì anche lui.

Fino A Domani Where stories live. Discover now