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Elizabeth

Sentii esultare. I miei compagni avevano fatto un altro punto. Questo significava che, se avessi preso il boccino avremmo vinto di 10 punti. In caso contrario, sarebbe stara la sconfitta più imbarazzante della storia del Quidditch.

Mi concentrai, cercando un lampo dorato. Non potevo perdere, contavano tutti su di me. Era troppo tempo che il Regno Unito non arrivava in finale.

I giapponesi erano tosti, certo, ma il loro Cercatore era tanto veloce quanto stupido. Pessima scelta strategica.

Andiamo, Liz, sei una Corvonero. Ricorda, la mente è più forte del corpo.

Sentii un guizzo ed uno spostamento d'aria ed un attimo dopo mi gettai all'inseguimento del boccino e del mio avversario.

Imprecai: era troppo veloce. L'unico modo per batterlo era prevedere la traiettoria del boccino. Oppure spingerlo.

Sorrisi, notando quanto, inconsapevolmente, il giapponese mi stesse aiutando. Lo stava spingendo dritto verso le tribune, sarebbe stato obbligato a cambiare direzione.

Ora avevo il cinquanta percento delle possibilità. O in basso o in alto.

Il boccino era intelligente, conosceva l'ambiente che lo circondava. Notai il mio avversario prepararsi ad una salita, vedendo il boccino alzare leggermente la propria traiettoria.

Decisi. Mi gettai prima in basso poi dritta, cogliendo di sorpresa la pallina che aveva avuto la mia stessa idea, e in un attimo lo stringevo tra le mani.

Mentre atterravo per un secondo trattenni il fiato. Aspettavo di svegliarmi nel mio letto, sopra un negozio a Diagon Alley, e di realizzare che fosse tutto un sogno.

Avevo solo sedici anni, a malapena rientravo nei criteri per la Nazionale, ma, stringendo quel boccino, mi sentii più forte di qualsiasi altro mago, in grado di battere un drago a mani nude.

Alzai le braccia al cielo e urlai così forte che pensai che persino mio padre, un babbano che non sapeva della mia esistenza, potesse sentirmi. Poi tutto il resto della mia squadra mi piombò addosso, urlando e festeggiando.

Campioni del Mondo.

Non ero mai stata più felice.

«Andiamo, Kat, dobbiamo comprare i libri...» Tirai la mia sorellina per una affollatissima Diagon Alley, sperando di non incontrare nessun paparazzo molesto. Indossavo gli occhiali da sole e un cappello, ma non sapevo se la copertura avrebbe retto.

Entrammo da Ghirigoro, ovviamente stracolma di giovani maghi e streghe che si preparavano per la scuola.

Katherine stava per iniziare il secondo anno ad Hogwarts, sfortunatamente in Grifondoro, la cui squadra di Quidditch era capitanata da James Potter. Io e lui eravamo i giocatori più forti della scuola e non esattamente in buoni rapporti. In ogni caso non lo consideravo un odio reciproco, più che altro sana rivalità. Potrei quasi dire che gli volevo bene e non posso negare che fosse davvero bello.

Kat lanciò un gridolino di gioia e corse ad abbracciare Lily Potter, una sua compagna di dormitorio. Sulle mie labbra spuntò un sorriso malizioso quando intravidi anche suo fratello maggiore: volevo proprio sentire cosa aveva da dire riguardo alla Coppa del Mondo.

«Bolt! Bella prestazione là fuori.» esclamò lui, vedendomi.

«Wow Potter, stai ammettendo che sono più forte di te?» lo sfidai.

Lui rise con fare superiore e si avvicinò a me fino a trovarsi a pochi centimetri dal mio viso. Fui grata che gli occhiali mi coprissero parte delle guance, così che non avrebbe notato il mio rossore.

«Te lo scordi, dolcezza.» mi sussurrò.

I suoi magnetici occhi verdi erano incastonati con i miei azzurri e, solo per un secondo, scorsi un pizzico di esitazione, come se non volesse allontanarsi. Quella vicinanza era in qualche modo piacevole.

Il momento fu interrotto dalla signora Potter, che si avvicinò a me e mi strinse la mano.

«Tu devi essere Elizabeth Bolt...» sorrise e si presentò «Ginevra Weasley Potter, giornalista della Gazzetta del Profeta e, purtroppo aggiungerei, madre di questo ragazzo.»

Ovviamente conoscevo già tutte quelle informazioni. Ginny Weasley era stata il mio idolo fin da quando avevo sei anni e la mia più grande aspirazione era giocare nelle Holyhead Harpies proprio come lei.

Deglutii, emozionata di conoscerla per la prima volta. «È un vero onore conoscerla, signora Potter...» le dissi.

Lei rise leggermente: «Puoi chiamarmi Ginny, cara. Potrei dire la stessa cosa: sei molto popolare al momento. Inoltre James mi parla spesso di te...»

A quelle parole il figlio le scoccò un'occhiataccia e io abbassai gli occhiali leggermente, in modo da rivolgergli uno sguardo divertito.

«Oh sì, non fa altro che parlare di te e di quanto tu sia talentuo-» James tappò la bocca a suo fratello Albus prima che potesse finire la frase. Aveva le orecchie rosse tanto quanto i capelli della madre.

«Ah davvero? Non sapevo mi trovassi così interessante, James...» scandii bene il suo nome. Di solito tendevamo a chiamarci per cognome, come sul campo.

Questa volta lui rivolse la sua occhiataccia a me, al che risi leggermente.

In verità quello che avevano detto i suoi parenti mi aveva stupito molto. James Potter parlava di me con ammirazione.

Anche lui era un abilissimo giocatore e un leader molto migliore di me. Era bravissimo ad incitare i suoi compagni e dare lo stimolo giusto per giocare al meglio. Il perfetto capitano, insomma.

Katherine mi chiamò e capii che si stava facendo tardi: dovevamo prendere i libri e tornare al negozio di mamma. Salutai la signora Potter e Albus poi mi abbassai di nuovo gli occhiali e feci l'occhiolino a James, ottenendo un dito medio in risposta.

Ridacchiai e tornai a confondermi in mezzo alla folla per raggiungere mia sorella. Un paio di persone mi riconobbero e chiesero un autografo, ma tutto sommato fu abbastanza tranquillo.

Quando arrivammo al negozio di mia madre suo marito era già a casa. Io ero nata da una sola notte con un babbano di mia mamma e lei aveva conosciuto il padre di Katherine mentre era in travaglio, lui lavorava al St. Mungo. Dave mi aveva cresciuta come una figlia e lo reputavo mio papà, nonostante avessi il cognome di mia mamma.

Dave ci salutò entrambe e insieme andammo al piano di sopra, dove abitavamo. Era un appartamento molto piccolo, con solo due camere, ma era la mia casa.

Quando mi sedetti sul letto, però, fui contenta pensando che la settimana dopo sarei stata nella Torre di Corvonero, accanto alla mia migliore amica e al resto della mia squadra.

Mi sdraiai, osservando il soffitto su cui erano appese tutte le foto più importanti per me e mi persi nei miei pensieri.

Per qualche ragione, la mia mente continuava a riportarmi a quel momento di qualche ora prima, in cui io e James ci eravamo guardati negli occhi. Più ci pensavo, più realizzavo che non c'era nulla di malizioso o scherzoso nel suo sguardo ma anzi, un pizzico di insicurezza.

Sospirai, rendendomi conto che quello che avrei voluto fare era baciarlo.

Rivalry - James Sirius PotterWhere stories live. Discover now