«Non posso,» ammisi, ancora, ed Uriah sorrise, prendendomi la mano.

«Sì, invece.»

Mi aiutò ad indossare le scarpe e mi guidò con cautela fuori dalla sua abitazione, sempre scortati dall'enorme cane nero. Quella volta, Dora e la servitù non si fecero vedere, permettendoci di uscire dall'ingresso senza essere presi di mira dai loro sguardi indagatori.

Tutto sommato, iniziavo a detestare quella donna. Così gentile, così grata: nessuno è davvero felice di vivere con un assassino, a meno che non sappia qualcosa.

«Dove mi state portando?» Chiesi, confusa. Uriah mi teneva sottobraccio e seguiva il mio passo, non volendomi mettere fretta. Quella mattina, era insolitamente gentile, e di questo mi stupii: forse, voleva semplicemente scusarsi.

«In giardino.»

Corrugai la fronte, confusa. «Sono già stata nel vostro giardino.»

Lui tirò un sorriso. «Non dove vi sto portando.»

Quella volta, restai zitta, notando il ragazzo farsi strada fra gli arbusti e i rami più bassi, ormai appassiti. Ricordavo quel posto per quando avevo tentato di inoltrarmi dopo aver sentito un'insolita voce chiamarmi, non trovando, però, nessuno. Uriah si muoveva con consapevolezza e senza ferirsi fra i rametti dei cespugli, aiutandomi a fare lo stesso.

«Finiremo contro le mura,» lo derisi, notando che, ormai, la sua proprietà si stava esaurendo.

Uriah sorrise e restò zitto. Quando lasciò la mia mano, permettendomi di superare l'ultimo angolo di rovi, lo sentii sorridere.

«Entrate.»

Subito non capii, ma poi abbassai lo sguardo, notando una piccola porta – circa all'altezza di un bambino – costruita nella muraglia.

«Devo proprio?»

«Lo farò io per primo, se lo preferite.»

Uriah si piegò sulle ginocchia, aprendo la piccola porta con un colpo sulla maniglia. Per fortuna, era abbastanza piccolo e magro da passarvi, altrimenti sarebbe risultato tutto molto più ridicolo.

«Venite?» Domandò, una volta passato dall'altro lato. Guardai Elias, cercando conferma, e, di tutta risposta, il cane mi precedette, facendomi capire che potevo fidarmi.

Mi inginocchiai a terra e, gattonando, passai attraverso la porticina. Subito, un forte e prepotente odore di fiori mi spezzò l'olfatto, lasciandomi tentennante.

«Non vi alzate, Ophelia,» mi informò Uriah, anche lui seduto a terra. «Guardate.»

E guardai, lasciandomi abbagliare.
Era un piccolo giardino, poco più grande di una stanza da pranzo, e colmo di cespugli bassi e fiori bianchi.
Il soffitto era basso - stando seduti, potevi sfiorarlo con una mano - e composto da un mosaico di vetri colorati.

«È stato il precedente proprietario a costruire questo posto: voleva un luogo di ritrovo sicuro per incontrare la sua amante,» spiegò Uriah, sedendosi a gambe incrociate e guardando verso l'alto, là dove lo splendido cielo lasciava trasparire la luce e una leggera brezza. «Nemmeno i giardinieri conoscono questo posto, per questo le piante crescono incolte. L'acqua e l'aria passano dai buchi nelle vetrate, là sopra. È una costruzione affascinante.»

Sfiorai i petali chiari di un fiore vicino, lasciando, poi, il mio sguardo perdersi nel riflesso colorato di quel cielo fittizio. Piccoli quadrati mi fissavano dall'alto, rubando il calore del sole per donarlo a quel furtivo angolo di paradiso.

Mi scoprii i polsi e il viso, permettendo alla mia pelle di riscaldarsi, e, lentamente, i ricordi iniziarono a pungere il mio petto.

«Ophelia?»

Uriah strisciò verso di me, e sentii la sua voce inclinata dalla preoccupazione. «State bene?»

Mi passai la mano sulla guancia, asciugandomi una lacrima fuggitiva. Comunque, continuai a tenere gli occhi chiusi e a bearmi al sole.

«Polmonite.»

«Polmonite?» Domandò il ragazzo, confuso.

Sorrisi, divertita. «Non ora. Quando avevo dieci anni, mi ammalai di una forte polmonite. Fui l'unica in tutta Salem e nessun medico riuscii mai a capire come avessi fatto ad ammalarmi. Era un mistero, soprattutto perché nessuna cura sembrava funzionare. Un giorno, poi, semplicemente guarii.»

Riaprii gli occhi e ricambiai il suo sguardo, insolitamente serio e cupo.

«Non so perché, ma stare qui mi fa ricordare di quei momenti. È strano, non credete?»

Tacqui sul fatto che non era stato il giardino il vero motivo di quei ricordi, ma l'incontro con il ragazzo della prigione e la notte passata insonne. Ero stata male, seriamente e in modo profondo, e, quel malessere, era stato pari solo a quei giorni di polmonite.

Era un caso insolito, ma massacrante.

«Mi dispiace per essere stato così maleducato con voi,» ammise, cauto: «non dovevo provocarvi.»

Costretta alla realtà, presi un profondo respiro, sedendomi più composta. «Mi avete baciata.»

Uriah strinse le labbra, accusando questa verità con nervosismo e imbarazzo.

«Io..»

«Non era me a cui pensavate,» smascherai, bloccandolo. «Ve lo si leggeva in faccia.»

Lui non confermò né negò, restando in cauto silenzio. Mi chiesi quando avessi iniziato a comprendere i suoi pensieri solo leggendo il suo sguardo, come se Uriah non fosse mai stato quel grande mistero che era parso all'inizio.

Lentamente, avevo scoperto che ci fosse di più.

«Questi fiori sono bellissimi,» cambiai discorso, accarezzando le foglie di una pianta vicina: «magnolie bianche.»

«Sono piuttosto rare in questa zona del mondo,» spiegò lui, cercando di ricomporsi: «sono state importate.»

Ne provai il profumo, lasciandomi accarezzare dolcemente da quella dolcezza. Subito, avvertii la gola bruciarmi e il fiato farsi più pesanti.

Mi allontanai, voltandomi verso Uriah. «Accetto le vostre scuse, Uriah. Sono stata io a chiedervi di conoscere il vostro lavoro e voi mi avete accontentata: non avete alcuna colpa.»

Tirai un sorriso, porgendogli la mano. «Che sia un nuovo inizio.»

Uriah corrugò la fronte, sinceramente confuso da quella situazione. Mi strinse la mano, ed il suo tocco era lieve come una farfalla. «Sembrate diversa da ieri: è successo qualcosa?»   

Scossi le spalle, tirando i lembi del mio abito.

Sentivo i suoi occhi su di me, occhi che bruciavano la mia pelle.

«No, niente di speciale.»

Raccolsi una magnolia e la feci vorticare fra i polpastrelli delle dita. Sospirai, provando a rubare un poco della sua fragile bellezza.

Quella sera, avrei tentato ancora.

Angolo

Bentornati a noi!

Capitolo di calma - finalmente - ma che alza il tiro per il prossimo: riavremo il nostro Hamlet😂

Ci sono tanti misteri ma anche tanti indizi: ne avete scovato qualcuno?

A presto,
Giulia

Ophelia | il cacciatore di stregheWhere stories live. Discover now