«Ragazzina, cerca di stare zitta. Tuo fratello mi ha ordinato di riportati a casa e questo è il mio compito. Puoi urlare quanto vuoi, ma non servirà a nulla.»

Lo fissai con rabbia, sperando di poterlo bruciare con un solo sguardo. Ero così furiosa che mi pareva di essere diventata fuoco.

«Sapete bene cosa mi farà se mi riportate a casa.»

Nessuna traccia di pentimento nacque nel suo volto. Per l'appunto, scrollò le spalle, riacciuffandomi con prepotenza.

«Io sono solo un fattore.» 

Spezzata in due, mi feci trascinare dall'uomo attraverso il centro del paese. Lui camminava serrato, ma notai la sua attenzione sfuggire verso il traffico di cittadini in movimento. La folla si stava diluendo lasciando l'alto patibolo ben visibile ad occhio nudo: un singolo palo, piantato al centro della piazza, circondato da legna secca e carbone.

Era una donna, un'altra. Le vesti le erano state strappate e giacevano a terra, lontane dai carboni. Glieli avevano tolti per sfizio, per toglierle l'ultima vaga e triste traccia di onore.
Spogliata della sua libertà, della sua anima di essere umano, e, infine, del suo corpo.
Quello non era semplicemente uccidere.
Non resta nulla, nemmeno il sangue, ma una vaga traccia di una sagoma che non sa di più nulla di umano.

Quel giorno, di quella vita restavano sole catene in ferro che l'avevano costretta alle fiamme e un ammasso di ossa spolpate.
Era tutto nero, tutto cenere.
E anche se quella che cadeva sopra le nostre teste veniva chiamata neve tutti, in fondo, sapevano che cosa fosse per davvero.
L'anima di una strega.

«La vedi quella?» Chiese il fattore. «Quella è la fine delle donne pazze che scappano. Un giorno, tuo fratello si stancherà di proteggerti e tutti vedranno chi sei davvero: una maladonna

Dicendo questo, si voltò verso di me, mal guardando le lunghe ciocche di capelli rossi fuoriuscire dal mio mantello.

«Brucerai. Come tutte loro.»

Non osai parlare, nel lutto del mio silenzio.
Gli uomini mi incolpavano - ci incolpavano - delle follie in cui erano certi noi li costringessimo. Il mondo andava a rotoli e la colpa era delle donne: noi, incantatrici e viziose, così piene di veleno da far perdere il senno ad un uomo con un solo bacio.

In quel secolo, ci eravamo scoperte streghe, ed io, con i miei lunghi capelli rossi, ero una sudicia macchia nel pudore del paese. Le vedevo - le persone - seguire il mio passaggio con chiacchiere e commenti languidi.
Si dicevano tristi per la morte dei miei genitori ma nessuno mi aveva mai stretto la mano.
Si preoccupavano per mio fratello - ormai l'uomo di casa - che era rimasto solo a domare la furia della sorella capricciosa.
Come al solito, tutti vedevamo ciò che faceva più comodo.

«Signor Rooney! Signor Rooney, siamo tornati!»

Venni spinta oltre la recinzione della mia abitazione e feci appena in tempo a sentire il cancello chiudersi, che la porta si aprì davanti ai miei occhi.

«Ophelia.»

Adam era lì, vestito con i suoi eleganti abiti da povero arricchito. Portava i capelli tirati sulla fronte ed i suoi occhi sottili sbucavano appena sotto le ciglia folte. Mi bastò vederlo per sentire tutto il mio corpo raggelarsi.
Ero come una foglia secca fra le sue dita.

Ophelia | il cacciatore di stregheDove le storie prendono vita. Scoprilo ora