PARTE PRIMA - III

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L'uomo, per sua natura, anela a sapere. Ma quale beneficio può trarre dalla scienza senza il timore di Dio? È più lodabile, anzi, un umile contadino che serva il Signore di un filosofo che, montato in superbia e dimentico di ciò che è veramente, vada studiando i movimenti del cielo, ma trascuri il prossimo. Colui che conosce bene a sé medesimo si disprezza, diffida di sé e non si compiace delle umane lodi; in questa storia verranno dunque tessuti elogi a domine Dio e a quei semplici di nascita capaci non solo di far germogliare e fiorire, ma pure di partorire stelle.

C'è da dire che, nonostante avessi rivolto i miei occhi all'alto, si erano fermati a scrutare incerte nubi in un cielo cupo. L'angelo mi costrinse a guardare oltre e allora si fece chiara l'immagine di una povera donna che veniva sbranata dall'interno. Nessuna parola intelligibile le usciva dalla bocca perché azzannava con tutte le forze del corpo e dell'animo lo straccio di tessuto che le aveva consegnato l'ostetrica. Maledetta strega! Fra i suoi pensieri, non riuscì a evitare di insultarla. L'infuso di erbe e fiori che la vecchia le aveva dato per permetterle di sopportare i dolori del parto si era rivelato inutile. Aveva solo provocato vertigini. Provò la tentazione di addormentarsi – allora forse il dolore l'avrebbe lasciata – , ma una delle vicine le urlò all'orecchio: «Apri gli occhi, Isabelle! Non puoi addormentarti!»

Tornò in sé spaventata e un'altra volta si adoperò per mordere con determinazione il suo drappo vitale.

Allorché fosse tutto finito, avrebbe ringraziato Dio e suo marito Jacques, che le aveva permesso di riposarsi dai doveri domestici non appena il suo ventre aveva reso manifesto un verecondo gonfiore.

Con il pancione ben cresciuto, Isabelle Romée era andata in chiesa a fianco del suo consorte per ricevere la benedizione del sacerdote e quindi si era ritirata nella stanza dove si trovava ormai da alquanti dii. Non si faceva un'idea precisa di quanti ne fossero trascorsi. Da uno scorcio della finestra entrava un po' d'aria fresca. Era per la maggior parte coperta dalla tenda perché l'ostetrica diceva spesso che troppa luce avrebbe potuto danneggiare gli occhi della madre.

Siccome la sua vista funzionava assai bene e, dopo le prime quattro nascite, non era mai avvenuto niente di male nell'ubbidire alle istruzioni della vecchia, era meglio non cambiare nulla. Eppure nei parti precedenti non si era fidata di nessuno dei suoi filtri. Le era venuto il pensiero di essere vittima di veleni ed incantesimi che avrebbero potuto nuocere a lei o ai suoi figli. Ma era talmente stanca di soffrire, così desiderosa di un travaglio meno afflittivo, che aveva accettato la pozione... nondimeno tutto era stato vano. Il dolore era ancor più atroce, al contempo che la realtà attorno alla sua persona parea più evanescente. Vi soggiaceva un mondo di nebbie che intendeva attirarla verso di sé, che esisteva come l'unica cosa in grado di porre fine alla sua sofferenza – ma al costo che scomparisse – e sembrava un essere vivente, simile a una presenza demoniaca che l'avrebbe trascinata in direzione alla seconda morte.

Guardò uno dei crocifissi inchiodati al muro e continuò a mordere con fermezza. In anima sua pregò Santa Margherita, inghiottita dal Drago, ma gettata fuori grazie alla croce che portava seco, di intercedere presso Dio.

Con il caldo che l'assaliva, si sentiva immersa in una zaffata di zolfo, ma avevano spento il focolare dietro sua richiesta. Era vicinissima alla bocca del Drago ed era impossibile percepire l'inverno. Fintanto che non irruppe il pianto del bambino, fragile e ignudo; il freddo gli era sceso dentro: piangeva anche per siffatta ragione.

Uscì dopo l'ultimo morso del Drago, del Serpente che ha fatto condannare Eva e le sue figlie a sì dura pena. Isabelle liberò la bocca dalla stretta e unì il suo pianto a quello del pargoletto. Ringraziò il Signore nostro per il neonato e per le lacrime versate. Benedisse le vicine che erano venute in suo aiuto e pure l'anziana ostetrica, dalle mani rugose ma salde, che le comunicò allora che aveva appena dato alla luce una bambina. Magari non era una fattucchiera, tanto che prima di prendere congedo, depose in una scodella il cordone ombelicale, ch'è un qualcosa di molto ambito dalle streghe.

«Vado a chiamare il padre» disse, e Isabelle, ansante, annuì, sistemò la testa sul cuscino e distese le gambe.

Alfine gli uomini avrebbero potuto entrare.

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