1: The beginning

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Fin dalla mia nascita avevo l'impressione di non sapere qualcosa, qualcosa di davvero importante e ciò mi portava a chiedere in continuazione ai miei genitori delle risposte che però loro evitavano di darmi

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Fin dalla mia nascita avevo l'impressione di non sapere qualcosa, qualcosa di davvero importante e ciò mi portava a chiedere in continuazione ai miei genitori delle risposte che però loro evitavano di darmi.
Tutto ciò continuò per anni, la mia curiosità venne vista come una stranezza dai miei coetanei, i quali preferirono di gran lunga allontanarsi per non avere problemi con me. Pensate che girò perfino la voce che io fossi pazza.
In effetti non gli davo torto, non facevo niente di ciò che facevano i bambini della mia età.
Non giocavo con le bambole, non uscivo con gli amici, non mi truccavo, non mi interessavano i giudizi dei ragazzi. A me interessava leggere.
Credevo che nei libri ci fosse una risposta ai miei dubbi, qualcosa che magari altri ricercatori avevano trovato ma che i miei genitori volevano nascondermi. Iniziai a leggere così tanto che feci amicizia anche con la bibliotecaria della mia scuola, essendo che quotidianamente, ad ogni ricreazione, andavo a trovarla con, tra le piccole mani, un suo libro.
Studiai di tutto ma ci fu una cosa in particolare che attirò la mia attenzione. Teletrasporto.
Nessuno era mai riuscito a teletrasportarsi, magari avevano creato delle ipotesi, avevano fatto esperimenti ma mai nessuno si era teletrasportato.
Chiesi anche a mio padre, scienziato da quando nacqui. Lui però era fin troppo riservato, non mi parlava, non mi dava attenzioni.
Magari poche volte, quando prendevo buoni voti a scuola, per esempio, mi faceva dei complimenti, ecco. Ma nulla di più.
Mamma mi ha sempre detto che è così da quando si sono conosciuti, taciturno, solitario.
E poi, gli unici momenti in cui lo vedevo erano all'ora di pranzo e a ora di cena, ma non ci pensava due volte a prendere il piatto di cibo e andare nella sua stanza.
Come faceva a stare sempre e solamente chiuso lì? C'era solo un letto, un armadio, nulla di particolare.
E si, magari in questo momento state pensando ad uno strano laboratorio segreto sotto il letto, magari dentro l'armadio.
Ma no. Dentro l'armadio non c'era Narnia ma solo tante magliette e sotto il letto non c'era l'entrata per un laboratorio ma insetti morti e tanta polvere.
E se i miei genitori si lamentavano della mia curiosità, il loro non darmi risposte mi stava solo dando corda.
Insomma, strana come sono, dalla mia nascita ad adesso, che ho quattordici anni, non ho mai avuto amici se non alcuni bidelli della scuola, molto dolci devo dire.

Ritornando a noi.
Era un sabato pomeriggio, ora di pranzo era passata e i miei genitori si stavano preparando per andare ad una "festa tra colleghi", avevano detto.
Erano più eleganti del solito, mio padre in poco tempo era già dentro l'auto ad aspettare mia madre, la quale prima di uscire mi diede un dolce bacio sulla fronte, mormorando un «non fare casino mentre non ci siamo, Iris».
Io annuì, non ero una bambina, sapevo tenere una casa intatta per qualche ora.

Loro se ne andarono, dandomi il via libera per correre nella mia stanza ed uscire da sotto il letto il mio zaino e un quaderno azzurro.
Avevo scritto lì tutto ciò che notavo nei miei genitori, tutto ciò che sentivo delle loro conversazioni. Capiamoci bene, ero interessata più a mio padre, lui mi batte in stranezza.
Prima di andare nella stanza dei miei genitori, però, andai a cambiarmi.
Indossai una felpa grigia con dei jeans neri, mi guardai allo specchio e sospirai alla mia vista.
Non mi piacevo tanto.
Avevo i capelli marroni e lunghi, una frangetta sulla fronte che avrei desiderato tagliare, guance paffute --per mia sfortuna-- come le labbra, naso all'insù e occhi verdi, l'unica cosa bella che vedevo nel mio viso.

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