«Ma era lei a guidare la sommossa contro Calloway!» strillai, allibita e confusa.

«Ma certo, era il mio dovere da sindacalista! Non sono mai stato un buon capo, ma non sono uno stupido: so leggere e scrivere e questo può fare la differenza quando si tratta di parlare ad una massa di operai ignoranti ed analfabeti. È facile manipolarli, sobillarli contro il padrone che ha ingiustamente incarcerato un nostro compagno. La mia presenza in quella piazza non era solo sensata ma si è rivelata anche necessaria, vista la sua inopportuna comparsa!»

«Immagino quindi che sia stato lei a dare l'ordine di eliminarci!»

«Erano settimane che cercavamo di attirare Price lontano da casa sua e non ci potevo credere quando lo vidi in piazza... Insieme a lei. L'avevo sottovalutata, lo ammetto, e quando la vidi entrare nella fabbrica con Calloway capii che quell'errore avrebbe potuto far saltare l'affare: dopo la morte di Jefferson io e i miei soci eravamo parecchio nervosi e ho agito d'istinto. Purtroppo con quel poco preavviso non sono riuscito a trovare che un dilettante, che si è fatto prendere dal panico quando ha visto i gendarmi lanciarsi al suo inseguimento. Ma penso che sia comunque riuscito nel suo intento. Come se la passa Price?»

"Non sanno che era con me in quel quartiere! Se ha un po' di sale in zucca correrà a casa di Tony e non lo troveranno!" pensai, con un moto di sollievo che nascosi alla perfezione.
«Sopravvivrà.»

«Non a lungo, temo!» sghignazzò Clarke, avviandosi verso la porta. «I miei soci hanno perso la pazienza per giocare ancora al gatto e al topo: l'ordine è di sparargli a vista, ovunque si trovi!»

Quelle parole mi fecero inorridire, ma sotto l'arroganza e la soddisfazione avvertii qualcos'altro:
«Lei ha paura, vero, signor Clarke?»

L'uomo si irrigidì e si voltò nuovamente verso di me con i lineamenti tirati dalla sorpresa.
«Cosa sta farneticando?»

«Lei ha ragione: né io né Mark siamo bravi a comprendere la vera natura delle persone. Nostra madre ci ha però insegnato a leggere le loro emozioni. E lei ha paura di essersi spinto troppo oltre.»
La mia voce assunse un timbro sinistro che echeggiò lungo le pareti umide della nostra prigione.
«Ha vergogna di ciò che ha fatto. Altrimenti perché sarebbe qui, a parlare con me?»

Le dita di Ezra Clarke allentarono il colletto della camicia con gesti frenetici e i suoi occhi guizzarono angosciati e come impazziti da una parte all'altra. Poi, però, l'operaio riacquistò una parvenza di compostezza e si inoltrò verso il corridoio fiocamente illuminato.
«Sbaglia a pensare di conoscermi. Questo è solo un addio, signorina Walker, perché quando la vedrò di nuovo, lei non sarà più tra i vivi.»

***

La tensione delle ore successive fu acquietata solo in parte dall'arrivo di un uomo che ci servì malamente da mangiare: sebbene un tozzo di pane potesse fare poco contro i crampi del mio stomaco, quella presenza arcigna mi confortò.
"Se ci nutrono vuol dire che sono ben lontani dal prendere Connor. C'è ancora speranza!"
L'altro aspetto positivo fu che finalmente Barbara venne liberata del bavaglio ed il nostro carceriere non ritenne necessario metterglielo di nuovo prima di andare via. La ragazza aspettò che lui fosse andato via, prima di lasciarsi andare ad un'isterica litania di imprecazioni che mai mi sarei aspettata sulla sua bocca.
Quando finalmente si fu calmata, rivolse verso di me gli occhi castani rossi per il pianto:
«Stai bene, Lizzie?»

«La testa mi gira, ma più per la fame che per la botta che mi hanno dato. E non sento più le braccia... Tu?»

«Più o meno lo stesso, tranne per il fatto che ero ben cosciente mentre mi portavano qui.»

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