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La settimana successiva trascorre senza particolari colpi di scena.
Come sempre i primi cinque giorni di ogni nuova settimana mi fanno sentire come intrappolata in un arco spazio-temporale fuori dal mondo.
Li vivo come se fosse tutto a rallentatore, come quei film vecchi che si proiettavano nei cinema di una volta e ho sempre come l'impressione di guardare la mia vita da fuori e di non viverla veramente.

Ogni tanto mi chiedo se il problema sia semplicemente io, che non riesco mai a essere soddisfatta di niente, o se invece è la vita che ho scelto e il mio lavoro che sono troppo distanti da me.

Secondo i miei, ovviamente, il problema sono io che a loro dire non ho ambizioni e non mi impegno abbastanza per raggiungere dei veri traguardi nella vita.

Me li sento già che dicono: "Emily cara, ma non hai voglia anche tu di vederti finalmente realizzata? Guarda la figlia di..", e inizierebbero a elencarmi nomi di figli perfetti di qualche conoscente che probabilmente non sentono da chissà quanto tempo.

Di certo comunque loro mi avrebbero voluta laureata in medicina con il massimo dei voti, con una carriera brillante davanti e meno problemi di cuore.

E invece sin dai tempi di pannolini e biberon davo ai miei genitori di che preoccuparsi in continuazione. Dalle notti in cui non li facevo dormire perché piangevo sempre, a quando poi non piangevo solamente se ero tra le braccia di mamma. Ma se provava a mettermi nella culla o semplicemente a lasciarmi tra le braccia di qualcun altro ricominciavo da capo con pianti e urla che la facevano impazzire.
Come se, già da piccola, avessi il terrore di essere abbandonata perché non ero abbastanza.

Anche l'asilo è stato un trauma. Lei mi accompagnava ogni giorno e fin lì tutto ok, ma appena si voltava per andarsene urlavo così forte che dopo un po' nemmeno le maestre mi volevano più e lei doveva tornare indietro a prendermi.
Solo a casa mi calmavo e smettevo di urlare.

Alle elementari la situazione non era cambiata di molto. Non piangevo più, quello certo, però non parlavo molto, rimanevo sempre in disparte senza farmi degli amici o giocare con nessuno. Questo mi ha poi portata fino alle medie a essere bullizzata da ogni compagna di classe più carina e spigliata di me.

"Emiiiily sei proprio stupida!", mi dicevano.

Ma io non ero stupida, nonostante i miei avessero creduto in più di un'occasione che avessi qualche problema, portandomi anche da un paio di psicologi che mi rimandavano a casa dicendo ai miei che ero solo timida.
Ma non era nemmeno per quello che non socializzavo, solo che non mi piacevano le persone e mi tenevo alla larga da loro.

Non mi fidavo, avevo sempre paura che qualcuno volesse farmi del male. Solo gli animali mi piacevano e accarezzavo ogni cane e gatto che incontravo in giro quando mamma e papà mi portavano a fare le passeggiate.

Al liceo poi le cose hanno iniziato a migliorare quando ho conosciuto Clarissa, una bella ragazza con gli occhi del colore del cielo e quegli occhiali da vista troppo grandi per il suo viso che le davano sempre un'aria molto buffa.

Una mattina a metà del secondo anno è entrata nella nostra classe dopo che i suoi genitori si erano trasferiti dall'Irlanda per via del lavoro del padre. Si è seduta nel posto libero di fronte a me, in prima fila, dove nessuno voleva stare per non essere troppo vicino agli insegnanti e anche per non simpatizzare con la ritardata della classe: io.

Ma Clarissa questo non lo sapeva e mi si è seduta affianco ignorando le risatine dei compagni che riuscivano sempre a essere troppo perfidi anche quando non ne avevano motivo.

"Ciao, sono Clarissa! Vengo dall'Irlanda, sai mio padre per lavoro deve viaggiare molto.. Bello il tuo maglione.. Come ti chiami?"

E così Clarissa era diventata la mia unica amica. Ai miei non sembrava vero di vedermi finalmente parlare con qualcuno della mia età e non, come ero solita, con i vecchietti nella bakery vicino a casa dove andavo a studiare.

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⏰ Last updated: Jan 17, 2023 ⏰

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