Regressione e progresso take 2

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Guidai con il mare alla mia destra, grigio e verde, con onde spumeggianti che baciavano la riva con energica passione. Il cielo era vagamente giallastro, pronto a piovere acqua e sabbia.
Mi fermai per sgranchirmi le gambe, in una stazione di servizio. Feci uno spuntino e sedetti per un po a guardare pigro il transito di veicoli e persone ma dopo un grande sbadiglio mi alzai e tornai alla macchina.
Accesi lo stereo e la musica riempí l'abitacolo con forza.
La mia testa era in stand by, incapace di concentrarsi su un pensiero continuativo. Si intrecciavano ricordi recenti e lontanissimi, desideri irrealizzabili e progetti che boh...chissà. Il grande errore era pensare a Serena come ad una donna e non come ad una amica. I suoi capelli rossi, gli occhi verdi di smeraldo, la pelle bianca dipinta di lentiggini e il resto beh,..molto meglio non pensarlo. Donne e uomini amici...gran cazzata, davvero grossa, immane, supermegagalattica!
Mi passai la lingua sui denti e scossi appena la testa, come per scacciare il pensiero di lei e per non voltarmi a guardare verso Esther o verso la mia fuga disordinata.

Roma, vasta e brulicante, si estende davanti alla grande finestra della mia stanza d'albergo al quindicesimo piano. Dopo una doccia, me ne sto, svestito, a sentire musica. Mi stendo sul letto, assonnato, mentre il pomeriggio avanza lento.
D'improvviso squilla il cellulare..Serena:"...hmm ciao Serena..."
"Ciao ma che voce hai? Dormivi?
"Se ti confesso subito di si mi dai uno sconto di pena?"
"Che sei cretino lo so, ma questa battuta fa pietà. Senti piuttosto, io sono in pausa e finirò verso le sei e mezza, sto in centro da un cliente, dove ci vediamo?"
"Hmm fammi pensare...io voglio farmi una passeggiata...direi che piazza di Spagna, sulle gradinate è un'idea".
"Si può fare. Ci si vede li allora. A dopo".
Richiudo gli occhi e mi rigiro. Sono le 17 e qualcosa...tanto vale uscire.
Cammino per strada in un flusso di persone, solo in un fiume di vita. Muovo lo sguardo tra i turisti, i romani, i palazzi e le macchine. Vicino a Piazza di Spagna vedo un bar carino. Entro ed al banco c è una ragazza castana coi capelli lisci, raccolti, occhi azzurri di ghiaccio, pelle chiara, una bocca un po' sottile col rossetto. È bellissima. Indossa una leggera camicetta nera sopra un seno piccolissimo. È bellissima. Ordino un caffè shakerato e la guardo mentre lo prepara. È gentile e sorridente, starei li per sempre. 
Sorbisco piano il caffè e sgranocchio i cubetti di ghiaccio lentamente per prolungare quell'incantesimo semplice, banale forse, ma intenso.
A malincuore torno nel rumore e sbircio le vetrine, svuotandomi la testa e respirando lei, Roma, la più bella di tutte.

Camminando piano arrivo a monte delle scale. Guardo in basso il mare di persone. Scendo fin dove mi è possibile, indosso gli auricolari ed una compilation di brani vecchi e nuovi comincia. Scorrere. Guardo le terrazze, i negozi, la carrozza che porta una giovane coppia a fare un breve giro intorno al centro.
Li, seduto, i miei occhi cominciano a tracciare una rotta zigzagante tra le persone. Sono incapace di resistere alla ricerca del bello. Si sta bene qui.
Una donna verso i cinquanta cammina a poca distanza da me, indossando un tailleur ocra ed una borsa in tinta. I capelli castani, lisci, fino alle spalle, occhiali un po' severi. Camina decisa, seria e va, lontana, nella folla.
Una giovane bionda, occhi chiari, viso incantevole, non sento che lingua parla, ma ride con gli amici e dietro di loro una ragazza giapponese con pantaloni larghi e capelli a caschetto osserva tutto con sguardo rapito.
Vicino a me una famiglia con due gemelli scherza sorridendo e mi trasmette una gioia diversa, nuova.
Il mio sguardo torna sulla piazza e vedo una figura nera come la notte, elegante, che sale le scalinate vicino a me. Pelle liscia come seta, capelli corti, occhi luminosi e senza fine. Silenziosa e ammantata di bellezza, se ne va, pure lei, alle mie spalle. Chiudo gli occhi e spengo l'iPod. Sospiro passandomi le mani sul volto. Mi chiedo perché sono fatto così. Come sempre la risposta tarda ad arrivare.
Alzo lo sguardo e vedo una mano che si agita..Serena!
Mi alzo e scendo verso di lei. Capelli sciolti, occhiali blu e tailleur nero.
"Ciao uomo errante! Come stai? Errante non tanto perché viaggi, ma perché fai tanti errori. Hihihi".
"Anch'io sono felice di vederti ma se l'esordio è questo...meglio ricordare com'eri tre anni fa e lavoravamo insieme"
"Cazzarola che senso dell'umorismo! Non si puo scherzare?"
"Ma dai, su. Piuttosto dimmi di te. Che fai qua a Roma?"
"Devo seguire un progetto formativo per un'azienda di servizi. Sto in un hotel vicino al Quirinale. Bello, molto..tu?"
Io sto a una quarantina di minuti da Piazza di Spagna. Bello ma un po' distante dai punti più belli del centro, ma va bene. Quanto resterai qui?"
"Ma, 4 o 5 giorni circa, poi tornerò a Genova per un po'. Tu invece?"
"Domanda di riserva?"
"...ma stai bene? Voglio dire...cioè, non sono fatti miei ma...come mai sei ...si insomma, hai capito"
"Si che ho capito, ma perdonami Sere, non voglio parlarne perché cioè...entro in una cosa in cui non so..parliamo d'altro?"
"Si, non ti preoccupare. Sono le sette e mezza. Ci facciamo un aperitivo?"
"Se offri tu, anche due!"
Serena mi prese sottobraccio e mi condusse verso un caffè dove andava spesso quando veniva a Roma.
Sentire il suo contatto mi irrigidi e mise a disagio. Lei non se ne accorse e quando sedemmo all'aperto con due spritz e salatini, ci lasciammo carezzare dal venticello levatosi fresco sulla città. In silenzio stavamo uno di fronte all'altra. Serena ruppe quella siruazione:"ti piace Roma? Io la adoro".
"Si Serena, é bellissima, é un posto senza ... senza paragoni"
"Io ho fame ragazzo, tu no?"
"In effetti si, ragazza..cosa proponi? Io un'idea ce l'ho ma voglio sentire prima la tua" le dissi sorridendo.
"Beh beh che galanteria! Comunque io andrei al Ghetto, ci sono vari posti con ottima cucina".
"Sottoscrivo rossa! È esattamente quello che avevo in mente".
"Ma tu col mondo ebraico sei in fissa!".
La guardai in un modo che la mise a disagio.
"Cioè, intendo in senso positivo, ti interessa, sei preso e poi quella rag..."
"Serena..basta".
"Scusa...davvero..."
"Dai andiamo a prendere un taxi. Ho voglia di agnello e carciofi alla giudia, sono filosemita io".
"Oh e dai, non farmela pesare.."
"No, ma la vendetta si consuma lenta" ghignai in un finto fare malevolo.
"Prendiamo sto taxi, va!"
Dopo circa dieci minuti arrivammo al Ghetto, brulicante di turisti. Appena fatti i primi passi in quella strada le lacrime mi sgorgarono e finsi starnutire. Serena non ci fece caso e mi condusse a uno dei ristoranti dove sedemmo a un tavolino. Chiacchierammo e cenammo in una atmosfera rilassata e piacevole, ricordando i momenti più divertenti della nostra esperienza lavorativa comune, l'amicizia che ci legava, la simpatia che provavo per il suo ex compagno. Le ore trascorsero piacevoli.
Serena guardò il cellulare e poi me:"sono già le dieci e mezza! Domattina ho una riunione alle otto. Ho bisogno di essere riposata, oggi é stata una giornata intensa".
"Si, capisco, sono stanco anch'io...certo meno di te, ma voglio dormire. Paghiamo e prendiamo un taxi, abbiamo gli hotel lontani, facciamo una corsa sola".
"Si, ok"
Saliti nell'auto sprofondammo in uno strano silenzio. Serena si perdeva a guardare dal finestrino mentre io guardavo lei o il cruscotto del taxi. Ambedue cose inutili.
Quando la macchina si fermò sotto l'hotel di Serena ci salutammo un po' frettolosamente. Non posso dire che ci rimasi male ma forse era incongrua come cosa. Bah! Le donne non erano il mio forte, figurarsi capirle.

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