Gula

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Dal suo petto fuoriuscivano fiori coccolati dalle spine. Sbocciavano come Zinnie in piena estate.

Le avevano tagliato il fiato.

Della pioggia acida distruggeva ciò che di più bello era rimasto.

Dietro di lei, sul tappeto era poggiato un pugnale unto di sangue. Sangue di un giovane uomo, straziato, dalla gola massacrata.

Quale miseria.

Quel tappeto valeva oro. Una macchia del genere non sarebbe mai andata via. Intrecciato manualmente in un piccolo e modesto botteghino iraniano, era stato spedito su di una carrozza in mogano.
Povera donna  colei che ci lavorava.
Tesseva per sfamare, morì di fame.

La fame.
I suoi modi vi inseguono. Non ne potete fare a meno. Ma come potreste in fin dei conti. Dovete pur vivere no?
Chiamatela vita.
Nessuno ha pianto per quella povera tessitrice. Non le era rimasto nessuno.
Nessuno ha pianto per quell'uomo pugnalato.
Il suo corpo non fu mai rinvenuto.

Cos'hai intenzione di infilarti in bocca stavolta? Chiedeva annoiato.

Badate a non fraintendere i sensi. Il diavolo sarebbe stato esplicito se solo lo avesse voluto.

Noia.
Proprio così. Era tormentato dalla noia. Parlare ad un corpo vuoto non era certo uno dei suoi passatempi preferiti.

Anche il serpente sa provare sensazioni così umane.

Ma torniamo ai fiori.
Fiori per eufemismo, certo;
nascevano da ogni dove. Sbocciavano dal petto. Lo stomaco invece, era pieno di semi. Radici su radici circondavano il suo collo.
La sua gola.
La gola di una sporca peccatrice. Assassina.

Bella anche soprattutto per questo agli occhi del diavolo. Così pura nella sua impurezza.

Essere empio.

Prende tutto e lo divora. Non importa cosa sia. Va divorato senza se e senza ma.

La pioggia batteva crudele sulle loro teste. Il tetto era bucato.

Del tuo corpo rimarranno solo fiori. È tempo che tu faccia sbocciare ciò che hai raccolto. Trangugiati i semi ti aspettano le radici.

La ballata del Sesso, del Cibo e della MorteWhere stories live. Discover now