Capitolo 29 - Ettore/Eva, Settembre 1989

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Lei si incurvò sotto di lui, le dita che le carezzavano la schiena tesa come un arco pronto allo scocco. 

Ettore trattenne per qualche istante il piacere, che poi si dipanò dai suoi occhi a quelli appannati di Eva. Era bellissima nell'attimo del godimento: sensuale da perdere il senno e dolce come un bocciolo a primavera. Non c'era più quella smania iniziale data dagli ormoni adolescenziali. Sotto il suo corpo sudato giaceva ora una donna consapevole e forte della sua fisicità.

Fu investito dal suo respiro caldo e struggente.

La magia sessuale del tantra li aveva intrecciati come maglie di una cotta metallica, in cui il corpo non era più una restrizione, ma piuttosto un veicolo per l'energia. Guardavano in faccia il vero dell'altro, nudo e potente, proprio come accadeva nel viaggio astrale, ma questa volta librando a una vibrazione vertiginosa.

Ettore la fece smarrire di nuovo in un labirinto di tocchi morbidi e baci umidi; non perdeva l'erezione ormai da tre ore, nonostante l'orgasmo l'avesse intrappolato più volte nelle sue spire. Scivolò dentro di lei come se fosse fatta di burro fuso. Eva usò i muscoli del perineo per cingergli il membro ed esercitare piccole e mirate pressioni che lo fecero impazzire. L'energia correva dall'uno all'altro tramite gli occhi e gli organi sessuali, crescendo a ogni passaggio. Tutto lo spazio della stanza era impregnato di loro

Il suo seme si riversò addosso a Eva, come l'urlo roco che gli aveva grattato la gola. Lei ne asportò quanto più poté dalla pelle lucida di sudore e si leccò le dita, per recuperare dai liquidi l'energia che aveva disperso. Ettore le afferrò la mano togliendogliela dalle labbra, ancora piegate in una linea ferina, e la sostituì con la sua bocca, che, allo stesso modo, non si era ancora scaricata di desiderio.

Ricaddero sul letto uno di fronte all'altra, i capelli un'unica massa bionda che sfiorava il viso di entrambi. Le sue mani tardavano sul mento volitivo e sul collo affusolato di lei.

"Ti amo, Ettore."

Le sue labbra si schiacciarono brevemente l'una sull'altra e le dita arrestarono la loro corsa sulla pelle.

No Eva, non farmi questo, per favore.

I polmoni si bloccarono nella loro espansione. Tutto il suo corpo era una fune tesa che affacciava sul baratro, la sua mente un equilibrista che avanzava vacillando.

Avrebbe potuto risponderle che l'amava anche lui, che lei era una carezza benevola sul suo viso tumefatto e che quello che avevano era bellissimo e speciale. E allora perché non lo fece? Le pensava davvero quelle cose o a parlare era la scia dell'estasi che tardava a sbiadire?

Riprese a vezzeggiarle il collo con le dita e le depositò le labbra sulla fronte accaldata. Percepì l'avvilimento di lei dal cambiamento del suo respiro e dal modo in cui deglutì, senza nemmeno aver bisogno di guardala. Si fece ribrezzo per quel gesto di patetica consolazione, ma non riuscì a fare altro.

Scusami. Scusami.

Per un momento credette che Eva si sarebbe arrabbiata o sarebbe scappata.

"Mangiamo qualcosa? Mi è venuta fame", esordì lei, invece.

Si lavarono insieme e si rivestirono in silenzio. Consumarono poi uno spuntino a base di crackers e formaggi preconfezionati. Gli occhi di Eva lo rifuggivano come fosse stato la folgore abbagliante di Zeus.

"Ettore, sai quella sensazione di familiarità che ci prende ogni tanto quando siamo insieme?" Eva teneva lo sguardo fisso sulla fetta di Emmental nel piatto. "Ecco, io penso che dobbiamo partire da qui. Aggrapparci a ogni più piccola immagine, emozione, ricordo che ci attraversa. Per esempio, la tua cicatrice", vi puntò contro l'indice, "sono certa che sia la chiave di qualcosa."

I Figli di BeltaneWhere stories live. Discover now