Le Divise

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Non li aveva visti, all'inizio.

Aveva notato l'espressione tesa di Peter, quella sì. Aveva osservato la ruga che gli si era disegnata sulla fronte, le occhiate leste e furtive che lanciava oltre la vetrina, sulla strada.

«Che succede?», gli aveva chiesto.

Peter non aveva risposto. Si era limitato a guardarla, il volto rabbuiato, e a scuotere la testa. Un cenno che non diceva nulla, e che diceva tutto. Abbastanza eloquente da farle capire che non era il caso di fare altre domande. E si era ben guardata dal farlo.

Pochi clienti, quel giorno. E frettolosi, silenziosi. Senza la solita loquace cortesia di Peter. 

Poi li aveva visti. Erano due uomini con una divisa nera. Attraverso la vetrina, li aveva visti entrare nel negozio di fronte alla strada, nella fioreria della signora Keller. Peter si era bloccato. Era rimasto immobile, come se avesse perfino temuto di respirare, gli occhi fissi sulla porta del loro negozio.

Li avevano aspettati. Sapevano che sarebbero venuti da loro, che era giunto il loro turno. Eppure, il cuore di Gerda aveva perso un battito, quando aveva sentito tintinnare il campanello sulla porta.

Erano davvero due uomini. Alti, i volti seri. Non avevano nemmeno salutato, entrando, sebbene Peter si fosse affrettato a dar loro il buongiorno.

Avevano dato uno sguardo al negozio, alle sigarette e alle borse di tabacco allineate sull'espositore, a Peter e a Gerda. Poi gli occhi si erano fermati, per un istante più del dovuto, sul ritratto appeso alla parete.

«Heil Hitler!», avevano esclamato entrambi gli uomini in divisa, il braccio destro alzato.

Peter non si era scomposto. «Heil Hitler!», aveva ripetuto, lo stesso identico gesto, come in uno strano gioco di specchi.

«Avete un bel posto, qui», aveva commentato uno dei due, il più alto.

«Grazie, signore».

Gerda non aveva parlato. Non era il suo ruolo, parlare. Era rimasta un passo indietro rispetto a suo marito, in silenzio, le mani strette dietro la schiena, la testa china in avanti.

Aveva paura.

E anche Peter.

Se lo avesse conosciuto meno, forse, non se ne sarebbe accorta. E invece c'era qualcosa, in lui - il tono della voce leggermente più stridulo, la parlata appena più rapida - che faceva intuire quanto quella visita lo sconvolgesse.

Ne erano corse tante, di voci, negli ultimi giorni. Aveva detto Frank Schmidt - il Frank Schmidt della cooperativa, te lo ricordi, Gerda? - che due uomini in divisa erano entrati nel negozio degli Stern, quello vicino alla farmacia, e avevano fatto a pezzi vetrina e bancone. Avevano portato via tutto, senza che fosse possibile opporsi. E negli occhi di Peter c'era un terrore sordo, un sentimento misto d'impotenza e rassegnazione. Lo stesso sentimento che Gerda sentiva strisciare su per la schiena, che la portava a chiedersi cosa ne sarebbe stato di lei - di loro - se quegli uomini avessero deciso di fare lo stesso anche in quel momento. Distruggere, portare via tutto.

«È sua moglie?», aveva chiesto l'uomo in divisa, indicando con un cenno della mano Gerda.

Gerda aveva sentito un brivido gelido scuoterla. Aveva abbassato lo sguardo, d'istinto, si era ritrovata a fissare il pavimento, come se fosse bastato a portarla altrove. Magari sapevano. Sapevano di Meyer. Sapevano che Meyer era un ebreo. Il cuore le batteva forte nelle orecchie, nella gola, nel petto. Era sudata.

«Sì, signore», aveva risposto Peter. E aveva esitato un istante, prima di capire esattamente cosa avrebbe dovuto dire. «Una brava moglie tedesca, signore, membro della Frauenschaft».

I due uomini in divisa non avevano risposto. Non li aveva guardati, Gerda - lo sguardo ancora immobile sul pavimento, concentrato su una briciola su una delle piastrelle -, ma aveva sentito lo scricchiolio delle suole di gomma dei loro scarponi, il tonfo attutito dei loro passi. Sembrava che si stessero ancora guardando intorno.

«Vedo che è tutto a posto, qui», aveva commentato uno dei due, sempre il solito, quello alto. «Adesso le cose cominceranno a funzionare in modo diverso, qui. Ci siamo noi, fuori, adesso. Cercheremo di fare in modo che non succeda nulla di male ai negozi dei tedeschi, che non ci sia quella concorrenza scorretta da parte degli altri».

Concorrenza scorretta? Ma non aveva avuto il coraggio di parlare. O forse non era nemmeno una questione di coraggio. Sapeva che non avrebbe dovuto parlare. Era ignorante, lei, degli affari e delle cose del mondo. Era tutto a posto, da loro. Peter non era una persona scorretta. Peter non avrebbe mai fatto niente di scorretto. E a loro non sarebbe successo niente. Nessuno avrebbe distrutto il bancone, nessuno avrebbe tolto loro ciò che possedevano. Non avevano fatto nulla di male, nulla di sbagliato.

Peter si era spostato verso la vetrinetta del tabacco - il suo movimento aveva immediatamente allertato i due - e aveva preso due pacchetti di sigarette, quelle buone.

«Prego, signori. Per Hitler...»

Poi il campanello aveva tintinnato di nuovo, e la porta si era richiusa.

Gerda aveva avuto l'impressione di poter finalmente tornare a respirare. Aveva preso e ripreso fiato, più volte, lentamente. Aveva percepito Peter avvicinarsi, aveva sentito il calore del suo braccio - rassicurante, tanto rassicurante - intorno alle spalle.

«Non preoccuparti», le aveva detto, a voce bassa, bassissima. «Hai sentito cosa hanno detto, no? Qui è tutto a posto».

«Tu non fai concorrenza scorretta. Noi non facciamo concorrenza scorretta», aveva risposto, confusa, ancora sconvolta.

«No, noi non la facciamo. E qui va tutto bene. Hai sentito? Abbiamo un bel negozio».

«È vero, è un bel negozio».

«E va tutto bene».

«Davvero ci saranno loro, fuori?»

«Penso di sì. Ma non è una cosa di cui aver paura. Loro controllano che tutto vada bene. È un bene. Basta furti, basta disordini».

Aveva senso. Sì, aveva senso. 

GerdaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora