La vita manda i segnali e sa essere chiarissima. Avrebbe dovuto ascoltarla prima e tornare alla base. Tanto aveva capito com'era David, molto prima di mettere piede a Los Angeles.

"Se vuoi conoscere la vera essenza di una persona, osserva come tratta i suoi genitori".

Come spesso accadeva, Mohamed parlava poco ma aveva sempre ragione. Lei aveva preferito non ascoltare la vita, non ascoltare gli amici, scendere negli inferi e conoscere la disperazione. Da quel momento, con la valigia che si sarebbe presto trasformata in macigno, non avrebbe potuto fare altro che risalire. Non aveva idea da che parte iniziare, ma qualcosa dentro di sé le suggeriva che ce l'avrebbe fatta. Sentiva una certezza che somigliava sempre più a un colore.

Sarebbe tornata a casa. Lo decise quella notte, sarebbe tornata da sua madre, da Michela, da suo padre. Dai suoi amici.

* * *

Il primo volo disponibile, compatibile con il suo biglietto di ritorno aperto un anno, era datato diciotto novembre. Dieci giorni e sarebbe tornata a casa.

Un ritorno che le incuteva un gran timore; non è facile tornare a una vita che si è troncata di netto. Paventava di non trovare più le cose come le aveva lasciate. Per lei il tempo in Italia si era arrestato quel diciannove giugno; si sentiva un po' come uno spirito il cui corpo è appena defunto e trasmigra in un altro dove. Il tempo, per esso, si è fermato quel giorno.

Forse per questo alle anime non è concesso di tornare... se si accorgessero che il mondo è andato avanti anche senza di loro, si dannerebbero. Questo la preoccupava parecchio. Non sarebbe stato facile tornare alla vita.

Trascorse quelle ultime notti vagando per la camera da letto, proprio come un'anima in pena che sta per tornare. Cercava conforto nelle immaginette allineate sul comò. Si soffermava sempre sulla sua preferita: quella di sua madre e suo padre abbracciati sul lago di Como. E poi su sua nonna che non era stata costretta a tornare e scoprire che la vita sulla terra scorreva anche senza di lei. Pensò a sua sorella che le aveva regalato quella statuetta spagnola. Rosa non poteva saperlo, ma Michela le aveva salvato la vita donandole un po' della sua.

Immaginava la sua famiglia a letto, in procinto di svegliarsi per andare a lavorare, e lei li abbracciava col pensiero, e si consolava sentendosi a un passo da loro. L'orario italiano non l'aveva mai abbandonata, per tutti quei mesi aveva vissuto in un doppio tempo, in un doppio spazio. Non pensava che la sua vita le sarebbe mancata tanto. Le mancava soprattutto il sorriso di sua madre, la sua voce al mattino quando la svegliava con la colazione calda sul tavolo. Era questo che aveva mandato fuori di testa David, che dal giorno seguente a quella terribile notte aveva cominciato a struggersi e implorarla di restare, in nome del loro Amore. Di quell'Amore che li aveva spinti a fare un passo così grande, ma che avevano lasciato bruciare al vento.

Da tanto tempo non gli sentiva pronunciare quella parola. Lui le rivolse la stessa accusa, e aveva ragione. Da troppo tempo non parlavano più di nulla, soprattutto non parlavano nel linguaggio dell'amore.

Rosa rifletteva su quei discorsi e rideva pensando allo struggimento diurno di David, mentre di notte, mentre dormiva, non faceva che invocare una certa Diana.

Non sarebbe cambiato mai. Era un irrimediabile grigio, prossimo al nero.

L'ultimo giorno osservò il muso lungo e gli occhi tristi di David. Si chiese dove fosse finito l'essere meraviglioso che l'aveva spinta a trasferirsi tanto lontano. Si domandò se fosse mai esistito un uomo del genere o se invece se lo fosse inventato.

Per la prima volta da quando avevano messo piede a Los Angeles, trascorsero l'ultima notte abbracciati, come si fa quando ci si lascia per sempre. Nonostante fossero così vicini, appena Rosa chiudeva gli occhi lo sentiva lontano. Non sentiva neanche le sue braccia appoggiate sui propri fianchi. Ogni volta che chiudeva gli occhi sentiva una vertigine di fronte al vuoto cosmico che li separava. Appartenevano a due mondi diversi, come aveva potuto non accorgersene prima?

* * *

L'ultima mattina a Los Angeles, Rosa si svegliò col profumo di caffè; David si era svegliato presto per prepararle la colazione. Le disse che quel giorno l'avrebbe portata a salutare la città. Quella Los Angeles che a caro prezzo aveva imparato ad amare e alla quale si apprestava a dire addio. Una città di cui, grazie alla solitudine, aveva potuto conoscere l'anima. Ed era un'anima severa, ma sincera. Amava come solo una madre sa fare, e il suo cuore era grande e rumoroso.

Per prima cosa andò a salutare il mare. Quell'oceano infuriato, le cui urla si udivano a chilometri di distanza. Quella schiuma per decine di metri e l'odore di libertà. E poi andarono all'osservatorio, sulle colline di Hollywood ad ammirare la gigantesca scritta alle loro spalle che portava il nome della città. Il sole iniziava a calare e il cielo era del suo tipico giallo opaco. Le nuvole basse si tingevano del colore pallido del tramonto. Due elicotteri sorvolavano come calabroni la città, vegliando su di essa con il rumore assordante con cui Rosa aveva imparato a convivere. Giorno e notte aveva un elicottero sulla testa. Anche quel ronzio aveva fatto parte di lei per cinque mesi e una volta a casa le sarebbe mancato. Come il rumore che si prova nell'utero materno e che quando si nasce manca, e lo si cerca in quello - fastidioso ai disabituati - di un aspirapolvere o di un phon.

A David promise che lo avrebbe aspettato a Milano; David le promise che sarebbe tornato entro Natale. Entrambi mentirono.

Non si rividero mai più.

FINE

Che ne sai dell'amoreWhere stories live. Discover now