43. Nella tana del nano

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Si rannicchiò. Rimase in quella posizione a lungo. Rifletté, per quanto l'alcol che aveva in corpo le concesse. Lei e il nano erano troppo grandi per essere contenuti in quella piccola statua. E da quando in qua si poteva entrare dentro alle statue? Esplorò lo spazio intorno a sé con le mani ma, eccetto il pavimento, non trovò alcun ostacolo. Non c'erano pareti o soffitti che le avrebbero impedito di assumere la posizione eretta, non c'era più neanche il nano. Con la forza di chi ha perso tutto tranne la dignità, si alzò.

«Ehi, tu! Dove sei?» tuonò in quello spazio di cui non riusciva a dedurre le dimensioni.

Gli occhi si abituarono a quel buio pesto e iniziò a scorgere delle ombre. Sembrava finita in una grotta. Il nano doveva conoscere un passaggio sotterraneo per uscire dalla villa.

Vide una luce in lontananza. Tastando sempre bene il terreno prima di ogni passo, si diresse in quella direzione. A mano a mano che si avvicinava all'uscita di quello che doveva essere un passaggio segreto, la luce divenne sempre più chiara e abbagliante e... rosa. Nel giro di pochi istanti, l'interno di quella piccola statua, che si rivelò un luogo sconfinato, fu illuminato da un bagliore potente come un'alba.

Uscì dalla grotta incapace di tenere gli occhi aperti. C'era troppa luce. Sentì il pavimento divenire caldo e soffice. Aveva appoggiato un piede su una distesa di sabbia. Provò ad aprire gli occhi, guardò verso il basso. Non era proprio sabbia, sembrava più polvere rosa simile alla cipria. Cadde in ginocchio sulla morbida distesa, sprofondò con le mani in quel tappeto di velluto che aveva il potere di consolare. Non poteva essere naturale. Sollevò gli occhi al cielo, un cielo color lavanda illuminato da un sole più piccolo del normale, accanto al quale splendevano due pianeti.

Il mondo che aveva davanti, non poteva trovarsi fuori dalla villa di Malibu. Si guardò intorno, sembrava non finire più. Sabbia, sabbia a perdita d'occhio. Si mise in piedi, fece un giro su se stessa senza riuscire a scorgere l'orizzonte. Sparse in quel paesaggio, c'erano delle piccole rocce che ricordavano la grotta da cui era appena stata partorita. Si voltò a cercarla. Non c'era più.

Da una di esse emerse il nano della camera degli ospiti di Paul; con un cenno della mano la invitò a entrare.

Si avvicinò con la sensazione di trovarsi in un sogno. In uno di quei sogni in cui si sta così bene da non volerne uscire più. L'aria era leggera, aveva un profumo intenso e struggente che la riempiva di malinconia; il piccolo sole che illuminava il cielo in maniera così singolare, emanava un lieve tepore. Il cielo era di un limpido mai visto prima.

Rosa si avvicinò alla grotta del nano.

«Cosa aspetti?» disse Tim, con voce rauca.

Lei entrò.

«Come... come hai fatto a uscire dalla statua di marmo?» balbettò Rosa.

Era abituata a vedere riproduzioni di persone reali, e non incarnazioni di statue.

«Come hai fatto tu a entrare.»

«Entrare dove?» si guardò intorno allibita. «Che posto è mai questo? Io ero entrata in una statua, in un nascondiglio! Un luogo angusto, mica un mondo! Come fa tutto questo a essere contenuto in una... in una statua?»

«Come fa, l'universo che hai dentro, a vivere dentro di te?»

Rosa osservò il proprio corpo. Percepì l'infinito che aveva sempre portato dentro. Ebbe una vertigine.

«La statua, come la chiami tu, è una porta. È laggiù, guardala» disse il nano indicando una delle piccole rocce.

«Non posso essere uscita da quel buco.»

«Sei entrata da un'apertura ben più piccola di quella» riferì con aria compunta.

«Sì ma poi si è... dilatata, credo. Avrebbe potuto essere attraversata da un elefante.»

«Quando smetterai di fermarti alle apparenze?»

Trascorsero qualche minuto in silenzio.

«Dunque le rocce sono delle porte spaziali?»

«Spazio-temporali. Sono le nostre porte sul mondo. I nostri occhi su di voi. In situazioni del tutto eccezionali ci è concesso di uscire. In casi che nemmeno noi conosciamo bene. Non si potrebbe, ma ogni tanto accade. E credo che questo sia uno dei rari eventi in cui qualcuno di noi porta qualcuno di voi qui. Nel vostro mondo, lo definireste un miracolo. Ero disperato, Rose. Hai corso un grave pericolo.»

«Quindi qualcuno è già stato qui! Perché allora... perché nessuno ne ha mai parlato?!»

«Credo che una volta uscita da qui, dimenticherai ogni cosa, o quasi. Adesso ascoltami, potrebbe finire tutto da un momento all'altro. Non permettere a nessuno di portarti via il colore che porti dentro. Sei una custode, lo capisci? E ora... questa è la porta del tuo appartamento. Adesso entrerai lì, uscirai dalla flamenquita, farai le valigie e andrai dritta all'aeroporto. Quell'uomo è pericoloso. Rosa, devi scappare.»

«Scappare? Ma io voglio restare qui.»

«Non puoi. Non avresti neanche dovuto conoscere questo posto. Non così presto.»

Rosa era sempre più confusa.

«Fammi restare ancora un po', ti prego. Questo mondo è favoloso. Si respira la pace.»

«Il tempo che trascorrerai qui dentro, là fuori non sarà mai passato. Ti terrei se potessi, ma più resterai qui, più correrai un immane rischio.»


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