28. Dal Canada con amore

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«Ciao bambolina. Senti, questa sera danno una festa qui a Malibu. Vieni?»

«Scusa, ma come vengo? Hai tu la macchina.»

«Prendi i mezzi pubblici, che ci vuole?»

«I mezzi? Sei stato tu a dirmi che non esistono collegamenti tra West Hollywood e Malibu. Perché diavolo pensi che ti abbia ceduto la cavallina? Come li percorro i quaranta chilometri che ci separano? In autostop? Ah! Potrei venire di corsa. Sai bene che le maratone sono il mio forte. Di notte poi...»

«Perché vuoi sempre litigare? Comunque io ti ho invitata. Se poi preferisci ammuffire in casa fai pure. Ti lascio che ho da fare ai tavoli. Se cambi idea chiamami qui al ristorante, che ho il cellulare scarico.»

Le dettò il numero e riagganciò senza lasciarle il tempo di mandarlo al diavolo.

Rosa rimase allibita. Iniziò a dubitare della salute mentale del suo ragazzo. Proprio il giorno prima le aveva detto che... e se aveva mentito per accaparrarsi l'auto? A quel punto non poteva escludere più nulla. Nella situazione svantaggiosa in cui si trovava, era costretta a credere a tutto ciò che le imbeccava, ma quando David si contraddiceva, be', si concedeva qualunque pensiero. Anche il più feroce.

Riappese la cornetta e dimenticando i canadesi che la osservavano incuriositi, tornò a rinchiudersi in camera sua.

Dieci minuti dopo udì dei colpi leggeri alla porta della camera. Era John. Parlando in un inglese molto scandito e lento, le chiese se voleva cenare con loro. Avrebbe potuto preparare lui la cena, ma conoscendo le famose doti degli italiani, le chiese con umiltà di cucinare per loro. Lui in cambio le avrebbe offerto dell'ottimo vino francese.

«Così dimentichiamo per qualche momento i nostri dispiaceri» aggiunse. O almeno così le parve di capire.

Doveva avercela scolpita in faccia, la sua delusione.

Rispose che ci avrebbe pensato, ricominciando a scusarsi per il pessimo inglese, ma lui la interruppe subito. La informò che il suo inglese non era meno perfetto di quello degli americani, lasciandole intendere quanto disapprovasse lo slang che stava portando una lingua così nobile alla deriva. Rosa convenne che trovava molto più comprensibile l'inglese parlato da lui piuttosto che quello di Paul o Giselle.

Già, Giselle, sospirò.

Senza aggiungere altro chiuse la porta. Attraverso il vetro notò che John non si era mosso di un centimetro; non avrebbe accettato un rifiuto.

Che strano, pensò, un perfetto sconosciuto si preoccupa per me molto più di David.

Sarebbe stato più facile restarsene rintanata in camera sua e saltare il pasto. Con tutti quei malumori dimenticava sempre più spesso di mangiare. Sarebbe stato un comportamento scortese da parte sua, e due persone così a modo non se lo meritavano.

Pochi minuti dopo era in cucina a mettere su il risotto allo zafferano che aveva imparato a cucinare in quei giorni. Apparecchiò per tre persone, accese una candela al centro del tavolo e abbassò le luci. Quell'atmosfera la confortò. Grazie a quei due sconosciuti iniziava a riassaporare il calore di casa. Il suo volto si illuminò appena vide arrivare John. Chiese della sua signora, ma lui la informò, con lieve disappunto, che Grace non si sentiva molto bene.

Quella cena tra amici di colpo si trasformò in un'ambigua cenetta a due. Rosa pensò di spegnere la candela e ravvivare le luci, ma lui stava già versando il vino nei calici e il suo tentativo di togliere romanticismo alla scena sarebbe risultato ridicolo. In fondo la sua donna era pochi metri più in là, chiusa nella sua stanza, e John era un uomo davvero per bene oltre che molto più vecchio di lei.

Le chiese a cosa volesse brindare.

«At my disperation» rispose d'istinto.

Così iniziò a raccontargli, parlando un po' in inglese e un po' in francese, del comportamento di David. Le aveva dato la sua parola che non avrebbe spifferato nulla a Paul, e lei si sfogò.

«Dunque ha avuto la faccia tosta di chiederti di raggiungerlo a Malibu da sola» chiese con impeccabile accento inglese.

Rosa annuì.

«Dov'è finito il romanticismo italiano? Secondo me hanno sempre bluffato. Da che mondo è mondo, i più galantuomini siamo noi canadesi.»

Rosa scoppiò a ridere. Lui le accarezzò una mano e con una voce che le riscaldò il cuore disse: «Finalmente conosco il tuo sorriso. Non permetterei mai a una donna così affascinante di attraversare questa città da sola. Di notte per giunta.»

Quelle parole, che da un lato la lusingarono, dall'altro le aprirono un po' di più la ferita.

«Non so cosa gli sia preso. Da quando siamo qui, non è più lui» sospirò.

«Se proprio ci tieni a raggiungere quell'individuo» disse, soffermandosi sulla parola 'individuo', «ti accompagno io a Malibu.»

Rosa lo ringraziò, rincuorata dalle attenzioni che non le sembrava di ricevere da un secolo, che nella lentezza del tempo californiano corrispondeva a tre settimane di quello italiano. Lo ringraziò con gli occhi, prima che con le parole, con un'allegria che aumentava a mano a mano che il contenuto dell'ottima bottiglia di Bordeaux diminuiva.

«A Malibu non trascorrerei una serata più piacevole di questa che è, non lo nego, la più bella da quando sono qui. Sono certa che David se ne farà una ragione.»

A quelle parole John si alzò in piedi e la invitò a ballare sulle note della Lola, una delle canzoni della compilation di Paul che girava in continuazione. Non era un lento e questo, insieme alla presenza di Grace nella stanza accanto, la costrinse a mantenere un certo distacco che in altre circostanze avrebbe evitato. Sapeva bene che quel ballo con John non lo avrebbe dimenticato mai più. In qualunque maledetta situazione si fosse trovata in futuro, l'avrebbe affrontata con quegli istanti dentro di sé. Da quel momento avrebbe affrontato tutto con più coraggio.

Parlarono dei rapporti tra Stati Uniti e Canada, e comprese solo allora quanto i canadesi non volessero per nulla essere accomunati agli statunitensi. Guai a chiamarli americani. Gli americani erano gli statunitensi, con il loro inglese ignobile e i loro buffi costumi; loro erano nord americani. Rosa ribadì che con lui non aveva avuto alcun problema di comunicazione, e anzi erano riusciti a parlare di tutto. Lui le promise che il giorno dopo l'avrebbe portata con sé e Grace a fare un giro negli studios a Hollywood, dove si sarebbe intrattenuto qualche ora per lavoro, anche se Rosa non comprese in quale veste fosse lì, né le interessava. Così a fine cena si lasciò abbracciare e poco dopo le due di notte si ritirò, per la prima volta serena, pregustando la giornata felice che avrebbe trascorso il giorno seguente con il Richard Gere di Toronto e la sua fidanzata lunatica.

Che ne sai dell'amoreWhere stories live. Discover now