Amber

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C'è un caldo surreale. L'aria è ferma, condensata, si appiccica alla pelle, stringe e preme come una mano. Per esserne sicuro, controllo che non ci sia davvero. Muovo i muscoli, perdo di vista la valle sotto di me e mi volto. Non c'è nessuno. Solo io e il sudore che mi cola lungo la schiena. Il che è un bene, visto che davanti a me c'è il resto.

Riporto lo sguardo sul supermercato, la pupilla sul mirino, le dita sul fucile.

L'estate migliore di sempre. Cosa c'è di meglio che dover sparare a mostri senza anima che cercano di mangiarti? E io che pensavo che avrei trascorso almeno due settimane di vacanza prima di entrare a pieno titolo nel mondo degli adulti. Non potevo immaginare che – ne scorgo un paio, prendo la mira e bum, morti – gli esseri umani si sarebbero trasformati in questo.

«Quanti ne vedi?» urla Jackson dall'altro lato della collina. Detesto quando grida così.

Alzo la testa e soffio. «Perché non li inviti a prendere un tè ghiacciato? Anzi, fai di meglio, mettiti un cappello lampeggiante con scritto "carne fresca", almeno elimini la fatica di farti trovare.»

«Dai Kane, vaffanculo.»

«Vaffanculo Kane!» grida Mikhail da sotto. «Ho fatto razzia!» Apre la bocca e caccia un urlo, spalanca le braccia e fa cadere le scatole di farmaci che ha trovato. Eravamo convinti che fosse vuoto, quel posto; ci sbagliavamo.

Ridacchio, dimentico dove siamo e – bum – il suono di uno sparo mi riporta alla realtà.

«Tutto ok», dice Amber con la sua calma. «Ne era rimasto uno vivo», continua alzandosi.

Amber si è unita a noi un mese fa. Era da poco iniziata l'estate quando ce la siamo trovata davanti, sanguinante. Un faccino d'angelo che tremava, stringeva il fucile e sembrava pronto a scatenare il suo inferno personale se non l'avessimo lasciato in pace. Abbiamo rischiato. All'inizio abbiamo pensato di andarcene e di mollarla lungo l'autostrada dove l'avevamo trovata, ma non ce l'abbiamo fatta. Noi siamo in quattro, quattro ragazzi di ventidue anni che la società non avrebbe considerato uomini fatti, fino a due mesi fa. Oltre noi, a parte i mostri, non c'era nessuno. Rischiando di farci sparare nelle palle, siamo riusciti a convincerla che potevamo darle una mano.

«Ok, ci siamo», dice Damien uscendo dalla porta principale del supermercato. È un rudere, sembra lì da migliaia di anni. Pensare che è diventato così in soli due mesi è stupefacente.

«Potete scendere», continua.

Mi guardo intorno per essere certo che non ce ne siano altri e mi incammino. Amber mi viene incontro e sorride. Le bacio la fronte, le labbra. Non posso credere di aver perso la testa in questo modo dopo appena quattro settimane. Sarà che siamo rimasti soli al mondo. Sarà che una come lei, prima di oggi, non l'avevo mai incontrata. Stringo la sua mano e a lei non importa del sudore. Non le importa del sangue, dell'odore. Non le importa se ho fatto fuori più mostri io di tutti i miei amici. Non le importa se nei primi giorni del disastro ho fatto esplodere una città per fermare la proliferazione, né che ho ucciso mio fratello perché era diventato un... essere dal corpo in frantumi che cercava di mangiarmi.

Proprio come quello che ci sta venendo incontro adesso. Amber solleva la pistola e spara.

«Che succede?» chiede Mikhail.

Non faccio in tempo a rispondere perché ne arriva un altro. È diverso dai precedenti – punto, premo, bum, morto – esattamente come quello a cui ha sparato la mia ragazza un secondo fa.

«Abbiamo un problema», rispondo mentre ne arrivano altri. «Tre», continuo, – punto e bum, bum, bum. «Merda», sussurro.

«Ne abbiamo una marea», rettifica Amber.

Perché questi mostri, a differenza di quelli che conoscevamo, non muoiono. Non si contorcono, non cercano di azzannarti. Questi, a differenza degli altri, si rialzano. Camminano e ti guardano come se l'anima ce l'avessero. Ed è solo quando realizzo che sono mutati, una mutazione nella mutazione, che mi accorgo che uno di loro sta mordendo Amber.

Il mio mondo va di nuovo in pezzi.

E sparo. 

AmberWhere stories live. Discover now