Capitolo 2

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Il suono della campanella dell'intervallo mi svegliò da un apparente stato di tranquillità, da un sonno a occhi aperti che mi forzavo di avere per evitare di pensare a cosa ne sarebbe stato di me dopo qualche mese. Avevo sempre fatto così, sin da bambina: per evitare di sentir dolore, mi addormentavo. Purtroppo, però, a scuola proprio non potevo e quindi dovevo accontentarmi di essere assorta nel nulla della mia mente così tanto da non pensare.

Mi alzai dal mio banco posizionato in fondo a destra e mi diressi verso la porta per uscire e raggiungere la V B, la classe di Marco. Avevamo deciso di incontrarci lì e poi uscire nel cortile per parlare senza orecchie indiscrete, ma purtroppo aveva cominciato a piovere e così i piani cambiarono senza che ci dicessimo niente.
Era anche questo che amavo di Marco: che potessimo comunicare tra di noi senza dirci una sola parola, senza guardarci negli occhi, come se le nostre menti fossero collegate da un filo invisibile che gestiva i nostri pensieri, le nostre idee e le rendesse di entrambi.

Oltre a questo, poi, Marco era oggettivamente bellissimo. Era alto e, nonostante lo fossi anche io, lui mi sovrastava di molti centimetri. Aveva un fisico asciutto dovuto alle tante ore in palestra – per scherzare spesso gli chiedevo se amasse la palestra più di me –, le spalle larghe ed io lo trovavo semplicemente bellissimo. Non capivo come avesse potuto uno come lui fidanzarsi con una come me, così timida ed introversa, così antisportiva, così impacciata. Avevo sempre pensato che meritasse una persona sicura di sé, decisa, bella, la versione femminile di tutto ciò che era lui. Ma lui aveva deciso di amare me. Nonostante potesse avere una ragazza con tutte quelle qualità, lui aveva scelto me. A sedici anni sembra sempre che sia un miracolo che il ragazzo che tanto si ha desiderato alla fine ricambi, come se fosse un onore stare con lui. Ed erroneamente io pensavo di essere stata la ragazza più fortunata del mondo perché avevo baciato il ragazzo che tanto avevo desiderato e quel rapporto di sudditanza parve inseguirmi per anni, come se dovessi essere l'unica ad esser grata di essere amata, come se il suo amore valesse tutte le stelle del cielo e il mio poco più di niente.

«Clara.» mi chiamò Marco dall'uscio della porta. Mi avvicinai a lui e ci baciammo, io in punte di piedi e lui con il capo chinato. Credo che quello fu l'ultimo bacio dato con tranquillità, senza timore del tempo che scorre, dei minuti che fuggono. Fu delicato, quasi svogliato in realtà, il tocco di un bacio che si limita ad essere una piacevole abitudine. Fu l'ultimo dato senza la consapevolezza di doversi separare a breve, nonostante io già lo sapessi.

«Stamattina mi sembravi preoccupata. È successo qualcosa di grave?»

Prese le mie mani tra le sue e io osservai ogni movimento impercettibile con tanta attenzione. Gli sorrisi, nonostante fossi cosciente che non apparivo affatto felice. Lo baciai di nuovo. Misi la mia mano destra tra i suoi capelli e la sinistra sulla guancia. Lo accarezzavo, gli stringevo i capelli e trattenni a stento una lacrima. In quel momento temevo che potesse scomparire improvvisamente, così pensai che tenerlo a me, stringerlo, fosse l'unico modo per non farlo andare via, per evitare che fosse lui quello a fondersi con l'aria.

Ero confusa da quel turbinio di emozioni e mi sembrava lo fosse anche lui, così decisi di rompere il mio silenzio glaciale e di spiegargli cosa sarebbe accaduto dopo pochi mesi.

«Marco...» sospirai per poi guardarlo dritto negli occhi «devo andare via.»

Lui fece una risata nervosa, poi tornò serio. Mi guardò e io decisi di continuare a raccontargli ciò che avevo saputo quella mattina.

«Mio padre ha ricevuto un nuovo posto di lavoro a Napoli e ha accettato. A settembre mi trasferirò lì.»

Tra di noi calò il silenzio. Ricordo ogni istante di quell'intervallo passato con lui, soprattutto dopo avergli annunciato della mia partenza.

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⏰ Last updated: Jan 10, 2021 ⏰

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