Let her go.

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Bristol, 2010 

“Salve. Prego.” 
“È qui che tratta i suoi pazienti?” 
“Lo trovi opprimente? A me da un senso di pace. Anche se forse dovrei ravvivarlo un po’. I pazienti sono il mio sostentamento. Comunque, parliamo di Elizabeth, è per questo che siamo qui.” 
“Già, perché ha voluto che venissi a casa sua?” 
“Elizabeth e sua madre hanno espresso...insoddisfazione per i miei metodi. È perfettamente comprensibile, non sono propriamente ortodossi.” 
“Lei non l'ha aiutata affatto! Ora sta molto peggio di prima.” 
“Ad ogni modo, spero di poter continuare a lavorare con lei. Vorrei tentare un’altra strada.” 
“Vuole scherzare? È sordo per caso? Noi non la vogliamo più! Stia lontano da lei, è chiaro?” 
“Trattieniti ancora un momento. Lo ammetto: sono stato arrogante, stupido. Ho fatto degli errori. Mi sono avvicinato troppo, e ora mi sento male. Le voglio troppo bene.” 
“Deve stare lontano da lei.” 
“Sono troppo umano. Noi siamo essenzialmente creature dell'istinto, i nostri capricci passeggeri sono in realtà i momenti più profondi. Non posso permetterti di averla. Vedi, lei ti ama veramente.” 
“Okay, andiamo, apra la porta.” 

Vedi, lei ti ama veramente…
Vedi, lei ti ama veramente…
Vedi, lei ti ama veramente…
Vedi, lei ti ama veramente... 

Freddie credeva che quelle sarebbero state le ultime parole che avrebbe mai sentito. 
Certo, che pena, sperava in qualcosa di migliore della voce di John Foster come suo ultimo ricordo, ma se era così che doveva andare. Da un lato era contento, però. Se proprio doveva finire in quel modo, almeno sapeva di aver lottato fino alla fine, per la sua Effy. 
Be’, non che fosse mai stata realmente sua. 
Effy non sarebbe mai stata di nessuno, se non di sé stessa, l’aveva sempre pensato, dal primo istante in cui i loro sguardi si erano incrociati. 
Freddie si riconosceva come un tipo empatico, non era difficile per lui entrare all’interno dei pensieri delle persone e capire i loro stati d’animo, così da poterli aiutare. Forse aveva imparato a sviluppare questa abilità nel tempo, anche e soprattutto per ciò che era successo a sua madre. Nessuno era mai riuscito a capire cosa le passasse per la mente, ecco perché non erano riusciti a salvarla. Così, forse, Freddie si era inconsciamente ripromesso di non commettere mai più lo stesso errore. 
Ma aveva fallito. Aveva fallito nell’esatto momento in cui due enormi occhi blu avevano investito la sua vita, travolgendolo in pieno. 
E lui, per quanto gli costasse ammetterlo, quegli occhi blu non aveva mai saputo propriamente leggerli. In tutto quel tempo, Effy era sempre rimasta un po’ un mistero. Come si comportava, il suo modo di vedere il mondo e la strana maniera che aveva di trattare i sentimenti, non era riuscito a comprendere nulla di tutto ciò, complice anche il fatto che lei ne parlava raramente. 
Per questo, non era mai stata davvero sua, perché nonostante tutto l’amore, quell’amore vero che ti fa venire voglia di strapparti le viscere da quanto è potente, a Freddie non era mai realmente appartenuta la testa di Effy. Ma aveva tentato tutto per lei, aveva rischiato, sempre. 
Fino alla morte. O almeno così credeva. 

“Fred, amico, merda! Hey, Freddie. Freddie, ti prego, apri i fottuti occhi, cazzo!” 
Non fece molto caso al dolore di quello schiaffo, poiché ne aveva già sentito a sufficienza. Dappertutto. Ed era stato molto peggio. Perciò non fu propriamente quello a svegliarlo, forse, ma bensì la voce preoccupata di Cook. 
Cook? Come diavolo era finito con Cook? 
Tossì, e aprendo gli occhi con una fatica mai provata prima, non fu sorpreso nel vedere dei fiotti scarlatti macchiare l’asfalto ad ogni vibrazione del suo petto. Dopotutto, dev’essere normale sputare sangue se ti hanno preso a mazzate su tutto il corpo, no? 
“Sei vivo! Sei vivo, Freddy! Mi sono cagato addosso, per un istante ho davvero creduto che potessi essere…cazzo. Ma sei ancora con me. Riesci ad alzarti?” 
Non lo sapeva. Sapeva solo che era sdraiato per terra, su una strada chissà dove, e non aveva idea di come ci fosse finito lì, o di quando fosse arrivato Cook, o del perché stesse letteralmente tremando dal freddo. 
Comunque, provò a fare qualcosa che non richiedesse troppo sforzo. Parlare. Nonostante il sapore metallico che impastava ogni centimetro della sua bocca, si sforzò di schiudere le labbra e provare a far uscire un suono. 
“Come…tu…mi hai trovato?” Biascicò, sentendo ogni organo del suo corpo bruciare al minimo movimento. Aveva i polmoni in fiamme. 
“Certo che ti ho trovato, noi due ci ritroveremo sempre, sempre pronti a salvarci il culo a vicenda. Come fratelli.” 
“Sì, ma Cook…” Di nuovo, un altro po’ di sangue colò dalla sua bocca. “Come hai…fatto?” Chiese, vedendo la figura del suo amico chino su di lui solo a metà, perché le palpebre sembrano pesare come macigni, e proprio non riusciva a sollevarle più di un tot. 
“Stavo venendo da te. Nonostante avessi detto che volevo tirarmene fuori, nonostante tutto quel fottuto casino, stavo venendo alla rimessa. Ti avrei aspettato e poi ti avrei chiesto di lei, ti avrei chiesto com’era andata in ospedale.” Iniziò a spiegare Cook, e Freddie sperava solo che si sbrigasse, perché la sua soglia di attenzione non era esattamente delle migliori, e stava iniziando a girargli la testa. “Ma quando sono arrivato, tu stavi uscendo, così ho pensato di seguirti, ma senza dare troppo nell’occhio, perché non sono esattamente nella posizione di poter camminare indisturbato tra le vie di Bristol in piena mattinata. Ma tu non mi hai condotto da lei, o in un qualsiasi altro posto che conoscevo, hai fatto una strada strana, sei arrivato in questa villetta di merda dove c’era l’insegna di uno psicologo e sei entrato dentro.” 

Let her go. || Skins ; FreddieWhere stories live. Discover now