Ben mise via la sigaretta elettronica e le porse una mano. «Ti va di andare in un posto?» bisbigliò.

«Come, scusa?»

«Voglio mostrarti un posto» ripeté con calma. Era sempre così attento quando parlava in italiano; scandiva con chiarezza ogni sillaba, ma non riusciva mai a liberarsi dell'inflessione inglese. E non essere perfetto nel suo eloquio lo infastidiva, anche questo Bea aveva notato.

Benedict era infastidito da un sacco di cose: la confusione, la gente, la volgarità, le risate e i poveracci che non avevano avuto l'onore e l'onere di nascere in famiglie altolocate. Ma più di tutto, a Bea sembrava che talvolta Ben fosse infastidito da sé stesso. Come un Heathcliff di ultima generazione, appunto.

«Dov'è che andremmo?»

«Se vuole seguirmi, signorina» disse lui, inchinandosi alla maniera dei gentiluomini di qualche epoca perduta.

La fece girare attorno all'albergo, tra gli alberi del giardino; attraversarono anche il roseto, che esisteva realmente nella parte più protetta della proprietà. Infatti, dietro una distesa di aiuole punteggiate da diverse specie di rose, trovarono un cancelletto che si apriva sul viale diretto alla spiaggia.

«Credevo che l'ingresso alla spiaggia privata fosse dall'altro lato» Bea diede voce al proprio stupore.

«Questo è l'ingresso originale. A mia zia non è mai piaciuto molto, credo pensi sia troppo poco sontuoso. Io lo trovo molto pittoresco, invece» ammise lui e Bea si sorprese a condividere la sua opinione. Era uno sbocco semplice, talmente ben curato da apparire naturale.

«Adesso sì che vale la pena togliere le scarpe» e, così dicendo, iniziò a slegare i lacci delle sue Oxford, prima di sfilare i calzini. Per la ragazza era molto più facile, via una fibbia, via anche l'altra.

Il contatto con la sabbia fredda fece rabbrividire Bea. Si sorprese a osservare l'uomo accanto a lei mentre, rimanendo in maniche di camicia e panciotto, si toglieva la giacca e la posava in terra. Lucia sarebbe sbiancata di fronte a una visione del genere: chi era il folle che osava compiere un tale sacrilegio verso una giacca dal taglio così pregevole? Ma Beatrice non ebbe il coraggio di fare alcuna osservazione in proposito; per quanto provocarlo fosse in ogni caso uno dei suoi passatempi preferiti, la sua disinvoltura la colpiva in maniera non prevista e la lasciava senza parole. La invitò a sedersi accanto a lui.

Il mare era mosso, scuro, la schiuma bianca delle onde che si infrangevano sulla riva si intravedeva appena nel chiaroscuro della luna. Sembrava quasi un mostro infuriato, lo si sentiva ruggire, come un leone chiuso in gabbia che ti avverte della sua potenza frustrata. Finché un giorno non riesce a fuggire via, e a quel punto nessuno sa quello che può accadere.

«E adesso?»

«Adesso? Guardiamo il cielo.»

Stelle. Un'infinità di puntini, là sopra, a guardarci. E noi a guardare loro. Luci che credi siano lì in quel momento e invece non è dato sapere, potrebbero anche non esserci più. Ma la loro luce continua a camminare, a correre per anni e anni, e millenni qualche volta, fino ad arrivare a te. Quella sera, in quel preciso istante.

La vista era fantastica. La lontananza delle luci artificiali permetteva al cielo di mostrarsi in tutto il suo splendore notturno. Bea si sentì sopraffatta, era uscita per prendere una boccata d'aria, per sfuggire al chiacchiericcio di amici e conoscenti, non si aspettava questo Benedict. Lo stesso uomo scostante e pragmatico fino all'esasperazione che ora la invitava a guardare le stelle. Perché?

Si girò di scatto verso di lui e si accorse troppo tardi della pericolosa vicinanza che avevano i loro visi. Benedict era però concentrato a fissare il cielo e non si accorse dell'imbarazzo dipinto sul volto di lei.

Il gioco dell'ostricaWhere stories live. Discover now