Riccardo Ferrari, difatti, comparve in sala con i riccioli castani pettinati a modo, ben oltre il tempo dei primi convenevoli. «Dovrei scusarmi, ma ho avuto qualche problema con lo specchio» si presentò con la giusta dose di autoironia. Si accomodò alla sinistra di Beatrice e il suo occhiolino impacciato la conquistò subito.

Era un bell'uomo sulla quarantina con gli occhi scuri e un sorriso stampato in faccia. I riccioli in testa e la barba di uno o due giorni incolta davano una generale impressione di studiata trasandatezza. Non sembrava curarsi granché dei due bottoni della camicia sul suo filo di pancetta che, sofferenti, minacciavano di saltare da un momento all'altro.

«Quindi, ricapitoliamo: tre sorelle Bianchi, giusto?» chiese, dopo il terzo bicchiere di vino, tra i ravioli – zucca e noci – e le linguine – gamberi e pistacchio. «Due fratellini De Luca, e un cugino muto.» Riccardo si voltò infine verso Benedict, che immobile preferì non commentare, quasi a voler confermare la critica.

I due cugini erano talmente diversi l'uno dall'altro che Bea, a metà serata, iniziò a nutrire dei forti dubbi riguardo alla loro presunta parentela. La ragazza aveva la sensazione di non aver mai incontrato due personaggi così agli antipodi. Mentre uno osservava tutti dall'alto, l'altro si infilava in ogni situazione, dalla più buffa alla più seria, e ballava scatenato in mezzo alla folla; uno si trincerava nei suoi silenzi, l'altro chiacchierava fino a riempirti la testa di frottole; Benedict nascondeva i suoi ghigni beffardi dietro un'apparenza glaciale, Riccardo rideva sguaiatamente e con soddisfazione.

Più o meno mentre stavano servendo il secondo – pesce spada alla siciliana, con olive, capperi e pomodorini – e dopo un giro infinito di balli di gruppo che avevano trasformato le caviglie degli ospiti in una poltiglia di ossa doloranti, Riccardo apostrofò Benedict con un nomignolo che portò le labbra di Beatrice a curvarsi verso l'alto: «Benny! Sai cosa penso?»

«Voglio davvero saperlo?» domandò l'interpellato, sorseggiando il suo bicchiere di vino.

«Penso che la misantropia abbia smesso di andare di moda da un centinaio di anni a questa parte. Potresti venire a ball—»

«Io non b—»

«Oppure» continuò senza permettere al cugino di ribattere. «Potresti dire qualcosa ogni tanto..» Afferrò la bottiglia di vino rosato che faceva bella mostra di sé sul tavolo e, mentre si prendeva gioco del cugino, ne versò un bicchiere per ciascuno dei commensali presenti – minorenni inclusi, cosa che gli fece guadagnare un'occhiataccia da parte di Nina, un sorriso malizioso da parte di Lucia e una scrollata di spalle da parte di Jonny. «Giusto per far vedere a queste belle signorine che sai parlare la loro lingua» spiegò poi, rivolgendo uno sguardo divertito a Nina e a Bea.

Benedict continuò a scuotere la testa, lo spirito di patata del cugino lo esasperava e bevve con tranquillità dal suo bicchiere.

«Tranquillo, oramai lo conosciamo. I suoi silenzi sono quasi leggendari» chiarì Bea, non riuscendo a nascondere la smorfia significativa verso l'oggetto della conversazione. «Sai, il signor Devereux non apre quasi mai bocca in questa parte di mondo. Potrei raccontarti storie piuttosto sconvolgenti, se volessi...» Ammiccò giocosa verso i due, sorseggiando anche lei di quel vino tanto dolce quanto traditore.

«Illuminami.»

«Devi sapere che la sera in cui ho avuto l'onore di incontrarlo per la prima volta... sai, una di quelle sere tra amici di amici in cui pizzette e birra la fanno da padrone?»

«Proprio il tipo di serata che Benny adora.» Riccardo assestò una pacca sulla spalla di Benedict, che, guardingo, sembrava attendere dove avrebbe condotto la conversazione.

«Esatto.» Beatrice non aveva alcuna intenzione di lasciarsi intimidire da quei suoi occhi inflessibili. «Il qui presente signor Devereux», avvertì in maniera distinta la punta delle scarpe di Nina scontrarsi contro il suo povero polpaccio, ma non era ancora pronta a stare zitta «passò la serata in muta contemplazione degli avventori del locale; avrà pronunciato al massimo tre parole in cinque ore.»

Riccardo scoppiò a ridere.

Benedict tirò indietro la testa, spostando di fatto i lunghi ciuffi neri che gli coprivano la fronte. Lo faceva sempre, sembrava una mossa da bimbetto irritato. Poi si versò un ulteriore bicchiere di vino e ne sorseggiò il contenuto. «Non nutro particolare favore per le parole dette a caso. Che posso farci?» Cercò di non tradire l'evidente fastidio che la conversazione doveva avergli causato. Era solo un gioco, eppure lui si infastidiva. Tutto lo infastidiva. Che problema hai con la gente che si diverte, Ben?

«Possa perdonarci, signor Devereux, non avremmo mai voluto dire alcunché che potesse offendere sua signoria» gli si rivolse Bea, in un tono tra il divertito e il piccato.

Benedict scelse di non rispondere alla provocazione, accennò un sorrisetto vagamente infame, anzi, decisamente infame. Sembrava volesse nascondere chissà quali verità superiori che capiva solo lui. Indirizzò le scuse ai presenti al tavolo e si alzò piano. Prima di congedarsi, sottovoce bisbigliò nell'orecchio di Bea: «Non potresti offendermi neanche se lo volessi davvero.»

E questo cosa diavolo voleva dire?

«Bea...» Nina decise che quello era il momento adatto per rimproverarle la sua irriverenza, pronunciando il suo nome con il tono esasperato da maestra stanca.

«Cosa? Era solo una battuta.»

Il gioco dell'ostricaWhere stories live. Discover now