CAPITOLO QUATTRO

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Mia madre, Jeremy ed io, avemmo una brutta discussione.
Perché si sa come vanno a finire queste cose, si parte dalla camera in disordine, per arrivare a un non mi aspettavo che diventassi così...

Salii in camera a piangere, odiavo questa situazione, volevo una vita normale.
Jessie mi vide, non potevo dirle certo che mi fosse entrata un po' di polvere negli occhi...

Mi abbracciò e basta, perché lei conosceva le condizioni in cui vivevamo ogni giorno. Era strabiliante di quanto fosse comprensiva, non poteva essere così anche il padre? Che diavolo!

Dopo un po' mi calmai e iniziai a parlavo al telefono con mia cugina e le chiesi consigli su cosa avrei dovuto indossare per la festa di cui, tra l'altro, mia madre non ne sapeva assolutamente nulla e andava bene così.

"Beh quel vestito che hai indossato per i miei diciotto anni sarebbe perfetto, mi piace tanto, qualche volta dovrai prestarmelo" disse mia cugina.
"Indossalo stasera" mi suggerì.
Sbuffai indecisa mentre guardavo l'armadio.
Giuro che prima o poi butterò tutto e comprerò cose che indosserò veramente, evitando di lasciare tutto nei meandri dei cassetti.

"Facciamo una cosa, passo da te e mi presti quella gonna di pelle che amo tanto" staccai il telefono prima che potesse obbiettare e mi precipitai di sotto per mettere le scarpe e la giacca.
"Merda la borsa" mi girai scontrandomi con Jeremy.
"Modera i termini" mi guardò male dall'alto, ho sempre odiato quelle persone che cercano di mostrare sempre la propria altezza mettendosi a confronto con me che di altezza ne ho ben poca.
"Dove credi di andare senza avvertirmi?"
"Non devo avvertire proprio nessuno, e la mamma è uscita, quindi se proprio dovrei avvisare una persona è lei, ma tu che ci sei a fare? Ah e cerca di fare poco il simpatico" sorrisi falsamente ed aprii la porta per andarmene.
Mi afferrò il polso con fermezza guardandomi dritto in faccia con espressione severa.
"Non parlarmi mai più così!" mi ammonì.
Sgranai gli occhi per la forza con cui me lo strinse e dopo poco se ne accorse staccandosi da me e chiedendomi scusa.
"Papà mi aiuti con i compiti?" urlò Jessie dal piano di sopra.
"Invece di concentrare la tua attenzione su di me, ti ricordo che hai una figlia che ha bisogno di un padre. Quindi, gira i tacchi e vai di Jessie".
Uscii di casa sbattendo la porta e mi guardai il polso, era leggermente arrossato e faceva anche un po' male.
Abbassai la manica della giacca di pelle non pensandoci e camminai dritta togliendo con l'indice una piccola lacrima che stava per scendere.

Era la prima volta che si comportava in quel modo con me, litigavamo spesso, certo, ma non così tanto da...
Lo odio, non lo sopporto...
Ma io mi chiedo, come fa mia madre a dormirci nello stesso letto.
Come fa a fare sogni tranquilli con accanto una persona del genere?

Smisi di pormi domande a cui solo mia madre avrebbe potuto darmi una risposta e mi incamminai verso casa di mia cugina.

Per la festa avevo indossato una maglietta aderente tutta nera, a maniche lunghe e a collo alto, e la gonna di mia cugina a vita alta di pelle nera.
"Aspetta, serve qualcosa che spezzi..." si alzò dal letto e si mise a cercare in un cofanetto.
"Metti questa, va benissimo col rossetto rosso e le scarpe" era una collanina con un rubino piccolo ma evidente.
"Non posso tenerla, potrei perderla, e poi..."
"Puoi tenerla" mi interruppe sorridendo.
L'abbracciai e rimisi la giacca di pelle, decidendo che la collana l'avrei tenuta per la festa.

Dopo l'accaduto con Jeremy, ovviamente, non avevo preso la borsa.
"Torno a casa, ho dimenticato una cosa" salutai mia cugina con un piccolo bacio sulla fronte e mi guardai per l'ultima volta allo specchio.
"Grazie per tutto".
Adoravo passare del tempo con lei...

Quando tornai a casa a prendere la borsa fortunatamente nessuno sentì che ero passata.
Prendendo il telefono notai diverse chiamate da parte di James.
Come mai mi aveva chiamato così tante volte? Non era da lui...

Lo richiamai, ma scattava sempre la segreteria.
Sarà successo sicuramente qualcosa.
Mi avviai verso casa sua, continuando a chiamarlo per avere sue notizie.

Siamo spiacenti ma il numero da lei chiamato è irraggiungibile...

Odiavo quella voce... La voce della segreteria che fa venire il nervoso a maggior parte delle persone.
Una voce fredda e robotica che ti dice indirettamente che una persona non ha voglia di parlare con te, oppure come nel mio caso, che può esserle successo qualcosa.

Arrivai a casa Colin, salii le scale che portavano alla porta di ingresso della grande villa bianca e notai che la porta era aperta.

Strano, non lasciano mai la porta di casa aperta.
Bussa ed entrai.
"Permesso, c'è qualcuno?" Mi guardai attorno non notando nessuno.

Superata l'entrata, arrivai nel grande salotto

Adoravo la casa di James, sembrava essere quella dei miei sogni.

Il salotto era bianco, con un grande camino del medesimo colore, di fronte a questi, vi era un grande divano ad "L" con al centro un tavolo di cristallo con sopra due posaceneri.

Pieni.

A casa di James nessuno fumava. Com'era possibile? Forse avevano avuto ospiti? Forse era per questo che non le avesse risposto? Ma se avessero avuto ospiti perché l'avrebbe chiamato così tante volte? Kimberly mi sa che doveva scoprire un paio di cose.

I balconi che portavano in veranda erano chiusi, le tende invece erano aperte, facendo trapelare la poca luce delle 18:00 di un pomeriggio di primavera.

"Kim sei tu?" una voce. La voce di James.

Era una voce strozzata la sua, come se quasi non riuscisse a pronunciare neanche il mio diminutivo.

Non lo vedevo però, lo sentivo solo in lontananza.

"Si Jam sono io... Ma dove ti sei nascosto? Vogliamo ritornare ai vecchi tempi di quando giocavamo a nascondino?" cercai di sdrammatizzare un po' chiamandolo col diminutivo che tanto odiava.
"Dai James dove sei? Non ho voglia di giocare." guardai l'orologio appoggiato su un mobile.

Le 19:00.

"Su, preparati così mi accompagni alla festa o hai voglia di dare un passaggio a qualche tua nuova conquista?"
Continuava a non rispondermi.
"Si può sapere dove cazzo sei?" Niente. Cominciavo ad alterarmi.

Lo cercai in cucina, ma niente.
Provai a sforzarmi, per capire da dove provenne quel gemito strozzato.

Lo sgabuzzino.

"Oh mio Dio!"

MARIGOLDWhere stories live. Discover now