Noemi

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Una voce.

Solo una, quella che aveva sentito dalla nascita, quella che l'aveva accompagnata da sempre, quella che le aveva rivelato segreti, quella che li sapeva custodire, quella che l'aveva rimproverata, quella che ascoltava tutte le mattine accompagnata dal borbottio della moca, quella che si rompeva come un ramo secco e quella che sembrava una tana sicura dove rifugiarsi nei momenti di sconforto. La voce di Noemi, quella che solo una madre può avere.

Aveva uno strano effetto sentire questo suono così familiare ed al tempo stesso estraneo varcare letteralmente la porta e la vita di Margaret come un uragano, quelli che si abbattono impetuosi sulle città che prima, erano state costruite con impegno e che poi, in un soffio vengono distrutte. Improvvisamente.

Questo succedeva perché Noemi, mostrandosi apparentemente forte, con il passare dei giorni, in realtà, si stava solo indebolendo, piano piano, perdeva le capacità di rimanere lucida, come un alcolista che tenta disperatamente di nascondere il suo passato ma che al tempo stesso vuole rivivere le emozioni di un tempo. Quelle confuse. Quelle senza un filo logico. Quelle che logorano solo la mente.

Dopo un apparente periodo di tranquillità, in quella casa le cose cambiavamo. Noemi usciva di casa, convinta di andare a prendere le due figlie  Amber ed Emily a qualche festa, in discoteca o a casa di amici. Non trovandole, la madre guidava per ore ed ore, fra vie ed autostrade, fra lacrime e singhiozzi.

Poi tutto passava, come era venuto. Le affiorava alla mente, all'improvviso quello che non si vorrebbe ricordare e con rammarico e sentito dolore, tornava a casa scusandosi della sua pazzia con Margaret. Si sedeva sulla sedia in cucina, chiedeva di restare sola e pensava. Pensava a come sarebbe stata la sua vita senza questa terribile tragedia, pensava a come sarebbe stato il suo futuro, se avesse trovato un lavoro come insegnante, quello che aveva sempre desiderato, oppure, per lo meno, sperava di tenersi il suo all'ufficio postale dove l'avevano licenziata per crisi isteriche con i colleghi.

Quella sedia simboleggiava il dolore, era come se oltre al peso di Noemi, se ne fosse aggiunto un altro carico di emozioni.

A volte, il tavolo si bagnava di lacrime di diverso tipo. Alcune erano "pure" formate dal ricordo ed altre erano opache, velate dalla situazione del presente.

Piangeva. Come una madre che ha perso due dei suoi tre diamanti più preziosi, quelli che non si possono più ricomprare.

Piangeva. Come chi sa che cosa sia il dolore del passato, quello del presente e quello del futuro perché non bastava o non si poteva dimenticare, si doveva ricordarle ma per farlo, di mezzo c'era la sofferenza.

Piangeva.

Perché sapeva che non poteva affrontare le sue paure perché le si sarebbero rivoltate contro.

Piangeva.

Perché non sapeva che cos'altro buttar fuori.

Come la luce di una lampadina fulminata si spegneva, la sua testa ricadeva sul tavolo, stanca.

Era tutto finito, per il momento.

Margaret nel mentre guardava di nascosto, forse felice perché lei era riuscita ad "impacchettare" il ricordo dei tempi felici e a metterlo in un angolo sicuro del suo cuore, uno abbastanza lontano da non farla pentire della sua scelta ma abbastanza vicino da farle ricordare.

La notte poi, come sempre, avvolgeva con le sue grandi braccia quel piccolo mondo di bugie, desideri e ricordi, li soffocava liberando la mente e poi, all'alba, quando se ne andava li restituiva, intatti, pronti per essere vissuti, raccontati, attesi.

CAPITA E NON PER CASOWhere stories live. Discover now