NELL'ETA' PIU' BELLA I GIORNI PIU' TRISTI

Start from the beginning
                                    

Da Prevesa ad Atene

Erano le ore 16 del giorno 14 quando la nave partì silenziosa, mentre circa seicento prigionieri stavano ammucchiati dentro la stiva. Il viaggio proseguì per due giorni e due notti in condizioni di stanchezza inimmaginabili; il solo pane e formaggio non bastava per poterci tenere in forma. Lentamente la nave scivolava sulle acque calme del mare Egeo e, il secondo giorno, si inoltrò nel canale di Corinto. Alle ore 17 giungemmo così al Pireo, il porto di Atene. E' impossibile descrivere tutti i tormenti dei giorni passati in fondo alla stiva, giorni che sono sembrati anni. Il Pireo mi si presentò subito come un bel porto; vi sostavano anche numerose navi inglesi. All'attracco della nave, carabinieri e soldati greci, comandati da un ufficiale erano già disposti per il nostro arrivo; scendemmo ed inquadrati per quattro percorremmo ben due ore di strada a piedi, per poter raggiungere Atene distante 8 km. Fu questo per noi tutti una marcia esasperante e demoralizzante. Tra due fitte ali di popolo attraversammo il Pireo mentre specialmente le donne ci deridevano con frasi oscene, offensive per i nostri capi, scandite in Italiano, Anche i bambini, taluni di pochissimi anni, erano stati radunati a bella posta per insultarci; solo allora sentii tutto il peso della prigionia. Avevo quasi voglia di piangere; solo non lo feci per non dare più soddisfazione ai nostri nemici, ed anche perché qualche persona anziana aveva verso di noi dei gesti di commiserazione. Non dimenticherò mai l'episodio di un vecchio che affacciandosi ad un balcone, mentre delle donne cercavano di tirarlo indietro, si mise a gridare in perfetto italiano: "Coraggio ragazzi, finirà presto". Egli aveva una lunga barba bianca e nel ritirarsi ci fece un cenno come di benedizione. Percorremmo un lunghissimo viale e finalmente giungemmo ad Atene, che era quasi buio. La marcia ci aveva quasi sfiniti ed io diverse volte ero stato sul punti di buttarmi a terra; qualche mio compagno al termine di detta marcia si abbatte al suolo semi-svenuto. Per quella sera fummo rinchiusi in grandi baracche. Stanchi, stracciati, sporchi ed affamati dormimmo tuttavia profondamente, La mattina ci svegliammo e potemmo avere in distribuzione del pane e dell'acqua da bere. La caserma era formata da quattordici baracche poste su due file; le prime sette della prima fila erano riservate ai prigionieri in arrivo, le altre della seconda fila erano riservate ai prigionieri già puliti e disinfettati. Potemmo avere la soddisfazione di assaggiare un poco di riso caldo; ciò rinforzò moltissimo il nostro fisico ed anche un tantino il morale. Ci fu fatto fare un altro bagno caldo però non ci furono dati gli asciugatoi, cosicché dovemmo attendere nudi nel cortile, mentre la popolazione civile si addensava per godersi lo spettacolo. Il freddo era pungente e gli abiti si trovavano nel reparto di disinfestazione. Mentre ce ne stavamo in tale maniera, molti tra i civili, fra cui anche delle signorine ci lanciavano delle frasi offensive. Il pomeriggio ci rasarono barba e capelli che erano diventati lunghissimi; fummo matricolati e messi tra quelli già puliti. In tutto ad Atene si trovavano 1.800 prigionieri, ma ogni giorno ne affluivano ancora. Così pure ogni giorno partivano da duecento a quattrocento di noi assegnati a diversi campi di concentramento. Io rimasi ad Atene dal 16 gennaio al 15 febbraio. Passai circa una settimana all'infermeria in seguito ad uno svenimento che mi colse un giorno mentre in fila con i miei compagni mi apprestavo a prendere il rancio. Passai quandi alla baracca degli ammalati e colàrimasi fino alla partenza per Kalamata, che descriverò nel prossimo capitolo. Passai così le giornate ad Atene cercando di aumentare le mie forze con quel poco di rancio che mi veniva distribuito. I soldati greci ci comandavano, ci guidavano e ci tenevano a guardia trattandoci poco con umanità, con rudezza e spesso con bastonate, La caserma era posto in una bella posizione di Atene. Nelle strade adiacenti vi era molta animazione e molto movimento di vetture, tranvai e passanti. In qualche momento ci sembrava di rivivere un pò di vita delle nostre città in Italia. Poi tutto finì. I miei compagni partirono prima di me per il campo e fu così che dovetti staccarmi dal caro Franco, al quale debbo la mia vita. Trovai subito conforto nell'amicizia sincera e leale di un altro mio compagno della stessa compagnia in linea. La mattina del 15 febbraio partimmo insieme, ed alle quattro giungemmo alla stazione ferroviaria di Atene diretti a Kalamata. In formazione di 400 uomini, muniti di una coperta, di una caravana (gavetta greca) e di un pò di pane e formaggio a testa, percorremo la via ben scortati da guardie e soldati armati. Dopo circa un'ora di strada fummo fatti salire su una vettura di 4^ classe, molto simili ai nostri carri merci, e rinchiusi come bestie feroci in numero di venticinque per ogni vagone. Da quattro piccoli finestrini passava l'aria. Il treno partì alle ore sei e noi ci accomodammo alla meglio sul suolo di legno. Attraverso i finestrini potevamo vedere, avendo attraversato il ponte sul canale di Corinto, dopo 20 ore di ferrovia, ed essendo giunti alle due ore del 16 mattina a Kalamata, dopo aver fatto innumerevoli fermate, che noi viaggiavamo attraverso colline e montagne sempre alla sinistra del mare. Anche durante questo viaggio le sofferenze furono molteplici. Eravamo costretti a fare i nostri bisogni dentro la carrozza ferroviaria. Ci venne negato in modo assoluto un pò d'acqua e noi speravamo sempre, ma invano, che in qualche stazione ce ne avrebbero data, pertanto ad ogni fermata, come da un ordine dato, da tutti i vagoni partiva il grido: "nerò, nerò..." (acqua, acqua...), ma al posto dell'acqua ci rispondeva il grido della folla appositamente adunata, contro di noi e contro il capo dell'Italia. E così attraversammo il Peloponneso e la Morea, giungemmo al campo di concentramento di Kalamata.

NELL'ETA' PIU' BELLA I GIORNI PIU' TRISTIWhere stories live. Discover now