Assassin Love

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"Questa è la tua ultima occasione per confessare ed evitarci tutto un inutile lavoro, perché lo sanno tutti, che prima o poi, verrò a sapere la verità. Quindi perché dilungarci molto in fatti e non risolviamo il tutto a parole?"

Ero seduta nella comoda sedia imbottita del mio ufficio e stavo letteralmente per perdere la pazienza.

L'indagato individuo, se posso dirlo, orribile, si alzò sbattendo i pugni sulla mia scrivania e facendo cadere alcuni fascicoli e giornali.

"E questa è l'ultima volta che glielo ripeto, non sono io l'assassino di Zoey. NON.L'HO.AMMAZZATA.IO."

Si era allungato verso di me soffiandomi le ultime parole letteralmente a due centimetri dal mio viso e potevo decisamente giurare che quella mattina a colazione aveva magiato un panino alle cipolle e una patata americana accompagnata da un caffè, senza zucchero. Un mix uhm..schifoso.

Poggiai le mani sulle sue spalle e lo allontanai leggermente, solo lo spazio necessario per potermi alzare e dirigermi verso il grande portone in fibre di legno.

" Non penso che lei sia l'assasino, l'avrei capito subito se così fosse stato, ma so per certo che sta nascondendo qualcosa, come lei deve sapere, che io scoprirò cosa, e non la passerà liscia"

Uscì dal mio ufficio battendo i piedi per terra così rumorosamente, che riuscì a sentitlo pure una volta che fu del tutto fuori all'enorme palazzo.

Mi risedetti dietro l'esageratamente enorme cattedra sistemando il casino che aveva lasciato Brand. Quel ragazzo era una vera spina sul fianco, insisteva sul fatto di non essere l'assasino, quando non l'avevo mai accusato di niente del genere. Che poi, una persona tanto orribile e disgraziata non potrebbe mai essere un vero pericolo, con il tempo avevo capito che spesso, molto spesso, è l'erba buona ad avere un passato contorto e incasinato.

Il portone si riaprì facendo entrare Stant, niente popò di meno che in un'elegante completo Armani blu notte.

"Sbaglio o Brand era leggermente incazzato"

Attraversò la stanza con in una mano un cartone di caffè e con l'altra indicando dietro le spalle con il pollice.

" Solo un"altra sfuriata. Giuro che se mi ripete un'altra sola volta che non è l'assassino, lo sbatto dentro solo per non averlo più intorno"

Si sedette difronte a me pasandomi il caffè, una zolletta di zucchero e cannella, come piace a me.

Stant era un agente di polizia delizioso, il mio migliore amico, il classico donnaiolo sexy e spericolato.

Capelli biondi, occhi azzurri, alto si e no due metri e quaranta. Un vero gigante. Insomma, Un gigolò nel verso senso della parola, ed era tutto mio, il mio unico, vero, amico.

" Penso che questo sia proprio quello che vuole. Da quando lo abbiamo preso, ha questa strana ossessione per la cella, qualcosa di estremamente strano direi"

Quel giorno c'era davvero un rumoroso via vai per il Sicurity Central di Washington, gente che entrava, usciva, pazzi che si dimenavano legati alle manette, altri ancora più pazzi che le mordevano cercando di strapparle...

"Comunque, siamo in borghese oggi?"

Scherzai bevendo un sorso del caffè e accendendo il computer. Stant mi guardava con un sorriso che andava da un orecchio alla'altro, che dico, da un capello all'altro.

" Indovina, indovina Avril, questa sera, ho un appuntamento"

Disse allungando fin troppo l'ultima parola e alzando la voce battendo le mani eccitato. Era bello vederlo così, felice e spensierato. Era una felicità contagiosa e non riuscivo a togliermi dal viso quel sorrisetto stupido.

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