❇ 9) Il conforto

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«Di Moro importa decisamente meno rispetto a Meta.
La nostra posta elettronica è stata letteralmente intasata per lui!
La gente vuole che si parli di lui. E il nostro lavoro è avere consensi.
Quindi, non accetto un no come risposta.»

«Accetterò ad una condizione.
Manderai qualcun'altro agli incontri di Fabrizio, farai in modo che vengano fuori dei bei articoli e daremo ad entrambi lo stesso spazio, poco importa se Moro avrà meno seguito.
Dopo tutto il nostro lavoro è anche saper variare, no?»

«Non dovrebbe essere un problema per me, trovare qualcuno disposto a farlo.»

Il problema era come raccontare tutta quella vicenda a Fabrizio senza farlo andare su tutte le furie, nei confronti della redazione per cui lavoravo.

Sicuramente, l'incontro con Ermal, sarebbe stato più rapido e indolore rispetto a quello con Fabrizio, per via del diverso tipo di coinvolgimento.
E anche se avessi voluto, Fabrizio, era lontano chilometri, non potevo scegliere diversamente.

Mi consultai con Marta, non appena rientrai a casa e lei, era pienamente d'accordo con la linea che volevo seguire.

Quindi nell'ordine: prima Ermal, poi Fabrizio.
Continuavo a ripetere a me stessa.

Non ci volle molto per rintracciare riccioli selvaggi.
Era sempre nei paraggi di Milano ultimamente, anche se dopo quella volta in cui lo avevo confortato, non c'eravamo più visti.
Lo avevo sentito raramente, per qualche stupidata che riguardava dei cd in uscita, piuttosto che dei libri da suggerirci.
Niente di particolarmente importante.

Accettò l'invito al solito locale che suonava jazz, ormai apprezzato anche da lui, perché ci trovavi poca gente e automaticamente, privacy.

Attendevo il suo arrivo, seduta su una delle poltroncine del locale, da una decina di minuti.
Il ragazzo delle ordinazioni era passato già due volte, e di lui ancora nulla.
Ero stranamente agitata, deglutivo, tiravo continuamente fuori dalla borsa il mio specchietto Chanel, per controllare che il trucco fosse a posto.
Diedi la colpa alla mia vanità, a nient'altro.

Dopo essermi specchiata per l'ultima volta, buttai lo sguardo verso l'ingresso e riconobbi dal suo modo di camminare, che era proprio Ermal.
Tendeva ad inclinare leggermente le spalle verso il basso, sprofondava le mani nelle tasche del cappotto di turno e si guardava attentamente attorno.
Mi individuò quasi subito, e me lo fece notare con un sorriso appena accennato, che io ricambiai nell'immediatezza.

«C'era un po di traffico...» Disse, salututandomi con un dolce bacio in guancia, che mi fece desistere dall'essere la solita acida dalla risposta pronta.
Mi limitai a dire che non doveva preoccuparsi.
Fece segno al ragazzo che era già passato in precedenza e ordinammo due drink.

Le luci soffuse di quel luogo non permettevano di scorgere chiari i lineamenti del viso, era quello il principale motivo per cui nessuno lo riconosceva.

Ermal ne era entusiasta, sentiva che poteva rilassarsi.

«Come và?»

«Sono stato meglio...» Mormorò, con un tono di voce che non permetteva repliche.

Non era cambiato molto, dal nostro ultimo confronto.

Quando volevi iniziare a scavare un po nella sua anima, lui innalzava tutte le barriere di cui disponeva, portandoti a fare un passo indietro.

Ermal era abituato a gente intimorita dal suo istinto auto protettivo, ma con me, non attaccava.
Dopotutto anche io ero brava a costruire muri per difendermi.

Non abbiamo armi {MetaMoro}Where stories live. Discover now